domenica 22 maggio 2016

SCANDALOSI LEGAMI - IL BOOKTRAILER

Nel ricordarvi che "Scandalosi legami" è in promozione fino a fine maggio, vi lascio in compagnia del booktrailer, creato dalla bravissima Rossella Sicilia.

Buona visione!



venerdì 13 maggio 2016

OLTRE I CONFINI DEL TEMPO - SETTIMA PUNTATA

CAPITOLO 7


Q
uando quella sera Giulio si sedette a tavola, la prima cosa che notò fu l’assenza di Sara. Non l’aveva vista per l’intera giornata. Che lo stesse evitando? Quella ragazza era per lui un vero enigma. A differenza delle altre fanciulle della sua età non arrossiva in continuazione, sapeva come rispondere alle sue battute maliziose ed era terribilmente provocante.
     Eppure, se ci si prendeva qualche libertà nei suoi confronti reagiva sfoderando gli artigli come un gatto al quale si è pestata la coda. Tutto ciò era decisamente frustrante.
     – Madre, non vedo Sara a tavola – disse, fingendo un’indifferenza che era ben lontano dal provare. – L’avete fatta avvisare che la cena viene servita alle otto e mezza?
     Sua madre gli rivolse uno sguardo obliquo, sistemandosi il tovagliolo in grembo. – Sara non cenerà con noi. Come avrai notato tu stesso, le nostre abitudini alimentari non le si confanno. Ha preferito consumare un pasto leggero in cucina, con i domestici.
     C’era da aspettarselo. Evidentemente aveva scelto di stargli lontana. Lo irritava il fatto che avesse deciso di ignorarlo a tal punto. Diamine, era stato solo un bacio! E da quello che aveva potuto constatare, quella non era certo la prima volta che un uomo la baciava in quel modo.
     Era del tutto fuori luogo comportarsi da verginella offesa!
     Addentò un pezzo del suo pasticcio di carne, immerso nei suoi cupi pensieri. Ignorò persino le chiacchiere incessanti di sua madre, riguardo a una giovane debuttante che avrebbe voluto presentargli e consumò l’intera cena in silenzio. Non vedeva l’ora di alzarsi e andare a cercare quella piccola piantagrane.
     Voleva evitarlo? Ebbene, le avrebbe concesso quello che desiderava. Sarebbe partito l’indomani stesso per raggiungere Ciro e gli altri suoi compagni. Forse al suo ritorno la signorina avrebbe smesso di fare stupidi giochetti con lui. Era certo che un’intera settimana in compagnia di sua madre sarebbe stata più che sufficiente a farle apprezzare ciò che adesso sdegnava.
     Mise da parte l’ultima portata e si alzò da tavola, congedandosi con una scusa. Non seppe dare un nome a quell’urgenza che provava di vederla, di parlare con lei. Si disse che voleva accertarsi unicamente che stesse bene, prima di intraprendere il proprio viaggio.
     Ma intanto vedeva labbra morbide da baciare e forme sinuose da accarezzare.
     Forse stava impazzendo sul serio.

* * * * * * * * * *

Sara si gettò sul letto esausta. Per l’intera giornata non aveva fatto altro che battere tappeti, piegare lenzuola e lucidare tutta l’argenteria di casa. E pensare che la governante le aveva detto che per il primo giorno si sarebbero dedicate a lavoretti leggeri! Non osò pensare a cosa l’avrebbe aspettata il giorno successivo. Lei che aveva sempre detestato le faccende domestiche!  
     Un improvviso bussare alla porta interruppe le sue elucubrazioni. Si alzò sbuffando e aprì, ritrovandosi a fissare gli occhi penetranti di Giulio.



