giovedì 31 marzo 2016

OLTRE I CONFINI DEL TEMPO - PRIMA PUNTATA

CAPITOLO 1


Francavilla Fontana, maggio 2013

S
ara scostò una ciocca di capelli che le era ricaduta sulla fronte e sbuffò, riportando l’attenzione sull’insegnante di storia dell’arte che blaterava da più di un’ora.
– Qui alla vostra destra potete notare i caratteristici trulli: antiche costruzioni in pietra, coniche, di origini protostoriche. Sono tipiche della Puglia centro-meridionale.
     Il suo sguardo tornò a vagare. Non le importava nulla dei trulli. In quel momento tutta la sua attenzione era concentrata su Mario che ridacchiava con Vanessa, a pochi passi da lei.
     Sospirò. Non era mai stata più infelice. Dopo mesi di frequentazione lui l’aveva lasciata per quella smorfiosa! Aveva cercato in tutti i modi di farsene una ragione, ma proprio non riusciva a dimenticarlo. Mario era stato il suo primo amore e il suo cuore batteva ancora per lui, nonostante tutto.
     – Ferrari vuoi degnarci di un po’ della tua attenzione? Puoi ripetere ai tuoi compagni quello che ho appena detto?
     La prof le aveva indirizzato uno sguardo spazientito, sistemandosi gli occhiali sulla punta del naso, come era solita fare quando si innervosiva.
     Questa non ci voleva!
     Si inumidì le labbra secche e cercò di ricordare. – Ehm… stava parlando dei trulli.
     – E cosa sai dirci della loro struttura?
     – La struttura? – si sforzò di prendere tempo, ma in realtà non aveva la più pallida idea di cosa stesse parlando.
     L’insegnante aveva un cipiglio severo e stava battendo il piede sul suolo in terra battuta. – Avanti, Ferrari. Non abbiamo a disposizione tutto il pomeriggio – disse con voce stridula. Poi si rivolse ai suoi compagni: – Chi di voi sa rispondere alla domanda?
     Vanessa alzò la mano, facendo ondeggiare le sue lunghe chiome bionde. – Il trullo presenta una pianta di forma approssimativamente circolare, sul cui perimetro si imposta la muratura a secco, di spessore molto elevato.
     La prof annuì con un sorrisino. – Brava, Bianchi! Almeno tu sei stata attenta.
     Sara avrebbe voluto strozzarle entrambe. Ma come faceva Mario a sopportare quella gatta morta? Più ci pensava, meno riusciva a darsi una risposta. Lo guardò di sbieco mentre la Baldini riprendeva la sua spiegazione. Adesso si era allontanato dal gruppo, senza essere visto.
     Dove aveva intenzione di andare? Se la prof di arte lo beccava, una bella lavata di capo non gliel’avrebbe levata nessuno!
     Finse di ascoltare con la dovuta attenzione, continuando però a tenerlo d’occhio.
     – Dove sta andando Mario? – le chiese in un sussurro Francesca, la sua migliore amica.
     Lei scosse le spalle. – Non ne ho idea.
     – Probabilmente non ne può più di quella secchiona di Vanessa. Cosa stai aspettando? Vai a riprendertelo, Sara. Quello non vede l’ora di tornare con te!
     Magari fosse vero!



