domenica 24 settembre 2017

LA DAMA MISTERIOSA - INCIPIT

Carissimi lettori,
oggi vi propongo l'incipit di un altro mio romance storico. Se avete amato La contessa delle tenebre, non potete di certo lasciarvi sfuggire La dama misteriosa. Ritroverete l'affascinante sir Drake, personaggio secondario nel primo romanzo, che qui diventa protagonista assoluto. E conoscerete Julia, una donna che si mette in gioco per ottenere ciò che desidera da tutta una vita: l'amore di suo marito.



TRAMA:

Londra, 1805. Sir Jonathan Drake, baronetto impiegato presso i servizi segreti britannici, ha sempre rifuggito l’amore. Ma quando incrocia lo sguardo di una misteriosa e seducente dama con un abito provocante, in un palco all’Opera, se ne invaghisce all’istante.
Quella donna lo affascina e lo turba nel profondo; non ha riconosciuto in lei l’insignificante creatura che ha sposato dieci anni prima e poi dimenticato, relegandola nella sua dimora di campagna.
Ora quella fanciulla timida e impaurita si è trasformata in una donna ammaliante e sensuale, pronta a riprendersi ciò che lui le ha negato. E tutto a un tratto, Drake non desidera altro che prenderla fra le braccia e amarla appassionatamente. Ma le umiliazioni da lei subite, in tutti quegli anni di solitudine, non sono così facili da dimenticare e lui dovrà lottare assiduamente per riconquistarla. Anche se per farlo dovrà mettere a rischio il proprio cuore.



PROLOGO




Bedfordshire, giugno 1795

Sedeva davanti alla toeletta, le mani posate in grembo in una posa rigida e innaturale. Tremava un poco, ma non perché facesse realmente freddo in quella stanza. Anzi, dalle alte finestre aperte filtrava una piacevole brezza, considerata la stagione.
     Julia sospirò, lanciando un’occhiata ansiosa alla porta che metteva in comunicazione la sua camera da letto con quella di sir Jonathan Drake, il suo sposo. Aveva la gola secca e un rivolo di sudore le scendeva lungo il collo. Non era certa di riuscire a tenere a bada l’agitazione, non la sua prima notte di nozze.
     Si umettò le labbra, tornando a fissare lo specchio davanti a sé ed esaminando per l’ennesima volta la propria figura snella, fasciata in un’impalpabile camicia da notte che poco celava del suo corpo ancora acerbo. Avrebbe desiderato possedere forme più arrotondate e seducenti per poter compiacere meglio il proprio marito; invece era alta, magra e spigolosa, senza alcuna attrattiva.
     Le dita corsero all’acconciatura. I nastri con cui aveva legato i capelli si erano disfatti e ora sgradevoli riccioli ramati sfuggivano al rigido chignon sopra la nuca, dandole un aspetto sciatto e  disordinato. La cameriera si era offerta di scioglierle le lunghe chiome e pettinarle per lei, ma Julia  si era rifiutata. Odiava i suoi capelli color carota e tenerli sciolti sulle spalle sarebbe servito unicamente a farla rassomigliare a uno spaventapasseri.
     Un rumore di passi la fece irrigidire. La porta cigolò aprendosi, mentre Sir Drake faceva il suo ingresso nella stanza nuziale, dopo essersi congedato dagli amici che, giù da basso, avevano brindato in onore degli sposi fino a tarda sera. Jonathan era un giovane di bellezza innegabile. Irradiava una forte mascolinità che a Julia non era certo indifferente. Alto, di corporatura atletica, dimostrava più dei suoi venticinque anni. Quando irruppe all’interno, lo fece con una disinvoltura naturale, certamente pronto ad assolvere i propri doveri coniugali senza la minima esitazione o imbarazzo. Vestiva con eleganza informale, una giacca blu scuro fatta su misura, dei calzoni color crema che lo fasciavano come una seconda pelle e un paio di stivali lucidi. I serici capelli biondi contrastavano con il nero del fazzoletto da collo, annodato in maniera impeccabile.
     – Vediamo di portare a termine il nostro ingrato compito, milady – le disse, lasciandosi cadere su una poltrona per togliersi gli stivali, lo sguardo che percorreva la sua intera figura rischiarata dalla flebile luce di una candela.
     Julia deglutì, seguendo i movimenti bruschi del marito con apprensione. Sembrava irritato e forse anche un po’ brillo. Avrebbe voluto dirgli che per lei non vi era nulla di ingrato in tutto ciò, ma le parole non vollero uscire, costringendola a restare in silenzio.
     Poi lui si chinò a sfilarsi le calze. – Sarò sincero con voi fin dall’inizio: vi ho sposata unicamente perché vi sono stato costretto. Mio padre pensa che la figlia di un duca possa essere un buon affare per me. Tuttavia, non illudetevi. Non sono innamorato di voi, né mai lo sarò.
     – Come fate a dirlo? – istintivamente Julia ritrovò la voce. Incatenò gli occhi ai suoi, sforzandosi di capire se fosse serio o se quelle parole crudeli fossero il risultato dei troppi bicchieri di vino che si era scolato durante il ricevimento di nozze. – Ancora non sapete nulla di me. Forse, conoscendomi meglio…
     La sua bassa risata la fece irrigidire. – Non vi illudete, milady. Non credo nell’amore e sono convinto che qualsiasi illusione romantica possiate nutrire nei miei confronti sia solo il frutto di fantasie sciocche e infantili.
     Con un movimento repentino, Jonathan si alzò sfilandosi da sopra la testa la candida camicia di lino, per poi abbandonarla sul pavimento insieme al resto degli indumenti. Julia sgranò gli occhi, fissando senza fiato la gloriosa distesa del petto e i capezzoli ritti che risaltavano sulla pelle abbronzata. Poi, le mani di Jonathan scesero sull’allacciatura dei calzoni. Il suo primo istinto fu quello di voltarsi e distogliere lo sguardo, ma si fece forza e rimase inerte, senza muovere un solo muscolo. Si impose di guardarlo mentre si abbassava le braghe sulle cosce muscolose, finché non fu completamente nudo di fronte a lei.
     Allora sentì stringersi lo stomaco e serrò i pugni conficcandosi le unghie nei palmi. L’asta del sesso era lunga e spessa e sembrava crescere sotto il suo sguardo fino a svettare contro i muscoli dell’addome.
     Accorgendosi del suo sbigottimento lui rise di nuovo, piano. – Be’, come vedete sono perfettamente in grado di consumare questa unione, quali che siano i miei sentimenti per voi – Fece una pausa durante la quale Julia ebbe l’impressione che tutto l’ossigeno le venisse risucchiato dai polmoni. – Allora, vogliamo andare a letto?

* * *

Jonathan cercò di fare tutto il più velocemente possibile. Julia era stretta e si agitava sotto di lui, rendendo più complicati gli affondi. Aveva provato a eccitarla accarezzandola fra le cosce, ma lei si era immediatamente irrigidita, scalciando per spingerlo via e mettendosi a piangere.
     Sospettava che fosse frigida.
     Imprecò sottovoce mentre si ritraeva per penetrarla ancor più in profondità, ignorando le sue lacrime. Ecco perché odiava le vergini e si guardava bene dall’andare a letto con una donna che non avesse una certa esperienza. Julia lo stava facendo sentire un bruto e quello era, senza ombra di dubbio, l’amplesso più insoddisfacente della sua vita.
     – Non durerà ancora a lungo – le sussurrò, muovendosi più in fretta. – Vi avrei evitato tutto questo, ma la nostra unione non sarebbe stata legale altrimenti.
     In risposta udì un altro singhiozzo sommesso.
     Jonathan giurò a se stesso che quella sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe posseduto la moglie. Forse, se e quando gli fosse venuta voglia di mettere al mondo un erede, avrebbe ripetuto l’esperienza. Ma non prima di allora. Per un attimo sperò che lei rimanesse subito incinta, così da non doversene occupare più.
     Con un basso ringhio riversò il proprio seme dentro di lei e rotolò via, ansimando leggermente. Lei rimase immobile, a fissare il soffitto sopra le loro teste come una vergine sacrificale. Be’, vergine non lo era più a ogni modo. Jonathan si sollevò su un gomito e la fissò accigliato. – Domani partirò per Londra e non mi vedrete per molto tempo, mi avete capito?
     Lei sgranò i suoi occhioni verdi, mordicchiandosi il labbro inferiore. – Londra? Per quale motivo?
     – Ho deciso che vivremo separati, così voi non dovrete sopportare la mia presenza né io la vostra. Sarà molto meglio per entrambi.
     Si aspettava di sentirla sospirare di sollievo, ma non fu così. Julia rimase rigida e impettita. Cominciava a credere che quello fosse il suo stato naturale. Jonathan si schiarì la voce. – Ascoltatemi, Julia. Non dovete preoccuparvi. Mi occuperò del vostro mantenimento e di tutto ciò di cui potreste avere bisogno. Non vi mancherà mai nulla.
     Lacrime silenziose ripresero a scendere lungo le sue guance pallide.
     Perché diavolo piangeva adesso?
     Stufo di sopportare tutto ciò, Jonathan si alzò e si rivestì senza dedicarle un’altra occhiata. – Addio, Julia – disse infine, varcando la porta.
     Sbatté l’uscio con forza alle sue spalle, lasciandosi dietro una ragazzina in lacrime e una notte da dimenticare. Per fortuna, era tutto finito.