     – Che cosa vuoi? – chiese, per nulla felice di vederlo. La sola cosa positiva di quella giornata era stata il fatto di non aver avuto nulla a che fare con lui. Persino la cena le era stata servita in cucina, lontana da quegli occhi acuti e terribilmente affascinanti. Il solo vederlo lì, davanti a lei, le accelerò il battito cardiaco.
     – Potresti almeno fingere di gradire la mia presenza – rispose lui, appoggiandosi allo stipite della porta. Perché doveva essere così bello? Il suo fisico asciutto e muscoloso la confondeva al punto che finiva per scordarsi dov’era e con chi. Era irritante.
     Alzò gli occhi al cielo. – Perché dovrei? – disse, incrociando le braccia al petto. – Non amo le finzioni. Allora, perché sei qui?
     Lui fece un sorrisino. – Non mi fai entrare?
     – Fossi matta!
     Una bassa risata lo scosse. Poi tornò serio all’improvviso e un brivido scese lungo la schiena di Sara, guardandolo. Per un attimo pensò alle sue labbra calde che si muovevano sulle proprie e provò una fitta al basso ventre.
     No, invitarlo a entrare sarebbe stata la cosa più sbagliata da fare. Sarebbero finiti sul letto in meno di cinque minuti, questo era certo! Ma perché doveva esserci un’attrazione così forte tra loro? Era terribilmente sbagliato.
     Infine Giulio si schiarì la voce. Chissà se aveva intuito il suo turbamento? Sara si finse annoiata e attese che rispondesse alla sua domanda.
     – Sono passato a salutarti – disse, dopo un po’. – Domani all’alba parto.
     Non era affatto quello che si sarebbe aspettata. Sara ebbe un tuffo al cuore e corrugò la fronte. – Dove vai? Hai intenzione di lasciarmi qui da sola?
     Lui rise di nuovo e addolcì lo sguardo. – Devo raggiungere i miei compagni nel loro rifugio – spiegò, abbassando la voce e guardandosi intorno come se avesse paura che qualcuno potesse passare di lì e ascoltare i loro discorsi. – Ho ancora con me la refurtiva. Non vorrei che pensassero che li ho traditi e me la sono tenuta.
     Sara lo guardò in tralice. – E che ne dici di restituirla ai legittimi proprietari, invece?
     – Dico che non è un’opzione da prendere in considerazione. Vuoi vedermi penzolare da una forca, per caso?
     Lei sbuffò. Ancora non riusciva a credere di sentirsi attratta da un ladro. Se qualcuno glielo avesse detto, si sarebbe messa a ridere. – Tornerai? – chiese, con un filo di voce.
     Giulio le afferrò il mento per costringerla a guardarlo dritto negli occhi. – Ti mancherò?
     Avrebbe voluto rispondergli di no, ridergli in faccia… qualsiasi cosa pur di non rivelare quello che stava provando in quel momento. Non ci riuscì. – Vedi di non sparire – disse, invece. – Se mi lasci qui per sempre, con quell’arpia di tua madre, giuro che ti vengo a cercare e allora penzolare da una forca ti sembrerà la fine migliore che possa capitarti.
     Il sorrisino che lui le lanciò le fece tremare le gambe. – Ah sì? E cosa avresti intenzione di farmi?
     Sara ricambiò il sorriso con malizia. – Immagino che tu non abbia sentito parlare di una certa Lorena Bobbit, vero?
     – No. Chi diavolo sarebbe costei?
     – Una donna che tagliò l’uccello al proprio marito. Penso che non ti piacerebbe fare la stessa fine, vero?
     L’espressione di Giulio fu impagabile. Lo vide sgranare gli occhi e impallidire. – Stai scherzando – non era una domanda, bensì un’affermazione.
     Sara scrollò la testa, continuando a sorridere. – No, affatto.
     – Perché diavolo una moglie dovrebbe fare una cosa del genere al proprio marito?
     – Lui le aveva messo le corna.
     Giulio si grattò la testa, poco convinto. – La maggior parte dei mariti mette le corna alla propria moglie. Cosa c’è di insolito?
     A quel punto Sara restò interdetta. Quasi si era dimenticata del suo irritante maschilismo. – Evidentemente non tutte le mogli la vedono allo stesso modo – sibilò, lanciandogli l’ennesima occhiataccia.
     Giulio esitò. Pareva incerto se credere alle sue parole oppure farsi una risata. – E questo marito è ancora vivo?
     – Certo. Si è fatto rifare l’uccello, più lungo di quello che aveva prima.
     A quel punto lui rise davvero. Aveva persino le lacrime agli occhi. – Hai un senso dell’umorismo un po’ bizzarro, ma mi piace.
     Sara divenne seria all’improvviso. – Scherzi a parte, non ti azzardare ad abbandonarmi qui.
     Lo sguardo di Giulio si fece più cupo, intenso. Poi lui posò le labbra sulle sue, sfiorandole appena. – Ti prometto che tornerò a liberarti dalle angherie di mia madre – disse divertito, non appena si staccò da lei. – Starò via non più di una settimana.
     Una settimana.
     Sara capì che le sarebbe mancato. Sul serio.