     Si mordicchiò il labbro, indecisa sul da farsi. Infine scattò in quella direzione, tanto la Baldini era troppo concentrata sul suono della sua stessa voce per accorgersene. Mosse qualche passo, fino a raggiungere la parte posteriore del trullo. Le era sembrato che Mario fosse andato a nascondersi proprio lì, eppure non lo vide. Le parve tuttavia di scorgere un’ombra sulla sommità del trullo, proprio dove si trovava una piccola apertura, una specie di finestra a cui si aveva accesso da una scaletta ricavata nel paramento esterno.
     Deglutì.
     Provava un po’ di timore ad arrampicarsi sulla scala, ma voleva a tutti i costi riuscire a parlare da sola con Mario. Avevano ancora tante cose da chiarire, almeno secondo lei. Col cuore che le batteva a mille cominciò a salire e, raggiunta la finestra, sbirciò all’interno. Era troppo buio per riuscire a scorgere qualcosa.
     – Mario, sei lì? – chiese con un filo di voce. Non rispose nessuno, ma lei non si diede per vinta. Radunando tutto il suo coraggio, si intrufolò all’interno della cupola. Per fortuna riuscì a trovare un basamento su cui appoggiare i piedi e, da lì, non fu difficile scendere, aiutandosi con le pietre che sporgevano. Evidentemente era portata per le scalate!
     Una volta all’interno della costruzione in pietra si rese conto di essere sola. Nessuna traccia di Mario e una sensazione strana si impadronì di lei.
     Rabbrividì.
     Un bizzarro ronzio parve provenire dalle pietre intorno a lei, come se un alveare fosse nascosto in qualche fenditura nella roccia. Ma non c’erano alveari. Solo pietre.
     Sarà cominciò a sudare freddo. Fece un passo in direzione della porta del trullo, chiusa dall’interno. Non le importava se uscendo da lì sarebbe finita dritta nelle braccia della Baldini. Sapeva unicamente che doveva fuggire via. Subito.
     Affrettò il passo, ma inciampò in una pietra più sporgente delle altre, rovinando a terra. Intanto i suoni erano aumentati, facendosi più distinti. Le parve di udire dei cavalli al galoppo e delle voci. Forse quel trullo era infestato dai fantasmi? Solo il pensiero le procurò un brivido lungo la schiena.
     Si tirò su, barcollando, il cuore che sembrava impazzito. Ora era circondata dai rumori. Erano sempre più forti, al punto da rimbombarle nelle orecchie.
     Sara si sentì svenire. Le gambe le cedettero e si ritrovò di nuovo a terra, con la testa che le scoppiava.
     Infine fu tutto nero.

* * * * * * * * * *

Francavilla d’Otranto, maggio 1813

Una luce accecante la colpì, non appena riaprì gli occhi. Adesso si trovava all’esterno del trullo, ma tutto intorno a lei era deserto. Non vi era traccia della prof di arte né dei suoi compagni di classe.
     Sara scosse la testa con violenza, come per schiarirsi le idee. Non riusciva a ricordare. Si era sentita male all’interno del trullo. Ma come era uscita? E perché nessuno l’aveva soccorsa? Dove erano andati tutti?
     Calma. Non devo lasciarmi prendere dal panico!
     Si alzò in piedi e afferrò il proprio zaino, alla ricerca disperata del telefonino. Eccolo! Fece per accedere alla rubrica, ma solo allora si accorse che non c’era campo. Maledizione! Uno smartphone ultimo modello, pagato dai suoi una discreta cifra, e non riusciva a prendere il segnale!
     Era in preda alla nausea e alle vertigini, ma si impose di mantenere la calma. La cittadina di Francavilla era a poca distanza. Poteva raggiungerla a piedi, dopotutto era un’ottima camminatrice. Lì il cellulare avrebbe avuto campo a sufficienza per chiamare la sua amica Francesca o l’insegnante, magari entrambe per essere più sicura.
     Ripose il telefonino nell’apposita tasca, richiuse lo zaino e se lo mise in spalla. Non sapeva quanto tempo fosse trascorso da quando aveva perso i sensi, ma dalla posizione del sole dovevano essere all’incirca le quattro del pomeriggio. Avrebbe raggiunto Francavilla prima che facesse buio.
     Si mise in cammino attraverso i campi. A breve avrebbe dovuto raggiungere una strada asfaltata, magari avrebbe potuto fare l’autostop. Tuttavia, più camminava, più avvertiva qualcosa di strano: non c’era nessuna strada asfaltata nei dintorni e nessuna macchina. Era praticamente immersa nella campagna e davanti a sé riusciva a scorgere solo prati e un agglomerato di ulivi che si intensificava, fino a diventare una fitta boscaglia.
     A un tratto raggiunse un corso d’acqua. Doveva essere il Canale Reale. Ci erano passati davanti anche con la prof, sebbene improvvisamente le sembrasse diverso. Prima le era parso un piccolo fiumiciattolo, pieno di detriti e spazzatura. Adesso era un corso d’acqua vero e proprio, talmente grande da essere addirittura navigabile, per lo meno da piccole imbarcazioni.
     Lo osservò più da vicino mentre un brivido di apprensione le scendeva lungo la schiena. L’acqua era incredibilmente limpida. Veniva quasi voglia di tuffarsi per fare una bella nuotata. Cosa stava succedendo? Perché aveva la sensazione di essere finita in un altro mondo, o addirittura un’altra dimensione?
     Fece un bel respiro, sforzandosi di non cedere al panico. Se si metteva a pensare al fatto di essere sola, in aperta campagna, col telefono fuori uso e nessun punto di riferimento, veniva colta da puro isterismo. Meglio non pensarci, quindi, e andare avanti.
     Decise di seguire il fiume. Prima o poi avrebbe portato a un centro abitato, giusto? E lì avrebbe potuto chiedere aiuto. Una delle sue doti migliori era che non si perdeva mai d’animo di fronte alle difficoltà.
     Coraggio, Sara. Ce la puoi fare!