1




Londra, maggio 1805

Le donne lo affascinavano. Soprattutto quelle dissolute, prive di inibizioni. Era intrigato dal loro modo di sedurre, mettendo in mostra i seni voluttuosi attraverso le scollature degli abiti mentre agitavano i propri ventagli davanti al viso imbellettato.
     Jonathan Drake si mosse sulla poltroncina, lo sguardo rivolto al palco privato in cui sedevano due dame attraenti, intente a seguire rapite l’esibizione del tenore. Una delle due aveva lunghi capelli bruni, intrecciati con fili di perle che ne risaltavano la lucentezza. Era una delle più famose cortigiane di tutta Londra e la conosceva piuttosto bene. L’altra invece era per lui un vero mistero. La colse nell’atto di sventolarsi languidamente il viso delicato, arrossato dal caldo, mentre alcune ciocche dei setosi capelli ramati le sfioravano il collo sottile. Era certo di non aver mai visto una donna più sensuale e conturbante di quella.
     Un brivido caldo gli scese lungo la schiena quando lo sguardo gli cadde sulla porzione di carne opulenta, contenuta a stento nel corpetto dell’abito color smeraldo che ben si intonava al colore dei suoi occhi. La scollatura era dannatamente generosa e gli provocò un’erezione improvvisa che premeva in modo imbarazzante contro i suoi calzoni aderenti.
     Strattonò il fazzoletto da collo allentandolo.
     Era una sua impressione o lì dentro si soffocava?
     Tornò a osservare quell’ammaliante creatura domandandosi chi potesse essere. Di certo non un membro del ton, a giudicare dalla compagnia che si era scelta e dal vestito audace che indossava. Tuttavia, non sembrava neppure una demi-mondaine, con quei grandi occhi da cerbiatta impaurita che saettavano a destra e a sinistra, quasi nel tentativo di prendere familiarità con un ambiente a lei poco consono.
     Forse era una parente di Madame Dubois, giunta da fuori Londra per tenerle compagnia. A ogni modo doveva scoprirlo. Era giusto in cerca di una nuova amante e quella sembrava fare proprio al caso suo: bella come una dea, pareva coniugare innocenza e spregiudicatezza in un’unica persona.
     Ne era inevitabilmente affascinato.
     All’improvviso, la dama misteriosa si protese in avanti sollevando il binocolo per mettere meglio a fuoco i cantanti d’opera sul palcoscenico. Nel farlo, i suoi seni deliziosi premettero contro la stoffa del corpetto e Jonathan fu quasi certo di intravedere le punte rosee dei capezzoli.
     Deglutì, allungando le gambe alla ricerca di una posizione più comoda.
     Dio, il suo sesso era diventato talmente duro da risultare doloroso.
     Quella donna aveva un seno stupendo, pieno e delle dimensioni giuste. Gli toglieva il fiato. Si rese conto di non riuscire a staccare lo sguardo da lei, dalla curva aggraziata delle spalle nude, dalla sua pelle di porcellana o da quelle labbra turgide e seducenti, incurvate in un autentico sorriso.
     – Sapete per caso chi sia la donna in compagnia di Madame Dubois? – chiese all’amico che gli sedeva di fianco. Roger Fisher, visconte Dillon, era al suo pari un gran intenditore di bellezze femminili e aveva un discreto numero di conoscenze nell’ambiente del demi-monde. Distolse lo sguardo dal palcoscenico, la fronte leggermente corrugata, e lo rivolse alla dama in questione. Un fischio d’ammirazione gli sfuggì dalle labbra.
     – Non ne ho idea, ma è indubbiamente una signora di gran fascino.
     Jonathan annuì. – Devo esserle assolutamente presentato. Durante l’intervallo andrò a porgere i miei saluti a Cecile.
     Roger lo osservò di sbieco, negli occhi una luce maliziosa. – Non perdi tempo, vedo. Hai lasciato la tua ultima amante solo una settimana fa e già ti stai guardando intorno?
     – Sai che non riesco a stare lontano dalle sottane, amico mio – ribatté lui, divertito. – Amanda si era fatta troppo possessiva e ho dovuto porre fine alla nostra relazione. Ma questo non vuol dire che debba condurre una vita da monaco, ti pare?
     Roger sogghignò e tornò a concentrarsi sullo spettacolo. Jonathan lo imitò, o almeno ci provò. Gli parve fosse trascorsa un’eternità quando finalmente l’orchestra smise di suonare e i cantanti si ritirarono dietro le quinte per l’intervallo. Scattò in piedi, precipitandosi fuori in direzione del foyer, dove aveva intravisto l’abito color smeraldo della dama misteriosa. Non l’aveva persa d’occhio dall’esatto momento in cui era calato il sipario. La sentì ridere per una battuta sussurratale all’orecchio da un ammiratore, mentre piegava il capo all’indietro esponendo il lungo collo pallido alla vista dei presenti. La sua risata roca, di gola, gli fece venire i brividi. Quella donna era un concentrato di sensualità. Si chiese come sarebbe stato averla a propria disposizione, nuda in un letto.
      – Buonasera, Cecile – disse avanzando con passi indolenti, un sorriso ironico stampato sul viso. – Che piacere vedervi.
     Madame Dubois lo studiò da sotto le ciglia abbassate. Ebbe l’impressione di notare un guizzo di malizia in quegli occhi di un intenso blu notte, ma fu solo un attimo. Subito dopo gli stava porgendo la mano guantata, con grazia. – Sir Drake, il piacere è tutto mio. Posso presentarvi mia cugina, madame Juliette Morin? Si trova a Londra da pochi giorni e ancora non conosce nessuno qui.
     In quell’istante la dama misteriosa si voltò, indirizzandogli un’occhiata languida che lo colpì dritto al cuore. Vista da vicino era ancora più bella.
     – Onorato di fare la vostra conoscenza, madame Morin – Jonathan si inchinò, senza distogliere lo sguardo da lei un solo secondo. Nei limpidi occhi verdi scorse delle pagliuzze dorate che parvero risplendere sotto le luci del lampadario di cristallo che illuminava la sala.
     Lei si schiarì la voce celando il bel volto dietro al proprio ventaglio, in un gesto che gli parve allo stesso tempo pudico e civettuolo. – Sono io a sentirmi onorata, sir Drake. Ho sentito molto parlare di voi.
     – Sul serio? Spero non diate ascolto ai pettegolezzi. Non tutto quello che si dice sul mio conto corrisponde a verità.
     Juliette rise di nuovo, piano. – Corrisponde a verità che siete uno degli uomini più ambiti nei salotti londinesi e che non lasciate mai un’amante insoddisfatta?
     Se nutriva ancora qualche dubbio sul fatto che quella donna non fosse una demi-mondaine, fu immediatamente fugato da quelle parole. Nessuna signora avrebbe mai affrontato un argomento tanto audace in pubblico. Decise di stare al gioco. – Non posso confermare un’affermazione del genere senza peccare di superbia, madame. Ma sono a vostra disposizione qualora voleste confutare voi stessa tali dicerie.
     Lei arrossì appena, dietro al ventaglio, causandogli uno spasmo al basso ventre. Finora non si era mai reso conto di trovare affascinanti le donne capaci di arrossire. Eppure, fu una certezza nel momento in cui il suo sguardo si posò su quelle gote fiammeggianti.
     – Mi state proponendo di diventare la vostra amante, sir Drake? – Juliette sbatté le lunghe ciglia ramate, ammaliandolo. Se ancora fosse stato restio a soccombere al suo fascino, sarebbe caduto ai suoi piedi in quel preciso istante. Quella donna ci sapeva maledettamente fare.
     Rise a sua volta. – Perdonate la mia sfacciataggine, madame. Proprio non so resistere al fascino di una bella donna.
     – Sul serio mi trovate bella? 
     Gli parve sorpresa, i grandi occhi verdi che lo scrutavano da dietro il ventaglio. Diamine, ne dubitava forse? Oppure era semplicemente a caccia di complimenti? Stava per risponderle a tono quando Madame Dubois posò la mano guantata sul braccio della cugina. – Il secondo tempo sta per iniziare. Sarà meglio tornare ai nostri posti.
     Jonathan si accigliò. Era già finito l’intervallo? Il tempo era volato in compagnia di Juliette e quasi non se ne era accorto. – Quando potrò rivedervi? – si affrettò a chiederle, infischiandosene di apparire troppo insistente.
     – Mi piacerebbe visitare Londra – rispose lei, gli occhi che rilucevano di entusiasmo mal celato. – Potreste farmi da cicerone, se per voi non è un disturbo.
     – Nessun disturbo. In realtà pensavo di proporvelo io stesso. Posso passare a prendervi domani, nel primo pomeriggio. Dove alloggiate?
    – Sono ospite di mia cugina Cecile. Immagino sappiate dove abiti, non è vero? Tutta Londra lo sa.
     Jonathan annuì. Non c’era da stupirsi che l’indirizzo di madame Dubois fosse così noto. A turno erano finiti tutti nel suo letto. – A domani, allora.
     Lei gli indirizzò un cenno di assenso e un ultimo sorriso sbarazzino, prima di congedarsi e sparire dentro al suo palco. Pur a malincuore, Jonathan si avviò verso il proprio e si lasciò cadere sulla poltroncina. Ignorò lo sguardo curioso di Roger e sbuffò piano. Quel secondo tempo sarebbe stato terribilmente lungo, ne era certo.