* * * * * * * * * *

Si era rimessa in cammino da un bel po’, quando lo vide. Era un giovane alto, vestito con una camicia di lino bianca e dei calzoni al ginocchio piuttosto antiquati, chino sul fiume. Pareva intento ad abbeverarsi, come se non nutrisse alcun timore di bere acqua non potabile o inquinata.
     Sara stava per mettersi a correre verso di lui, quando il giovane si voltò all’improvviso, sul viso un’espressione accigliata e diffidente. Solo in quel momento si accorse che le stava puntando contro un’arma: una di quelle pistole antiche che si vedono nei musei.
     – Resta fermo lì, non un passo di più – sibilò, feroce. I suoi occhi percorsero interamente la sua figura, come per studiarne le forme. – Siete una donna – aggiunse, subito dopo. – Vestita in quel modo vi avevo presa per un ragazzo.
     Lo vide aggrottare la fronte e fare qualche passo verso di lei, senza abbassare l’arma. – Non vorrai farmi credere che quella cosa che hai in mano spara? – chiese Sara, indecisa se prenderla sul ridere o irritarsi.
     L’uomo continuò ad avanzare. – Oh, sì che spara. E se non volete ritrovarvi con un bel buco nel cuore, fareste bene a non muovervi.
     Sara trattenne il respiro. Lo sconosciuto aveva un fisico asciutto e agile, indiscutibilmente minaccioso. Le sopracciglia erano ben disegnate e i grandi occhi, color azzurro ghiaccio, la stavano fissando intensamente.