* * *

Julia si accomodò al suo posto, stringendo il proprio ventaglio con tanta forza da spezzarlo. Tremava tutta. – Non mi ha riconosciuta – disse, con un sospiro che non avrebbe saputo dire se di sollievo o rammarico.
     Madame Dubois le prese una mano fra le sue, in un gesto affettuoso. – Non dovete stupirvene. Voi stessa mi avete detto che sono trascorsi dieci anni dall’ultima volta che lo avete visto e che da allora siete cambiata molto.
     Lei annuì, fingendo di guardare il palcoscenico mentre uno scroscio di applausi accoglieva il ritorno dei cantanti. – Avevo sedici anni quando mi sono sposata con Jonathan. Ero così insignificante a quei tempi! Magra, senza seno e col viso coperto di lentiggini. I miei capelli erano indomabili e di un orribile color carota: un’accozzaglia di riccioli ribelli – rise amaramente al ricordo della ragazzina timida e ingenua che era stata. Col tempo aveva preso peso, i seni erano fioriti e i capelli si erano leggermente scuriti diventando di un caldo rosso tiziano. Anche il viso aveva perso traccia delle lentiggini che tanto l’avevano afflitta nella sua adolescenza. La sua pelle ora era perfetta: candida e setosa.   
     Ma i cambiamenti più importanti li doveva a madame Dubois. Lei era la sua mentore. Le aveva insegnato ad avere fiducia in se stessa e tutte quelle armi di seduzione, utili a far cadere gli uomini ai suoi piedi. Grazie a lei era riuscita ad attirare l’attenzione di suo marito, che in quegli anni si era completamente disinteressato alla sua persona.
     Sospirò, trattenendo a stento le lacrime. – Vuole rivedermi. Domani.
     Cecile la studiò un attimo, prima di risponderle. – E voi? Volete rivederlo?
     Cielo, sì! Non era lì per quello?
     Lasciò andare il respiro, facendosi aria col ventaglio. – Certo. È lo scopo del mio viaggio a Londra riconquistare mio marito.
     – Riconquistarlo o diventare la sua amante? Sono due cose ben diverse, mia cara.
     Julia scrollò le spalle. – Voglio sedurlo, fargli perdere completamente la testa. Pensate che sia sbagliato?
     Madame Dubois le rivolse un sorriso malizioso. – No, affatto. Tuttavia, mi chiedo perché vogliate proprio lui. Non mi avete detto che la vostra prima notte di nozze fu orribile, insoddisfacente per entrambi? Qui a Londra ci sono tanti uomini affascinanti che darebbero la vita per venire a letto con voi. Posso presentarvene alcuni, se lo desiderate.
     Julia si irrigidì. – Vi ringrazio per l’offerta, ma non sono cambiata poi così tanto. Non sono una sgualdrina. E poi le voci che ho sentito sul conto di mio marito sono entusiastiche. Tutte le sue amanti sono concordi nel definirlo un uomo appassionato, decisamente al di sopra di ogni aspettativa a letto. Voi stessa me lo avete confermato.
     Cecile ridacchiò, probabilmente ricordando i tempi della sua antica relazione con Jonathan. – Sì, vostro marito ci sa fare. Su questo non vi sono dubbi, ma…
     – Sono certa che, se mi considerasse alla stregua di un’amante, si impegnerebbe per soddisfare anche me.
     – Ma certo, mia cara. Quello che non capisco è perché vogliate sedurlo, per poi tornare nel Bedforshire a fare la reclusa. Cosa ricaverete da questa avventura?
     Julia esitò. Vi aveva riflettuto a lungo negli ultimi mesi, ma era difficile esprimere a parole ciò che provava. Si schiarì la voce. – Voglio sentirmi una donna sensuale e disinibita, almeno per una volta nella vita. E voglio fare l’amore con mio marito. Non mi importa se non sarà per sempre. Non nutro illusioni in tal senso. So bene che tutte le sue relazioni si concludono, prima o poi, e che  Jonathan non è portato per i legami di lunga durata. Ma è così umiliante sapere di essere l’unica donna che non ha conosciuto il piacere fisico tra le sue braccia.
     – Dunque è una questione di orgoglio?
     – Forse. A ogni modo, mi aiuterete?
     Madame Dubois sorrise. – Ma certo, mia cara. Sarà divertente vedere sir Drake capitolare. Ciononostante, non temete che possa scoprire il vostro inganno? Se decidesse di raggiungervi nel Bedfordshire, capirebbe che voi e Juliette Morin siete la stessa persona.
     Julia si lasciò sfuggire un’amara risata. – Non viene a trovarmi da dieci anni. Perché dovrebbe volerlo fare adesso?
     – Prima o poi potrebbe desiderare di mettere al mondo un erede a cui passare il titolo di baronetto.
     Lei deglutì. Sì, esisteva quella possibilità in effetti. Ma non le importava. – Correrò il rischio.




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mercoledì 20 settembre 2017

LA CONTESSA DELLE TENEBRE - INCIPIT

Vi avevo promesso l'incipit de "La contessa delle tenebre". Eccolo! Buona lettura.



Parigi, Torre del Tempio, settembre 1795

 C
harlotte aprì gli occhi all’improvviso, destata da un rumore di passi.
Odiava svegliarsi in piena notte, preda dell’ansia o del terrore per ogni più piccolo sussurro. Cercò di calmare il battito furioso del proprio cuore: s’irrigidì, raggomitolata contro la parete di pietra della sua cella, stringendosi nella pesante coperta di lana.
     Viveva rinchiusa fra quelle umide mura da circa tre anni, quando era stata arrestata insieme alla sua famiglia dai rivoluzionari francesi. La sua serena esistenza era stata interrotta per lasciare spazio solo a paura e dolore. Uno ad uno, i suoi cari avevano abbandonato questo mondo: prima suo padre, poi sua madre, sua zia Elizabeth e infine il suo adorato fratellino, di soli dieci anni. Una lacrima le scese giù da una guancia e si affrettò ad asciugarla con la manica consunta dell’abito che indossava. Un tempo aveva posseduto vestiti eleganti, confezionati dalle migliori sarte parigine e con le stoffe più pregiate. Com’era lontano quel periodo!
     A volte aveva l’impressione di pensare alla sua vita precedente come a un sogno lontano, esistito solo nella sua fantasia.
     Sentì di nuovo quel rumore di passi e il suo battito cardiaco accelerò. Tese le orecchie, cercando di capire se il suono fosse ora più vicino, ma il rumore del proprio cuore sovrastava ogni cosa. Si impose di respirare a ritmo regolare. I passi si avvicinavano con esasperante lentezza e iniziò ad avvertire degli spasmi alle braccia e alle gambe. Terrorizzata, si rannicchiò ancor di più in posizione fetale.
     In quel momento i passi si arrestarono.
     Qualcuno si fermò davanti alla massiccia porta di legno e lei tremò al pensiero che fossero venuti a prenderla.
     Non voleva morire.
     L’uscio si aprì con un fastidioso cigolio. Charlotte trattenne il fiato, sollevando lo sguardo sulla figura in ombra sulla soglia. Una guardia si intrufolò all’interno. Era un uomo alto, robusto, il naso leggermente aquilino.
     «Cosa volete?» chiese Charlotte in un sussurro, scattando in piedi. La coperta ricadde sulle grigie pietre del pavimento e lei avvertì un brivido, che nulla aveva a che fare con la temperatura all’interno della torre.
     L’uomo si mosse nella sua direzione, le labbra piegate in un enigmatico sorriso. L’afferrò per un braccio, puntando su di lei i suoi occhi famelici come quelli di una belva.
     «Non ti senti tutta sola in questa cella? Vuoi un po’ di compagnia?»
     Il suo alito puzzava di vino. Charlotte cercò di sottrarsi alla sua presa, ma la guardia la trattenne, stringendole il polso quasi fino a spezzarlo. Un urlo di dolore le bruciò la gola.
     «Lasciatemi, vi scongiuro!»
     «Mi scongiuri?» disse l’uomo, divertito. «La figlia del defunto re che scongiura me. È quasi divertente.»
     Charlotte si divincolò. Era terrorizzata. Quegli occhi che la fissavano bramosi la confondevano. Avrebbe voluto parlare, chiedere cosa avesse intenzione di farle… ma le parole non vollero uscire.
     Lui le prese il mento, sollevandolo quanto bastava per poterla guardare negli occhi. «Sei una vera bellezza. Nobile, casta e inviolabile. Irraggiungibile per uno come me, non è così?»
     Charlotte cominciò a tremare. Non capiva cosa quell’uomo volesse da lei, ma era certa che non fosse nulla di buono. Poi lui posò gli occhi sul suo seno, messo in evidenza dalla scollatura dell’abito. La spinse contro la parete, premendo i fianchi contro i suoi.
     «La tua pelle candida mi eccita» sussurrò, sfiorandole una guancia col dorso della mano callosa. «È così bianca… sembra quella di una bambola di porcellana.»
     Lei sussultò, come se l’avesse schiaffeggiata. Quella mano… provava ribrezzo per ciò che le stava facendo. Tentò di opporre resistenza, ma la presa della guardia si fece più forte.       
     «Dimmi, quanti anni hai?»
     Quella domanda la colse di sorpresa. «Di-diciassette, signore» balbettò, confusa.
     «Diciassette. Sei abbastanza grande, allora. Non desideri conoscere il piacere che un uomo può dare a una donna?
     Charlotte rabbrividì. Non sapeva nulla di quelle cose. Talvolta aveva captato qualche discorso, ma le dinamiche dell’accoppiamento restavano per lei un mistero. Tuttavia, credeva fosse impossibile provarne piacere. Tutto ciò che sentiva per quell’uomo, che premeva il proprio corpo sudato contro di lei, era disgusto.
     In quel momento percepì qualcosa di duro contro i fianchi. Abbassò lo sguardo, temendo che lui la stesse minacciando con una spada. Ma non era una spada, realizzò con orrore.
     Deglutì. «Vi prego… »
     L’uomo la strattonò, nel tentativo di slacciarle il corpetto dell’abito. «Riserva le tue preghiere per i santi» la derise. In quel mentre Charlotte sentì la stoffa lacerarsi e quelle mani rozze le strinsero i  seni. Si irrigidì. Avrebbe voluto urlare, ma chi mai sarebbe venuto in suo soccorso in quella prigione? Da quando era stata fatta prigioniera tutti si prendevano gioco di lei. Non vi era il minimo rispetto: era oggetto di scherno e derisione; le venivano indirizzate canzoni oscene e insulti di ogni genere.
     Cercò di spingere per liberarsi, ma era inutile. Lui era troppo forte. A un tratto la schiaffeggiò con un impeto tale da stordirla.
     «Stai ferma! Ti piacerà, vedrai. Aprirai le gambe per me come una qualsiasi sgualdrina. Non vedo l’ora di scoprire come gode una principessa.
     Lacrime silenziose le solcarono il viso. Non era possibile che le stessero facendo questo. La verginità era l’unico valore che le fosse rimasto, non potevano privarla anche di quel bene per lei così prezioso.
     «No, per favore… no!
     Ridendo sguaiatamente l’uomo le sollevò le sottane. Lo vide sbottonarsi la patta delle braghe e avventarsi su di lei come un animale. Tutto quel che percepì dopo fu solo dolore e umiliazione. La guardia profanò il suo corpo con affondi sempre più veloci. Charlotte urlò con tutto il fiato che aveva in gola, ma quei colpi non cessarono. Ebbe la sensazione che la lacerassero in profondità, fino a trafiggerle l’anima.
     Il sangue cominciò a colarle giù dalle gambe, insozzandole le calze. Ma che importava, a quel punto? Lei rimase immobile, gli occhi chiusi e invasi dalle lacrime, mentre quel mostro terminava di fare quel che aveva cominciato. Lo sentì tremare e riversare il suo seme dentro di lei. Dopo di che si ripulì con un lembo della camicia e si riabbottonò i calzoni, sul viso un sorriso soddisfatto.
     «Non sei stata male, principessa. Magari potrei tornare a trovarti una di queste sere, che ne dici?»
     Charlotte non rispose. Le forze l’avevano abbandonata. Si sentiva sporca nel cuore e nell’anima. Avrebbe voluto lavarsi, strofinarsi la pelle fino a scorticarla, pur sapendo che il dolore provato non sarebbe andato via col sapone. L’avrebbe tormentata per l’eternità. 
     Un attimo dopo sentì la porta della cella richiudersi alle sue spalle e crollò sul pavimento. Le gambe non la reggevano più. Tornò a rannicchiarsi contro il muro, cercando di coprirsi con le mani.
     Infine pianse. Pianse tutte le sue lacrime.      
    