     Deglutì. Aveva senza ombra di dubbio le sembianze di un brigante, uno di quelli che si vedono nei film storici. Persino i capelli gli davano quell’aspetto: erano scuri e lunghi, raccolti in una coda di cavallo con un laccio di cuoio.
     – Ma chi diavolo sei? Un pazzo che si diverte a terrorizzare le ragazze indifese?
     Lui rise. Una risata bassa, gutturale e tremendamente sexy. – Scusate se mi permetto, ma non avete affatto l’aria della ragazza indifesa. Per quale motivo siete vestita come un uomo?
     Sara abbassò lo sguardo. Indossava una camicia, un paio di leggings e stivali. – Non sono vestita da uomo! – sbottò esasperata. – I leggings sono indiscutibilmente un indumento femminile. E la camicia…
     – State cercando di confondermi con un linguaggio bizzarro? Ebbene, risparmiate il fiato. È piuttosto evidente che siete vestita da uomo. Le donne non indossano brache e stivali. Che ne è di corsetto, sottogonne, pizzi e seta?
     Il sorriso dello sconosciuto si fece ironico, ma non fu quello a turbarla. – Corsetto? Sottogonne? Ma di cosa stai parlando?
     – Dell’abbigliamento consono a una fanciulla. E, ditemi, cosa ci fate tutta sola in aperta compagna? Non avete paura di essere assalita dalla banda di Papa Ciro?
     Sara sbatté le palpebre. Si sentiva confusa. – Chi? – che lei sapesse l’ultimo Papa si chiamava Francesco, non Ciro.
     L’uomo inarcò le sopracciglia. – Non avete mai sentito parlare di Papa Ciro e la sua banda di briganti?
     Sara scosse la testa. – Francamente no. Chi sarebbe costui?
     L’uomo si grattò la testa con la mano libera, mentre nell’altra continuava a impugnare la pistola.
– Voi ferite il mio orgoglio. Avete davanti proprio uno dei suoi seguaci, sapete? Ci diamo tanta pena per saccheggiare i dintorni e la gente neppure sa chi siamo! Un vero colpo al cuore.
     Il suo tono era ironico, ma Sara intuì che si sentiva spiazzato. Beh, lei non era da meno.
     – Ancora non hai risposto alla mia domanda. Chi diavolo è questo Papa Ciro?
     – Il suo vero nome è Ciro Annicchiarico. Un tempo faceva parte del clero, ma adesso è diventato il capo di una banda di briganti.
     Sara era sempre più perplessa. – Un prete che ruba? Oddio, meglio che essere pedofilo in fondo.
     Lui aggrottò la fronte. – Pedofilo? Come diamine parlate, si può sapere?
     Brigante o no, la persona che aveva di fronte doveva essere un bell’ignorante.
     Sara alzò gli occhi al cielo. – I pedofili sono quelli che stuprano i bambini.
     Un altro sorrisino ironico fece capolino sul suo viso abbronzato. – Una signora non dovrebbe nemmeno affrontare certi argomenti. Comunque potete star sicura: a Ciro piacciono le donne, non i ragazzini. E anche al sottoscritto.
     Finita la frase, riprese a fissarla lentamente, da capo a piedi, percorrendo con occhi insolenti ogni parte del suo corpo, per poi indugiare lo sguardo sulla scollatura della camicia. Per quale motivo la guardava in quel modo?
     Sara sbuffò. – Quindi derubate la gente? È per questo che mi stai puntando contro quella “cosa”? – indicò quell’arma antiquata, non sapendo come altro definire quel pezzo da museo – Vuoi i miei soldi?
     Aprì lo zaino con gesti impazienti. Ci mancava anche lo scippatore! Quella doveva essere la sua giornata sfortunata. Tirò fuori il portafogli e gettò per terra delle banconote. – Ecco, è tutto quello che ho!
     Il ladro fece una smorfia. – Cosa pensate che dovrei farci con quei pezzi di carta?
     Pezzi di carta? Erano ben cento euro!
     Sara incrociò le braccia sul petto. – Se non ti interessano i miei soldi, allora cosa vuoi da me?
     Lui fece un altro passo verso di lei, gli occhi fissi nei suoi. Sembrava un felino che girava intorno alla preda e un brivido di apprensione la inchiodò al suolo.
     – Domanda interessante – fece il brigante, scostando una ciocca di capelli che gli era ricaduta sulla fronte. – Potrei fare molte cose con voi, ma non ora. Adesso dobbiamo andarcene da qui. Mi stanno alle costole e non ho alcuna intenzione di farmi trovare.
     Sara spalancò gli occhi, inorridita. – Io non vengo da nessuna parte con te!
     Si voltò di scatto, cominciando a correre all’impazzata. Era senza fiato, ma continuò ad andare avanti, facendosi strada fra gli olivi che circondavano il letto del fiume e ignorando i sassi e le buche nel terreno che la facevano sbandare.
     Gocce di sudore le imperlavano la fronte. Non avrebbe resistito a lungo, ma non poteva cedere. Nella sua mente c’era un’unica certezza: doveva fuggire via da quel pazzo. Poi un pesante colpo a un fianco la fece cadere a terra. Il dolore fu lancinante e le tolse il poco fiato che le era rimasto. Un paio di mani l’afferrarono, girandola bruscamente, finché non si ritrovò a fissare gli occhi glaciali del brigante, o quello che era.