CAPITOLO 1


Amsterdam, dicembre 1795

L
eonardus Cornelius Van der Valck se ne stava seduto a un tavolo da gioco con un bicchiere di pregiato madera in una mano e nell’altra un mazzo di carte. Era solito trascorrere il proprio tempo libero facendo bagordi con gli amici. Gioco d’azzardo, donne di facili costumi e grosse somme di denaro erano il suo pane quotidiano. Tutto, pur di sfuggire alla noia e all’inquietudine che l’opprimevano.
     «Tocca a voi dare le carte» gli disse un baronetto inglese, seduto alla sua destra.
     Intanto, una fulgida bellezza bruna dal seno procace e dalla scollatura generosa gli si era avvicinata, ancheggiando e mettendo bene in mostra la sua mercanzia.
     Con ogni probabilità Leonardus avrebbe finito per portarsela a letto, dopo qualche altro bicchiere e una ricca vincita. Considerò l’idea e fece un sorrisino.
     «Non abbiate fretta, Fairfax» rispose al baronetto. «La notte è ancora giovane.»
     Lanciò una fugace occhiata alla brunetta e si accinse a mischiare le carte, quando un uomo dalla sobria eleganza e i lineamenti aristocratici lo interruppe.
     «Il signor Van der Valck?» indagò, cauto.
      Leonardus sollevò lo sguardo e inarcò un sopracciglio, scrutando incuriosito il nuovo venuto.  Il suo accento straniero era piuttosto marcato. Doveva essere di origine austriaca, suppose da diplomatico esperto. Di sicuro non l’aveva mai visto prima.
     «Posso sapere con chi ho l’onore di parlare?»
     L’uomo si fermò a un passo da lui, lo sguardo impenetrabile. Sembrava disapprovare quel luogo e il clima dissoluto di cui era pregno. Doveva essere un tipo piuttosto noioso.
     «Sono il conte Brank, al servizio dell’Imperatore d’Austria.»
     «In cosa posso aiutarvi, signor conte?»
     «Si tratta di una questione privata. Se volete seguirmi in un luogo più consono, sarò lieto di illustrarvi i motivi che mi hanno condotto qui.» 
     Leonardus trattenne una risatina. Se quell’uomo pensava di rovinargli la serata, si sbagliava di grosso. Niente e nessuno l’avrebbero allontanato dal tavolo da gioco e da quella signora compiacente.
     «E cosa vi fa credere che io sia interessato a conoscere simili dettagli? Come vedete sono piuttosto impegnato in questo momento.»
     Il conte si irrigidì. Evidentemente non era solito ricevere rifiuti.
     «Forse una cospicua somma di denaro potrebbe aumentare la vostra curiosità.»
     «Forse» ammise Leonardus. «Dipende da cosa intendete per cospicua.»
     «Non ho tempo da perdere, signore» si spazientì Brank. «Volete seguirmi, per favore? Sono ansioso come voi di mettere fine a questo colloquio.»
     Leonardus si scusò coi compagni di gioco e si alzò. Sperava che tutto si concludesse velocemente, per poter tornare dagli amici e dalla prosperosa bellezza bruna. Ma aveva il sospetto che la faccenda fosse complicata e prevedeva guai.
     Il conte gli fece strada fino a un salottino privato – i club di lusso come quello ne avevano sempre uno – e attese che Van der Valck entrasse, per richiudere la porta con un colpo secco.
     «Ebbene?» lo incoraggiò, visibilmente spazientito. «Di che si tratta?»
     «È una questione piuttosto seria. Meglio che vi mettiate comodo.»
     Leonardus sbuffò. Prese posto su un’elegante poltrona damascata e attese che anche il proprio interlocutore si sedesse, prima di sollevare uno sguardo indagatore su di lui.
     Finalmente, Brank si decise a parlare: «Come ben saprete, l’Imperatore ha una cugina che è stata tenuta in cattività dai rivoluzionari francesi…»
     «Andate subito al dunque, signor conte. Non ho intenzione di dedicarvi l’intera serata.»
     «Si tratta di una questione diplomatica molto seria e delicata che non può essere liquidata in due parole. Quindi abbiate l’accortezza di tacere e lasciarmi continuare.»
      Sbuffando leggermente, Leonardus si dispose all’ascolto.
      Gli fu illustrata l’intera vicenda di una sfortunata ragazza di sangue reale, fatta prigioniera e liberata di recente, in cambio di dodici prigionieri di guerra. Si chiese irritato cosa avesse a che fare con lui tutto ciò, finché non gli fu evidente.
     «Mi state chiedendo di prendermi cura di questa ragazzina per il resto dei miei giorni? Mi avete preso per una balia, forse?» Il suo tono scandalizzato fece scattare in piedi il conte austriaco.
     «Non sono io che ve lo chiedo. È un ordine dell’Imperatore in persona!»
     La faccenda si stava facendo più complicata e sgradevole del previsto. Decisamente peggiore di ogni sua più tetra aspettativa. Ed era chiaro che all’Imperatore non si potesse dare un “no” come risposta.
     «Perché io?» si ritrovò a chiedere, incredulo che una simile sfortuna fosse capitata proprio a lui.
     «Siete la persona più adatta a questo incarico. Vestite i panni del diplomatico con discreto successo, siete giovane e attraente e, soprattutto, non siete sposato.»
     «Cos’ha a che vedere il mio stato di uomo celibe con tutto questo?»   
     Il conte si accese un sigaro con esasperante lentezza. Tirò una boccata e infine continuò: «Vi viene richiesto di prendere in moglie la ragazza, signore. Durante la prigionia è stata stuprata e ora è in attesa di un figlio. Le nozze sono necessarie per mettere a tacere le malelingue.»
     Leonardus sbiancò. Dovette afferrare il bicchiere di rhum che gli era stato gentilmente offerto e berlo tutto d’un fiato, per riaversi.
     «Maledizione!» fu la sua risposta seccata.

La carrozza correva veloce sulla strada lastricata che conduceva al confine con la Svizzera. Charlotte si sporse dal finestrino con aria inquieta e sospirò. Viaggiava da parecchie ore ed era ansiosa di arrivare a destinazione. Le era stato detto che la meta era una piccola cittadina di confine, chiamata Huningue. Ancora non era certa di chi avrebbe trovato ad aspettarla in quel luogo, ma sperava che si trattasse di una presenza amica. Era così desiderosa di conforto, dopo tutte le tribolazioni vissute negli ultimi anni.
     «Allontanatevi dal finestrino, madame» la rimproverò la voce acida della sua accompagnatrice.                  Era una donna rigida e scorbutica che Charlotte  giudicava incapace di provare il minimo   sentimento d’affetto. La meno indicata per chi di affetto ne aveva una fame assoluta, come lei.
     Si abbandonò sul sedile e cominciò a giocherellare distrattamente con il bordo di pizzo del colletto dell’abito che indossava. Era un capo di eleganza discreta, più accollato di quanto esigesse la moda e di una taglia superiore alla sua, in modo che nascondesse l’imbarazzante rotondità del suo ventre. Il grigio scuro della stoffa le attribuiva più l’aria dell’istitutrice che quella di una principessa  e l’acconciatura era altrettanto severa: i capelli le erano stati pettinati in una rigida crocchia sulla nuca. Solo accidentalmente qualche ricciolo biondo era sfuggito alle forcine e ora svolazzava indisturbato, mosso dal vento.
     «Quando arriveremo?» si decise a chiedere, in tono sofferente. Sentiva il bisogno di sgranchirsi le gambe e di respirare a pieni polmoni l’aria di montagna. Nonostante il freddo rigido dell’inverno, bramava con tutta se stessa di ritrovarsi all’aperto, di poter finalmente riabbracciare spazi ampi, senza nessun muro attorno.
     «Manca poco, ormai.» La sua accompagnatrice incrociò le braccia. «Cercate di essere paziente, madame
     Avrebbe voluto rispondere che la pazienza l’aveva esaurita durante gli anni di reclusione, ma si morse la lingua e tornò a guardare fuori dal finestrino.
     Stavano attraversando l’Alsazia e la vista delle distese di neve la rilassò un poco.
     Finalmente, la carrozza si fermò di fronte a una costruzione in pietra a tre piani, con il tetto in mattoni rossi. L’insegna sulla porta indicava che si trattava di un albergo per i viaggiatori, che portava il nome di Hotel du Corbeau.
     Charlotte si sistemò il pesante mantello di pelliccia sulle esili spalle e attese che lo sportello della carrozza le venisse aperto dal cocchiere, che l’aiutò a scendere.
     Notò con sorpresa che vi erano due persone ad attenderla. Un giovanotto alto e snello se ne stava ritto, in piedi, di fronte alla carrozza. Il suo viso aveva un qualcosa di familiare ai suoi occhi, che si riempirono di lacrime nel riconoscerlo.
     «Louis Antoine!» esclamò, correndo a gettarsi fra le sue braccia. «Siete proprio voi?»
     Il giovane dai lunghi capelli castani e il viso ovale la strinse brevemente per poi staccarsi e sorriderle impacciato.
     «È un piacere rivedervi, cugina» le disse. Poi si voltò verso l’altra persona che si era tenuta discretamente in disparte.
     Charlotte seguì il suo sguardo e si ritrovò a fissare un paio di occhi grigi, freddi come il ghiaccio.
     Lo sconosciuto si avvicinò cauto. Aveva un passo deciso che le risultò immediatamente odioso. I capelli erano neri e più corti di quanto esigesse la moda. Il viso un po’ spigoloso, ma di una bellezza mozzafiato. Le labbra sottili, invece, erano incurvate in quello che a lei parve un sorriso forzato, di convenienza.
     Il cugino si affrettò a fare le presentazioni: «Questo è Leonardus Van der Valck, un diplomatico olandese.»
     L’uomo dagli occhi di ghiaccio le prese la mano e la baciò. Charlotte fu percorsa da un brivido improvviso, mentre un intenso rossore le colorava le guance pallide. Ritirò la mano, come se si fosse scottata, e distolse immediatamente lo sguardo. Si chiese cosa facesse lì quello sconosciuto e si sentì infastidita dalla sua presenza.
     «Sono molto onorato di fare la vostra conoscenza, madame» disse l’uomo, con una voce bassa e profonda, ma con un tono che sembrava smentire le sue parole.
     Lei gli indirizzò un lieve cenno del capo e si sforzò di sorridere mentre si lasciava condurre dal cugino verso l’entrata dell’albergo.
     «Immagino abbiate bisogno di rifrescarvi e cambiarvi d’abito» fece Louis Antoine, in tono premuroso.
     Lei lanciò un’ultima occhiata alle sue spalle, dove Van der Valck era rimasto a fissarla con un’espressione indecifrabile in quegli occhi grigi.
     «Cosa ci fa qui quell’uomo?» sussurrò, confusa. Il cugino sorrise enigmatico mentre le apriva la porta dell’albergo. «Ne parleremo più tardi» le rispose, affrettando il passo.

     A Charlotte non restò altro da fare che seguirlo.        

Potete trovare l'intero romanzo su amazon e kobo 

lunedì 18 settembre 2017

LA CONTESSA DELLE TENEBRE - ROMANCE STORICO

Carissimi lettori,
ho pensato di parlarvi di alcuni miei vecchi romanzi, in modo da farli conoscere un po' a chi ancora non li ha letti.
Comincio con La contessa delle tenebre, un romance storico liberamente ispirato a una figura storica realmente esistita: Marie Thérèse Charlotte di Borbone, la sfortunata figlia di Luigi XVI e Maria Antonietta.



TRAMA:

Parigi, 1795. Marie Thérèse Charlotte di Borbone da tre anni vive rinchiusa fra le mura della Torre del Tempio, imprigionata dai rivoluzionari francesi. Ha visto morire, uno dopo l’altro, tutti i suoi familiari e ha subito la più tremenda delle umiliazioni: lo stupro; teme di non avere alcuna via d’uscita quando le viene proposta la liberazione, in cambio di dodici prigionieri di guerra.
La stessa sera, mentre si sta svagando con partite a carte e prostitute, Leonardus Cornelius Van der Valck riceve la visita di un nobile austriaco che gli fa un’offerta che non può rifiutare: l’imperatore in persona gli chiede di prendere sotto la propria custodia la cugina, unica superstite della famiglia reale francese. Ma c’è un problema: l’affascinante e scaltro libertino dovrà sposare la ragazza, rimasta incinta durante la prigionia.
Riusciranno due persone tanto diverse a fidarsi l’una dell’altra? E Charlotte saprà superare il trauma della violenza subita, per aprire il suo cuore all’amore vero? 
Scottanti passioni, rapimenti, scambi di persona e intrighi politici si susseguono per dare vita a un romanzo in cui amore e coraggio accompagnano il lettore, pagina dopo pagina.

Link d'acquisto su amazon: https://www.amazon.it/contessa-delle-tenebre-Laura-Gay-ebook/dp/B00I5NBO5Y 

La prossima volta vi posterò l'incipit del romanzo. Stay tuned. ;-)

sabato 9 settembre 2017

CON L'AMORE NON SI SCHERZA

Ciao a tutti,
vi è piaciuto il racconto Brividi ad alta quota? Se vi siete lasciati conquistare da Katie e Luke, ecco a voi il sequel del racconto. Stavolta l'ambientazione è natalizia, ma vi regalerà emozioni e risate a volontà.
Buona lettura!



Katie strofinò il naso contro il collo del suo uomo, dopo una performance di sesso da urlo. Il profumo di lui, un aroma intenso di sudore e acqua di colonia, le invase le narici.
Divino.
Lui le accarezzò piano la schiena, scendendo ad afferrarle i glutei. – Signorina Wilson, stavolta ha dato il meglio di sé. Se lo lasci dire.
Lei sorrise divertita. Le piaceva quando la chiamava signorina Wilson. Era una delle sue ricorrenti fantasie erotiche quella di fare sesso con uno sconosciuto. Qualcuno che non sapesse nulla di lei.
Oddio, a dire il vero tra lei e Luke era nato tutto così. La prima volta che erano finiti a letto non conosceva neppure il suo nome. Anzi, lo credeva addirittura qualcun altro. Per un attimo le parve di rivivere quell’incredibile weekend a Parigi.
– Ascolta… – Luke si sollevò su un gomito, gli splendidi occhi azzurri puntati su di lei. – C’è una cosa che devo dirti.
Ahi.
Di solito, quando un uomo esordisce in quel modo, è per darti una brutta notizia: confessare un tradimento, o peggio per dirti che ti vuole lasciare.
Katie trattenne il respiro. – Quale cosa?
– Mia madre verrà a Chicago per Natale.
– E allora?  
La madre di Luke viveva in Canada e vedeva il proprio figlio solo durante le festività. Quindi, nulla di strano che volesse raggiungerlo a Chicago, ora che lui si era trasferito da quelle parti.
Luke si passò una mano tra i capelli spettinati. – Le ho detto che vi avrei fatte conoscere.
Katie si sollevò di scatto, il cuore che sembrava schizzarle fuori dal petto. – Che cosa? Io non sono pronta a conoscere tua madre. Ricordi cosa avevamo deciso? Di andare per gradi. Goderci il nostro rapporto senza impegni, senza doverlo gridare al mondo intero.
Luke sollevò un sopracciglio. – Katie, ci frequentiamo già da cinque mesi ormai. Mi sembra di averti concesso tutto il tempo necessario per abituarti all’idea. E mia madre non è esattamente il mondo intero.
– È la stessa cosa! – Katie era turbata. Anzi, no. Terrorizzata. Quest’ultima parola rendeva meglio l’idea. Strinse gli occhi, puntandogli un dito contro. – Sai bene che non voglio che si sappia in giro che io e te andiamo a letto assieme.
– Potrei trovarlo offensivo – Luke fece scattare in alto anche l’altro sopracciglio, segno che era indispettito. Molto indispettito. – E per inciso, io e te non andiamo a letto insieme. Siamo una coppia. È differente.
Katie non riusciva a capire quale fosse la differenza. O forse non voleva accettare l’idea di essersi legata sentimentalmente al plurimiliardario più noto del Paese. La notizia di una storia tra loro sarebbe stata sbattuta in prima pagina, e nonostante lei fosse una giornalista, odiava l’idea di apparire sui rotocalchi. Specie per una cosa così intima e personale.
– A ogni modo, se si sapesse di noi due, al giornale tutti penserebbero che, se sono riuscita a ottenere un’intervista esclusiva da te, è solo merito del fatto che mi sono infilata nel tuo letto. Sarebbe estremamente umiliante.
Luke roteò gli occhi. Pareva frustrato, ma non in collera. – Prima o poi dovremo dare la notizia. Non ce la faccio più ad andare avanti così. Costretto a nascondermi ogni volta che ci vediamo.
– Hai sempre detto che lo trovavi eccitante.
– Le prime due settimane, forse. Ora non più. Ora voglio ufficializzare il nostro rapporto.
– È un ultimatum?
– Chiamiamolo così – Luke incrociò le braccia sul petto muscoloso, appoggiandosi ai cuscini. – A Natale tu pranzerai con me e mia madre. Altrimenti, considera conclusa la nostra storia. Mi sono spiegato?
Katie sbuffò.
Eccome se si era spiegato.
Cercò di mostrarsi indifferente, ma il mondo le stava crollando addosso. Non era pronta a rinunciare a Luke Anderson. Non ancora.


***

Non avrebbe voluto metterla di fronte a una simile decisione. Luke sapeva che non sarebbe riuscito a rinunciare a lei in ogni caso. Tuttavia, non aveva avuto scelta. Era stufo di tutti quei sotterfugi: intrufolarsi a casa sua di soppiatto a notte fonda, per poi andarsene all’alba. Nessuna cenetta romantica nei ristoranti della città. Nessuna serata al cinema. E che dire delle passeggiate al chiar di luna? Impensabili.
Non ne poteva davvero più. Aveva un orgoglio da difendere.
Senza contare il fatto che lui desiderava sul serio ufficializzare il loro rapporto. Le aveva persino comprato un anello con un diamante grosso come una noce, e contava di darglielo proprio il giorno di Natale. Dopo di che avrebbero fatto l’amore. Intensamente. Con una rinnovata passione.
Aveva pianificato tutto.
E non aveva intenzione di rinunziarvi, solo perché la donna che amava se la faceva sotto dalla paura.
Si mise a sedere sul letto mentre Katie si rivestiva in fretta, sulle labbra un broncio infantile. Avrebbe voluto mangiarsela di baci, ma si trattenne. Invece rimase a fissarla beandosi del suo corpo perfetto, fasciato in un abito talmente aderente da non lasciare nulla all’immaginazione.
– Hai intenzione di andare al lavoro vestita così? – borbottò con un pizzico di gelosia. – Non sei un po’ troppo sexy?
Lei gli rivolse uno sguardo torvo. Era ancora arrabbiata. – Sai com’è… se mi devo trovare un nuovo amante, è bene che mi dia da fare. Manca appena una settimana a Natale.
Piccola vipera.
Quest’ultima frecciata poteva risparmiarsela.
Luke fece un grugnito e si alzò a sua volta, raggiungendola e abbracciandola da dietro. – Ma fino ad allora sei mia – Le sollevò l’orlo dell’abito, scoprendo le cosce rivestite da un paio di autoreggenti nere. Infilò un dito sotto il pizzo delle calze, massaggiandole la tenera carne con lenti cerchi. – Soltanto mia.
Katie si lasciò sfuggire un sospiro. – Farò tardi al lavoro.
Lui la baciò proprio sotto la nuca, scendendo lungo il collo vellutato. – Cercherò di concludere in fretta.
Il dito risalì fino all’elastico delle mutandine, insinuandosi all’interno.
Cristo, era già bagnata.
– Sì, credo che non mi ci vorrà molto.
I sospiri di Katie si trasformarono in gemiti veri e propri, mentre le strofinava il dito sul clitoride gonfio e desideroso delle sue attenzioni.
Un lento sorriso gli incuneò le labbra.
Forse non era detta l’ultima parola.