     – Dove diavolo credete di andare? Se pensate che vi lasci libera di correre a denunciarmi, vi sbagliate di grosso.
     Sara sputò qualcosa per terra. Forse sangue. Nella caduta si era rotta il labbro inferiore che sanguinava copiosamente. La testa le girava come in un vortice.
     – Non ho intenzione di denunciare nessuno – disse, non appena ritrovò un po’ di fiato. – Voglio solo tornare a casa.
     Lacrime di frustrazione le offuscarono la vista mentre lui la afferrava per le braccia, impedendole i movimenti.
     – Pensate che vi creda?
     – Ti prego, lasciami andare.
     Il corpo del brigante la schiacciava sotto al suo peso, togliendole il respiro. Inaspettatamente riprese a fissarla in un modo strano.
     – Chi diavolo siete?
     Con la mano le sfiorò il labbro sanguinante, per poi scendere con esasperante lentezza lungo la guancia e sul collo.
     – Cosa diavolo stai… – Sara era sempre più turbata. Non voleva pensare alle sensazioni provocate da quelle carezze. Non ora. – Toglimi le mani di dosso!
     Lui la ignorò. Continuando a tenerla inchiodata a terra, le afferrò il mento. Sara cercò di divincolarsi, ma l’uomo aveva dita d’acciaio. – Avete la pelle di una gran dama – riprese, come se stesse riflettendo ad alta voce. – E un ottimo profumo, di certo costoso. Non ne ho mai sentito uno uguale.
     Sara si sentì il cuore in gola. Cosa intendeva farle? Cercò di respirare normalmente, ma era difficile con lui che muoveva quella mano su di lei con una disarmante familiarità.
     Si ritrovò a fissare i suoi occhi di ghiaccio con sguardo supplice. Ma lui non la lasciò andare e continuò la sua esplorazione, insinuando una mano sotto la sua camicetta.
     All’improvviso lo sentì imprecare sottovoce. – Diamine, non indossate biancheria intima?
     Sara trattenne il fiato. Le sue dita ora le stavano accarezzando l’addome, fino a raggiungere l’ombelico. Avrebbe dovuto scalciare, lottare in qualche modo, invece si sentiva come paralizzata. Perché non aveva indossato una canotta sotto la camicia?
     Finalmente il brigante la lasciò andare. Con un movimento fluido si alzò in piedi, sollevandola di peso. Sembrava sofferente. Forse nella caduta si era ferito a sua volta, sebbene non mostrasse lacerazioni evidenti.
     Una volta in piedi, Sara lo fissò sospettosa. – Mi lascerai andare?
     – Niente affatto. Voglio sapere chi sei e da dove vieni.
     Finalmente aveva smesso di rivolgersi a lei con quel fastidioso “voi”. Forse al sud era considerato normale, ma Sara lo trovava decisamente antiquato.
     Sospirò. – Mi chiamo Sara Ferrari e vengo da Firenze. Sono qui in gita scolastica.
     – Gita scolastica? – Il brigante inarcò un sopracciglio.
     – Sì, ma mi sono persa e devo assolutamente ritrovare la mia insegnante e i miei compagni.
     – Non sei un po’ troppo grande per andare ancora a scuola?
     Lei alzò gli occhi al cielo, sbuffando. – Ho diciotto anni. Quest’anno prenderò il diploma e poi conto di iscrivermi all’università. Qualcosa in contrario?
     Lui fece una risatina. – Le donne non vanno all’università!
     Sara cominciava a irritarsi. Mise le mani sui fianchi, fissandolo con aria battagliera. – Ah, no?
     Lui ricambiò lo sguardo con ardore. – No. Qui da noi si sposano e mettono al mondo dei figli. È questo il loro dovere.
     – Fottiti.
     Il brigante rise più forte. – Sei proprio una ragazza bizzarra! Hai l’aspetto di una signora, ma imprechi come una lavandaia.
     Sara aprì la bocca e la richiuse di scatto, indignata. Come si permetteva? – Senti tu, maschilista dei miei stivali, non ho intenzione di restare qui un minuto di più, in tua compagnia. Ho cose ben più importanti da fare.
     Le labbra dell’uomo si incurvarono in un ghigno diabolico. – Temo di doverti contraddire, Sara. Dovrai sopportare la mia presenza ancora per un po’. Non ho alcuna intenzione di lasciarti andare – i suoi occhi azzurri la scrutarono con un’intensità disarmante. – A proposito, il mio nome è Giulio Guadalupi. Lieto di fare la tua conoscenza.
     Sara avrebbe voluto rispondergli che non le importava come si chiamasse, ma lui non le lasciò il tempo. Si mise due dita in bocca e fischiò. Un attimo dopo un cavallo dal manto nero corvino spuntò dal bosco di ulivi e si fermò proprio accanto a loro.
     Sara deglutì. – E questo da dove arriva?
     – Ti presento Nerone, il mio cavallo – rispose Giulio, con un sorriso sghembo.

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