***

Era in ritardo. Tremendamente in ritardo.
Katie spalancò la porta della redazione col respiro affannato, nella mente il ricordo dell’ultimo amplesso con Luke. Arrossì avviandosi verso la propria scrivania, i tacchi degli stivali che risuonavano sul pavimento.
– Ehi, Katie – La voce di Sylvia, una delle sue colleghe, la fece voltare di scatto. – Il capo vuole vederti nel suo ufficio. Immediatamente.
Lei deglutì, arrestandosi di colpo.
Ecco, lo sapeva.
Adesso avrebbe ricevuto una bella lavata di capo. E tutto per colpa di Luke.
Con la coda tra le gambe mutò direzione e si ritrovò davanti a una porta a vetri. Bussò, trattenendo il respiro finché una voce tuonò: – Avanti!
Timidamente infilò la testa all’interno. – Sono io, Katie. Desiderava vedermi?
– Ah, Wilson. Era l’ora che si facesse vedere. Entri.
Mordicchiandosi il labbro, Katie si fece avanti richiudendo la porta alle spalle. Le tremavano le ginocchia, ma non voleva far capire che era in ansia. Quindi, si piazzò davanti alla scrivania del grande capo, in attesa.
Lui si appoggiò allo schienale della poltrona, studiandola in silenzio. Solo dopo un esame approfondito – Dio mio, come minimo doveva avere i capelli in disordine e le labbra ancora gonfie dei baci di Luke – si decise a parlare.
– L’ho convocata per assegnarle un compito che solo lei può portare a termine.
Lei sbatté le palpebre più volte. La stava prendendo per i fondelli? Era vero che, dopo la famosa intervista esclusiva ad Anderson, la sua posizione all’interno del Chicago Sun-Times era decisamente migliorata. Ma non fino a questi punti.
Aggrottò la fronte. – Quale compito, signore?
Lui si grattò la testa pelata. – È trapelata la notizia che Anderson trascorrerà il Natale in compagnia della madre e della fidanzata.
Fidanzata?
Da quando era diventata la fidanzata?
Katie sentì il proprio cuore rimbalzarle nel petto mentre si imponeva di restare calma. Non poteva permettersi il lusso di giocare a carte scoperte. – Non sapevo che fosse fidanzato.
Il grande capo si appoggiò coi gomiti alla scrivania, le mani unite a piramide. – Non lo sapeva nessuno, Wilson. È stato molto bravo a celarne l’identità fino a adesso. Ma lei scoprirà di chi si tratta. Voglio sapere tutto di questa donna: nome, età, professione… persino che taglia di reggiseno porta. Siamo intesi?
Katie si sentì svenire all’idea che la sua taglia di reggiseno venisse sbandierata su tutti i giornali.
Era decisamente troppo.
Arrossì. – Ehm… e cosa le fa pensare che io riesca nell’intento? Non vedo Anderson da mesi. Dopo quella famosa intervista non ho più avuto contatti con lui.
Bugiarda.
Eccome che li aveva avuti e anche piuttosto intimi. L’ultimo quella stessa mattina, a essere precisi. Ma il capo non poteva saperlo, giusto? Lo vide scuotere la testa con rassegnazione e s’irrigidì.
– Senta, Wilson… mettiamola così… o mi porta le informazioni che le ho chiesto e mi scrive un articolo coi fiocchi, in esclusiva, oppure si consideri licenziata.
Fece per deglutire, ma aveva un groppo in gola e la saliva quasi le andò di traverso. – Licenziata, ha detto?
– Sì, ha capito bene. Li-cen-zia-ta.
Oh, merda.
Era proprio il caso di dirlo.

***

Luke osservò Katie che si avvicinava con passo spedito, un orrendo paio di occhiali da sole a celarle lo sguardo e un cappello a larghe falde sulla testa.
Come diavolo si era conciata?
La risata gli morì in gola nel momento in cui l’ebbe abbastanza vicina da accorgersi che era nervosa. Anzi, no… incazzata nera.
– Che è successo? – le chiese un po’ preoccupato. – Questa è la prima volta che accetti un appuntamento alla luce del sole, in mezzo alla gente.
Lei si guardò intorno, quasi volesse sincerarsi di non aver attirato l’attenzione degli altri clienti del locale. Un po’ difficile, visto il modo in cui si era vestita. Poi gli puntò contro un dito accusatore.
– Come hai potuto farlo?
– Fare che cosa?
Luke era perplesso.
Non le staccò gli occhi di dosso mentre prendeva posto al tavolo che aveva riservato per loro due, calcandosi quell’orribile cappello sulla testa. Katie parve ritrovare la calma e gli indirizzò un gelido sorriso.
– Avanti, a chi lo hai detto?
– Tesoro, ti giuro che non riesco a capirti.
– Di noi due. A chi lo hai detto?
Luke cominciava a comprendere quale fosse il problema. Tossicchiò. – A nessuno, te lo giuro. Ti avevo promesso che non l’avrei fatto e mantengo sempre le mie promesse. Nemmeno a mia madre ho fatto il tuo nome… per ora.
Lei si tolse gli occhiali e i suoi incredibili occhi da cerbiatta si strinsero fino a scomparire. – Al giornale è trapelata la notizia che trascorrerai il Natale con la tua fidanzata. Fidanzata, hai capito bene. Com’è possibile, se come dici hai tenuto la bocca chiusa?
Luke cominciò a innervosirsi, suo malgrado. Rifletté sugli ultimi avvenimenti e si schiarì la voce. – Be’, ho prenotato un tavolo nel migliore ristorante di Chicago. Un tavolo per tre. Forse mi è sfuggito il fatto che avrei pranzato con mia madre e un’altra donna. Ma non ho mai detto…
Katie grugnì qualcosa di incomprensibile e si infilò nuovamente gli occhiali. – E da questo avrebbero dedotto che l’altra donna è la tua fidanzata? Non un’amica o una lontana parente. La fidanzata.
Luke si deterse la fronte sudata col fazzoletto. Non faceva particolarmente caldo in quel locale, soprattutto considerato che la temperatura esterna era scesa a tre gradi sotto lo zero e si prevedeva una bella nevicata. Ciononostante lui si sentì avvampare. In realtà, c’era un motivo per cui doveva essere trapelata la notizia del fidanzamento. C’era la questione dell’anello. Aveva comprato quel dannatissimo anello, solo che a lei non poteva dirlo. Avrebbe rovinato la sorpresa.
Si protese in avanti ostentando uno dei suoi sorrisi migliori. Quelli che di solito mettevano in ginocchio le signore. – Non ne ho idea, piccola. Ma tu sai come sono i giornalisti. Da una cosa piccola così, ne fanno una montagna. Avranno lavorato un po’ di fantasia.
Katie iniziò a tamburellare sul tavolo con un grazioso ditino. La conosceva e sapeva che stava riflettendo sulle sue parole.
– E sia – la sentì rispondere dopo un po’. – Accetterò di pranzare con te a Natale.
Luke si illuminò all’istante. Il cuore perse un battito mentre prendeva la mano di Katie tra le sue, accarezzandole piano l’interno del polso. – Fantastico, piccola. Non te ne pentirai, lo giuro.
Lei tolse la mano e lo studiò con diffidenza. – Lo spero bene. Comunque non ho finito… desidero un po’ di collaborazione da parte tua.
– Collaborazione? – La voce gli uscì un po’ stridula. – In che senso?
Katie strinse gli occhi e avvicinò il viso al suo. – Nessuno deve sapere che io sono la tua fidanzata. Se un giorno dovremo mai dare una simile notizia, voglio essere io a informare amici e parenti. Nonché i colleghi. Non desidero finire sulle prime pagine delle riviste di gossip. Intesi?
Luke assentì. Non poteva darle torto. – Ma certo, tesoro. Terrò la bocca cucita, te lo giuro.
Lei parve rilassarsi. Tornò a sorridere e gli scoccò un bacio su una guancia. – Bene. Ci tenevo a chiarire questo punto. Ora che ne dici di ordinare? Ho una fame da lupi!
Luke fece segno al cameriere di avvicinarsi. Si sentiva molto più tranquillo anche lui.
Sarebbe andato tutto bene.
O almeno lo sperava.

***

Il giorno di Natale


Katie si rimirò allo specchio e fece una smorfia. Per l’occasione aveva indossato una parrucca bionda che le dava l’aspetto di una donna sexy e sofisticata. Poi si era infilata un abito d’alta moda, di quelli che indossano i vip alle serate di gala. Okay, aveva dato fondo a tutti i suoi risparmi per acquistarlo, ma così era certa che nessuno avrebbe visto in lei la giornalista squattrinata del Chicago Sun-Times, bensì una dama dell’alta società.
Chiuse gli occhi.
Respira, Katie. Respira.
Si passò un filo di trucco sulle guance pallide e applicò delle lenti a contatto azzurre per cambiare il colore degli occhi. Poi si passò una generosa dose di rossetto sulle labbra. L’effetto non era male: persino sua madre avrebbe stentato a riconoscerla.
Ottimo.
Dopo aver calzato un paio di scarpe tacco dodici – e tutti sapevano che lei odiava i tacchi alti – s’infilò un cappotto col collo di pelliccia e afferrò una borsetta firmata, in cui aveva riposto i propri effetti personali.
Era pronta.
Il cuore le batteva a mille, ma ce l’avrebbe fatta.
Inspirò nel tentativo di darsi coraggio e scese giù in strada, dove un taxi l’aspettava. Era stata indecisa se noleggiare una limousine per l’occasione, ma poi aveva pensato che fosse un’esagerazione. A ogni modo, le sue finanze non glielo avrebbero permesso.
Durante il tragitto in auto fece un paio di telefonate e si incipriò di nuovo il naso. Infine, rivolse lo sguardo fuori dal finestrino, rimirando la città coperta di neve e le persone sorridenti lungo i marciapiedi, con sacchi pieni di regali e dolci natalizi.
Quello era il primo Natale che Katie trascorreva lontana dalla famiglia, ma sarebbe stato complicato invitare a quel benedetto pranzo anche i suoi genitori e la sorella minore. Era già difficile gestire la cosa così.
Tornò a ripetersi per la centesima volta che avrebbe sistemato tutto e, una volta calmate le acque, si sarebbe decisa a presentare Luke ai suoi. Lo avrebbero adorato, ne era certa.
Il taxi si fermò di fronte al ristorante. Era uno dei migliori della città, cosa che non avrebbe dovuto stupirla affatto: Luke Anderson sceglieva sempre il meglio. Ancora non si capacitava del fatto che avesse deciso di legarsi a lei. Dopotutto, Katie era una donna ordinaria: poco appariscente e un po’ imbranata. Era una frana nei rapporti sociali. Di certo non aveva nulla da spartire con le dame brillanti dell’alta società.
Si accorse che le ginocchia le tremavano un poco nel momento in cui fece per scendere dal taxi. Una sferzata di vento le colpì il viso, scompigliandole la parrucca, e per poco non inciampò, rischiando di finire a culo all’aria in mezzo alla neve.
Tutta colpa di quei maledetti trampoli che aveva ai piedi!
Sbuffò contrariata, sistemando la capigliatura meglio che poteva e calcandosi un cappello a larghe falde sulla testa. Imprecando sottovoce si diresse a passo spedito verso l’ingresso, dove un cameriere in livrea le aprì la porta facendola accomodare all’interno. Un piacevole tepore l’avvolse e un altro cameriere le si avvicinò con un sorriso a trentadue denti, pronto a prendere in consegna il suo cappotto.
Katie esitò. Doveva fidarsi? Cavolo, quel capo le era costato un occhio della testa!
Alla fine si decise. Abbozzando un sorriso tirato gli consegnò il proprio indumento e si fece scortare fino al tavolo.
Il respiro le si mozzò in gola non appena vide Luke sollevare lo sguardo su di lei e aggrottare la fronte. Forse avrebbe dovuto avvisarlo del fatto che avrebbe modificato leggermente il proprio look ordinario. O forse no?


***


Non appena posò gli occhi su quell’algida bellezza bionda, un brivido gli scese lungo la schiena. Era bellissima, fasciata in un abito d’alta moda che esaltava le sue forme sinuose, una profonda scollatura a mettere in evidenza il seno perfetto. Continuò a fissarla, incuriosito dal fatto che si stava dirigendo proprio verso il suo tavolo.
Era certo di non averla mai vista prima, sebbene avesse un’aria familiare.
Un vero enigma.
Fu quando parlò che la riconobbe e quasi non gli cascò la mascella.
– Vogliate scusare il mio ritardo – disse con una voce morbida e vellutata che era inconfondibilmente quella di Katie. – C’è un traffico tremendo a Chicago il giorno di Natale. Hanno tutti la pessima abitudine di andare a festeggiare.
Un sorriso smagliante si profilò su quelle labbra a cuore, sottolineate dal rossetto.
Luke si rese conto di essere rimasto a fissarla a bocca aperta per una manciata di secondi e si riscosse. Si alzò di scatto dalla sedia e le baciò la guancia, prima di presentarla alla madre: – Mamma, questa è…
– Sandra Smith – lo interruppe lei, lanciandogli un’occhiata ammonitrice. – Piacere di conoscerla.
Luke era sempre più confuso. Osservò le due donne più importanti della sua vita stringersi la mano mentre una sensazione di panico lo assaliva. Si protese verso Katie nell’atto di scostarle la sedia e le alitò sul collo: – Come diavolo ti sei conciata? Quasi non ti riconoscevo!
Lei fece una smorfia soddisfatta, quasi ne fosse compiaciuta. – Ottimo. Era proprio quello che desideravo. Quindi, il mio travestimento ha funzionato?
Travestimento?
Luke ebbe un cattivo presagio.
– Stai fingendo di essere un’altra perché non vuoi farti vedere insieme a me? – le sussurrò all’orecchio. Era indignato. E anche un po’ incredulo.
Katie lo trafisse con un paio di occhi azzurri che non erano i suoi. – Non è che non voglia farmi vedere con te. Non desidero che si sappia chi sono. E se non sbaglio avevo chiesto la tua collaborazione, no?
Luke strinse i denti. Ignorò gli sguardi curiosi di sua madre e tornò ad accostarsi al suo orecchio, una collera strisciante che gli invadeva le viscere. – Sì, ma non avevi accennato al fatto che ti saresti presentata con una parrucca bionda e delle lenti a contatto azzurre. Io pensavo solo che volessi evitare i giornalisti, non che ti vergognassi di me.
La vide mordersi il labbro, quasi fosse nervosa.
Be’, era giusto che lo fosse. Cazzo, gli stava rovinando il pranzo di Natale!
– Io non mi vergogno di te – rispose, il tono di voce lievemente stridulo. – Mi vergogno di me. Perché non possiamo fingere che io sia un’altra? Un’affascinante dama dell’alta società, per esempio?
Stavolta Luke imprecò ad alta voce prima di tornare a sussurrare: – Perché io volevo trascorrere il Natale con Katie Wilson, non con questa Sandra Smith che nemmeno conosco. È chiedere troppo?
Un cameriere si avvicinò al tavolo e lui dovette scostarsi da Katie fingendo una tranquillità che non provava. L’ultima cosa che voleva era dare scandalo il giorno di Natale, davanti a sua madre.
Cominciarono ad arrivare le prime portate e Katie o Sandra, o come diavolo doveva chiamarla, si mise a parlare a raffica. Del suo lavoro, della sua famiglia, delle sue amicizie… già, peccato che fosse tutto inventato! Da quelle labbra adorabili non uscì una sola parola che non fosse stata studiata a tavolino.
A Luke venne la nausea.
Tamburellò con le dita sul tavolo, sempre più nervoso.
Arrivati al Christmas pudding, Katie si alzò porgendo il proprio smartphone al cameriere. – Ehi, ci può scattare una foto ricordo?
Luke aggrottò la fronte. Katie odiava le foto. Dove diavolo era finita la sua ragazza? Era stata rapita dagli alieni e sostituita con quella bionda provocante? Non che gli dispiacesse vederla indossare abiti di classe con profonde scollature, intendiamoci. Quello che non sopportava era tutta quella messa in scena. Lasciò che il cameriere lo immortalasse con un broncio che non finiva più e alla fine si alzò da tavola a sua volta.
– Katie, devo parlarti.
Lei sbatté le lunghe ciglia a suo beneficio. – Sandra. Mi chiamo Sandra, tesoro. Non confonderti.
Era veramente troppo.
– Senti, non mi importa come vuoi farti chiamare. Muovi quel culo e seguimi.
Si diresse verso la Toilette con un diavolo per capello, controllando con la coda dell’occhio che lei lo stesse effettivamente seguendo. Se non fosse stato così in collera, si sarebbe messo a ridere per il modo buffo in cui si muoveva su quei trampoli che aveva ai piedi.
Quando lo raggiunse era trafelata e bellissima. In un altro momento e un’altra situazione Luke l’avrebbe stretta a sé per baciarla fino a toglierle il respiro. Invece, strinse gli occhi puntandole un dito contro. – Stavolta hai veramente esagerato, Katie.
Lei sbuffò. Sembrava non rendersi conto che la sua sceneggiata era davvero fuori luogo. – Esagerato? Mi sono solo trasformata in una donna sensuale e raffinata. Se solo prendessi questa storia con un filo di umorismo, potremmo riderci su.
Luke non aveva voglia di riderci su. Proprio per niente. – Cazzo, Katie. Proprio non vuoi capire? Seduta a quel tavolo c’è mia madre e tu le hai propinato un sacco di balle. Volevo farle conoscere la donna della mia vita e invece tu hai imbastito questo teatrino assurdo. Ora come faccio a spiegarle che niente di quello che hai raccontato corrisponde al vero?
Lei sgranò quegli occhioni azzurri fasulli. – Sul serio mi consideri la donna della tua vita? Non me lo avevi mai detto.
Per un attimo Luke pensò a quelle che erano state le sue intenzioni: farle la dichiarazione, mettersi in ginocchio e darle l’anello. Ma adesso non ne era più così sicuro. Scosse la testa. – Hai rovinato tutto, Katie. Volevo ufficializzare il nostro rapporto, chiederti di sposarmi… ma come faccio a fidarmi di una donna talmente imprevedibile? Saresti capace di presentarti all’altare travestita da Wonder Woman e comunicarmi la tua intenzione di lasciarmi per Superman!
Lei aprì la bocca e la richiuse di scatto. Inspirò. – A-avevi intenzione di chiedermi di sposarti?
– Quelle erano le mie intenzioni, sì.
– E hai cambiato idea?
Luke deglutì. Non avrebbe voluto arrivare a quei punti, ma Katie aveva davvero superato il limite. – Mi dispiace, ma non me la sento più di continuare. Non alle tue condizioni.
– Io non ti lascerei mai per Superman!
Un tempo una frase del genere lo avrebbe divertito. Si sarebbe fatto una risata e poi l’avrebbe stretta a sé per baciarla fino a mozzarle il fiato. Ma aveva perso la capacità di ridere.
Scrollò le spalle. – Dirò a mia madre che sei dovuta andare via per un impegno improvviso. Addio, Katie.
Poi si voltò, allontanandosi in fretta da lei. Non si girò a guardarla. Temeva che, se lo avesse fatto, avrebbe provato quel familiare nodo allo stomaco che solo Katie riusciva a suscitare in lui. E voleva evitarlo. A tutti i costi.


***

Seduta davanti al camino, Katie non riusciva a smettere di piangere. Aveva gettato alle ortiche la storia più importante della sua vita e solo ora se ne rendeva conto. Cielo, lui aveva intenzione di sposarla! La amava. Fin dall’inizio aveva voluto fare sul serio con lei e Katie lo aveva ricambiato nel modo peggiore: nascondendosi dietro alle proprie paure e mentendo.
Si vergognava da morire.
Tirò su col naso e buttò giù un altro pezzo di Mince Pies, annaffiandolo con un sorso di brandy.
Aveva ancora quello stupido articolo da scrivere. Come se la sarebbe cavata, adesso? Non poteva continuare a mentire.
Si asciugò le lacrime col dorso della mano e cercò di riordinare le idee. Okay, avrebbe perso il lavoro. Non era forse peggio perdere l’amore della sua vita? Ormai aveva toccato il fondo, quindi perché non farlo con stile?
Afferrò il proprio pc portatile, posato sul tavolino, e lo avviò. Aprì un nuovo documento mentre la sua mente era in pieno fermento.
Adesso sapeva cosa doveva fare.
Aveva mentito per mesi. Era giunto il momento di dire la verità.
Mentre digitava frenetica sulla tastiera sentì il proprio cuore farsi leggero.

***

Luke si lasciò cadere sul divano e fissò l’albero di Natale che addobbava il suo salotto. I regali accatastati sotto erano ancora intatti, perfetti nella loro carta colorata. Non se l’era sentita di aprirli. Non se l’era sentita di festeggiare.
In fondo, per cosa avrebbe dovuto far festa? Per la fine della sua storia con Katie?
Ancora non riusciva a credere di averlo fatto davvero.
Aveva lasciato la donna che amava. L’unica in grado di farlo ridere a crepapelle, l’unica che riusciva ad accendere in lui una passione sfrenata e duratura. Di tanto in tanto fissava il telefono chiedendosi se non fosse il caso di richiamarla, di farsi spiegare le ragioni del suo assurdo comportamento durante il pranzo di Natale; ma poi il suo stupido orgoglio aveva la meglio su di lui e lo faceva sprofondare di nuovo nella malinconia.
Sospirò.
Come se non bastasse sua madre lo aveva riempito di domande. A lei Katie, o per meglio dire Sandra, era piaciuta da morire. Sosteneva che fosse una delle poche persone in grado di metterlo in riga, lui che era sempre abituato a dare ordini e ad avere intorno esseri striscianti, interessati solo al suo denaro.
Era vero, naturalmente.
Una delle prime cose che lo avevano colpito di lei era stata proprio la sua capacità di vedere in lui l’uomo, piuttosto che il miliardario. Oddio, Katie manco sapeva che fosse un miliardario quando si erano conosciuti. Lo aveva scambiato per un giornalista. Al ricordo, inevitabilmente gli sfuggì un sorrisino.
Pensieroso, afferrò una copia del Chicago Sun-Times e se lo rigirò tra le mani. Una foto in prima pagina attrasse la sua attenzione. Sgranò gli occhi incredulo. Si trattava della stessa foto che il cameriere del ristorante aveva scattato loro durante il pranzo di Natale. Sopra di essa il titolo dell’articolo a lettere cubitali: LA VERA STORIA DELLA FIDANZATA DI LUKE ANDERSON di Katie Wilson.
Luke deglutì stropicciandosi gli occhi e tornando a fissare il quotidiano, quasi convinto che fosse tutta opera della sua fantasia: Katie aveva sbattuto la loro storia sui giornali.
Il primo istinto fu quello omicida. Avrebbe volentieri afferrato la sua ex fidanzata – sempre che fosse corretto definirla così – per strozzarla. Ma poi vinse la curiosità e cominciò a leggere.

Salve, sono Katie Wilson e sono una bugiarda cronica.
Per mesi ho nascosto a tutti la mia relazione con Luke Anderson: parenti, amici, colleghi… non l’ho detto neppure al mio vicino di casa, quello che mi presta sempre lo zucchero quando mi dimentico di comprarlo. Davvero imperdonabile da parte mia.
Il motivo?
Avevo paura.
Paura di non saper gestire le cose in maniera adeguata. Paura che al giornale tutti pensassero che l’intervista che avevo fatto al famoso multimiliardario l’avessi ottenuta entrando nel suo letto, cosa non del tutto falsa in verità.
Insomma, diciamocelo: Luke Anderson accettò di rispondere alle mie domande per fare colpo su di me. Ora posso dirlo. Non sono quella gran reporter che tutti credono.
E io, con la mia stupidità, ho rovinato tutto.
Sì. Ho costretto l’uomo migliore che abbia mai conosciuto in vita mia a una relazione fatta di sotterfugi: incontri clandestini, bugie, travestimenti.
Ma il limite l’ho passato il giorno di Natale.
Lui era stato così adorabile da invitarmi a pranzo con sua madre. Voleva farmela conoscere e poi chiedermi di sposarlo. Lui voleva sposare me. La giornalista imbranata e bugiarda.
Invece io mi sono presentata mascherata da dama dell’alta società.
Perché?
Be’, un po’ mi vergognavo. Non capita tutti i giorni di conoscere la madre di Luke Anderson, vi pare? Che cosa avrebbe pensato una signora così sofisticata e alla moda di una donna comune e un po’ imbranata come me?
Ma il vero motivo è un altro.
Il mio capo voleva che scrivessi un articolo sulla fidanzata di Anderson, pena il licenziamento. Come avrei potuto, dal momento che ero io l’ipotetica fidanzata? Mica potevo sbandierare ai quattro venti notizie personali su me e Luke. Cavolo, sono cose private!
Così mi è venuta la grande idea di inventarmi una fidanzata ideale. L’avrei chiamata Sandra Smith. Un nome carino, non credete? Elegante, sofisticato… come la donna che non ero, ma avrei tanto voluto essere.
Purtroppo, così facendo ho compromesso il mio lavoro e il rapporto con Luke.
Ho mentito a tutti, ma soprattutto a me stessa.
Sì, perché io amo Luke Anderson. Con tutto il mio cuore.
Ma non sono stata capace di dirglielo.
E allora sapete che vi dico? Al diavolo il mio posto al Chicago Sun-Times!
Forse ho rovinato le cose con l’uomo che amo, ma voglio andarmene a testa alta. Per una volta nella vita voglio essere me stessa… fino in fondo.
Perché con l’amore non si scherza.

Luke sbatté le palpebre. Era incredulo.
Katie, la sua Katie, lo amava. E lo aveva confessato davanti al mondo intero senza preoccuparsi delle conseguenze o di apparire ridicola.
Il suo cuore cominciò a correre come un treno.
Dio, che aveva fatto?
Aveva lasciato andare la propria donna a causa del suo stupido orgoglio.
Era proprio un coglione.

***

Katie aprì la porta vestita con una vecchia tuta, i capelli arruffati e gli occhi rossi.
Non era mai stata più bella.
Luke la fissò serio, appoggiato allo stipite, gli occhi che non riuscivano a staccarsi da lei un solo istante. – Possiamo parlare? – chiese, la voce un po’ roca.
– Oh – fu la sua risposta concisa. Continuava a guardarlo come se fosse un’apparizione mistica. Forse il periodo natalizio aveva su di lei degli influssi strani. – D’accordo, entra.
Lui non se lo fece ripetere. Si precipitò all’interno del piccolo appartamento, godendosi il tepore del grande camino. Adorava quel posto. Gli ricordava la casa in cui era nato e cresciuto, prima di diventare un uomo pieno di soldi, ma terribilmente solo.
Si schiarì la voce. – Ho letto il tuo articolo sul Chicago Sun-Times.
– E sei venuto fin qui per strozzarmi?
– Forse è quello che dovrei fare… – Luke le si avvicinò e aspirò il suo profumo. Un’altra cosa che adorava. – Ma in realtà tutto quello che voglio è stringerti e baciarti fino a domani.
Katie sgranò i suoi begli occhioni, tornati del giusto colore: un caldo color cioccolato. – Cosa hai detto? Non sei in collera con me? Per averti mentito? Avrei dovuto parlarti dell’articolo…
– Sì, avresti dovuto. Ma penso che tu abbia fatto la giusta penitenza umiliandoti davanti al mondo intero.
Lei si morse piano il labbro. – Esagerato. Non sono così tanti i lettori di quel giornale.
Suo malgrado, Luke sorrise. – Be’, vorrà dire che pretenderò le tue scuse durante una conferenza stampa.
– Una conferenza stampa?
– Dovrò presentare a tutti la mia fidanzata, giusto?
Katie si mise sulla difensiva. Incrociò le braccia sul petto, gli occhi stretti a due fessure. – Io non sono più la tua fidanzata. Anzi, non lo sono mai stata.
– Un’altra cosa a cui dovrò rimediare.
Luke si mise in ginocchio davanti a lei e tirò fuori la scatolina presa da Cartier. – Katie Wilson vuoi sposarmi?
Gli occhi di lei luccicarono. Stava piangendo. – Luke, se questo è uno scherzo…
– Non è uno scherzo. Rispondi alla mia domanda, per favore. Non hai idea di quanto sia scomodo stare in questa posizione.
Con sua enorme sorpresa Katie si inginocchiò a sua volta. Adesso appariva emozionata… forse anche un po’ commossa. – Ma certo che voglio sposarti. Ti amo. L’ho confessato davanti al mondo intero, no?
– Già. Ma mi piacerebbe che lo ripetessi solo a me. Qui. Adesso.
Sì, non si era sbagliato. Erano proprio lacrime quelle che le rigavano le guance. Ma dovevano essere lacrime di felicità, perché allo stesso tempo la vide sorridere: un sorriso aperto, sincero, che gli riscaldò il cuore.
– Ti amo, Luke Anderson.
– Bene. Perché anch’io ti amo, Katie Wilson. Ti amo da morire.
Lei si asciugò una lacrima col dorso della mano e si protese verso di lui, senza tuttavia osare toccarlo.
– Posso baciarti, ora? Sai, non vorrei essere considerato precipitoso… ma è veramente scomodo stare in ginocchio sul pavimento.
Lei rise. – Tu dici? Io sono comodissima. Penso che riuscirei a stare qui a guardarti per l’eternità.
Luke l’afferrò per le spalle e l’attirò a sé cercandole le labbra. Dio, quanto le erano mancate quelle labbra! Seppellì le dita nei suoi capelli, la lingua che trovava il suo posto all’interno della bocca di Katie, duellando con quella di lei.
Cazzo, sentiva le farfalle nello stomaco.
Quando si staccò aveva il fiato corto. – Non hai nemmeno guardato l’anello.
– Oh.
Katie aprì con dita tremanti la scatolina di Cartier e sgranò di nuovo gli occhi.
– Ti piace?
– Se mi piace? Oh, mio Dio. È magnifico!
Luke le prese la mano e le infilò l’anello al dito. Non era mai stato così emozionato in vita sua. Per un attimo restarono in silenzio, così, inginocchiati sul pavimento. Forse, Katie non aveva tutti i torti: non era così scomodo. Avrebbe potuto restare lì per delle ore, con lei tra le braccia.
Si schiarì la gola. – A proposito… il lavoro… l’hai perso?
Katie annuì, ma non sembrava minimamente preoccupata. – Sì, hanno accettato di pubblicare il mio articolo perché comunque avrebbe fatto notizia, ma mi hanno licenziata. Mi hanno accusata di scarsa professionalità. Be’, me lo sono meritato.
Luke le sfiorò una guancia col dorso della mano. – Mi spiace, piccola.
– Oh, non devi. Ho capito che il giornalismo non fa per me. Voglio continuare a scrivere, certo, ma per me stessa. Ho in mente un romanzo. Una commedia brillante, a essere più precisi.
Lui sorrise e l’attirò di nuovo a sé. – Sono contento per te, allora. Ma adesso baciami.
– Di nuovo?
– Di nuovo. Non ne ho mai abbastanza di te.

***

– Sicura di volerlo fare?
Luke fissò Katie intensamente. Erano seduti su due comode poltrone in pelle, nel suo jet privato. Non ci sarebbe stato nulla di strano, se non per il fatto che la sua fidanzata odiava volare. Anzi, ne era terrorizzata.
Lei deglutì, ma poi annuì decisa. – Sicurissima.
– Non è necessario andare a Parigi per annunciare il nostro fidanzamento alla stampa. Possiamo farlo qui, a Chicago.
Ma Katie sembrava irremovibile. Scosse energicamente il capo e i suoi capelli ondeggiarono come una cortina di seta. – No, ci siamo conosciuti a Parigi e lì daremo l’annuncio. Voglio dimostrarti che sarò all’altezza.
Luke si intenerì. Sapeva quanto le costasse quel viaggio in aereo. – Tu sarai sempre all’altezza.
– E poi – continuò Katie sorridendo maliziosa. – Quando ci siamo messi insieme non mi avevi detto che ti sarebbe piaciuto provare il sesso ad alta quota?
A Luke si seccò la gola. – Dimmi che non stai scherzando.
Il sorriso di Katie si allargò. – Non sto scherzando, Luke Anderson. Affatto.
In fondo, con l’amore non si scherza.


FINE