* * * * * * * * * *

Quando fu solo nella sua stanza Giulio si lasciò cadere su una poltrona per sfilarsi gli stivali. Sentiva ancora sulle labbra il sapore di Sara ed era terribilmente eccitato. Diamine, si era trattato di un bacio talmente casto! Com’era possibile che l’avesse turbato in quel modo?



     All’improvviso il pensiero di non vederla per una settimana lo intristì. Non aveva mai provato un simile attaccamento per qualcuno, per una donna poi!
     Per un attimo pensò di placare la propria tensione sessuale con qualche servetta disponibile, ma scacciò quell’idea infastidito. Non voleva una donna qualsiasi. Voleva lei. Disperatamente.
     Forse starle lontano per un po’ era una buona idea. Se la sarebbe tolta dalla testa una volta per tutte e al suo ritorno avrebbe deciso cosa farne di lei. Di certo non poteva continuare a ospitarla nella casa in cui viveva sua madre. Avrebbe potuto proporle di diventare la sua amante e sistemarla in un appartamento da scapolo.
     Sì, quella era un’idea sensata.
     Basta con i giochi, le battute maliziose e via dicendo. In fondo era un uomo e aveva i suoi bisogni. Sara gli sarebbe stata grata per quella proposta. Che alternative aveva? La strada? Un lavoro onesto come istitutrice, presso qualche famiglia benestante, era impensabile. Con quella lingua e i modi di fare licenziosi l’avrebbero sbattuta fuori dopo un solo giorno.
     E di certo non poteva fare la sguattera. L’aveva osservata a lungo e non aveva mani da lavoratrice. Le sue dita erano lunghe e affusolate, la pelle morbida al tatto. Erano le mani di una signora.
     Nemmeno la vita in un bordello avrebbe fatto per lei. Nonostante non fosse una ragazza ingenua, sospettava che non avrebbe affatto gradito essere oggetto delle attenzioni di tanti uomini. Diamine, teneva a distanza pure lui!
     Sospirò, appoggiandosi allo schienale della poltrona. Le avrebbe concesso il tempo necessario per abituarsi all’idea, ma sarebbe stata sua. Molto presto. Un lento sorriso gli incurvò le labbra e finalmente si sentì in pace con se stesso.

mercoledì 11 maggio 2016

INAUGURAZIONE DI EWWA LIGURIA

Ciao a tutti,
vi annuncio che il 4 giugno, a Chiavari, verrà inaugurato il polo ligure di EWWA. Vi aspettiamo numerosi.


mercoledì 4 maggio 2016

OLTRE I CONFINI DEL TEMPO - SESTA PUNTATA

CAPITOLO 6


S
i svegliò dopo una notte particolarmente agitata, passata a rigirarsi nel letto. Non sapeva che ora fosse, ma il sole era già alto. Ne scorgeva la luce accecante filtrare attraverso le pesanti tende alle finestre.
     All’improvviso udì qualcuno bussare alla sua porta con insistenza. Si tirò su a sedere e gracchiò un invito a entrare. Si sentiva ancora un po’ intontita dal sonno, ma ben decisa a non darlo a vedere.
     La cameriera, la stessa che il giorno precedente l’aveva aiutata a fare il bagno e a vestirsi, entrò nella stanza con un gran rumore di passi. – Signorina dovete alzarvi! – disse, negli occhi un’ondata di panico. – La contessa è su tutte le furie! Dice che non ha intenzione di lasciarvi dormire tutto il giorno come una scansafatiche.
     Scansafatiche?
     Avrebbe voluto vedere lei, al suo posto. Trovarsi in un altro tempo, in mezzo a gente con abitudini completamente diverse dalle proprie… e in una casa lugubre come quella, che con ogni probabilità era infestata dai fantasmi. Non che credesse ai fantasmi. Ma come giustificare tutti quei rumori che l’avevano tenuta sveglia la notte?
     Sbuffò, saltando giù da quel letto che sembrava un mausoleo. – Arrivo. Giusto il tempo di lavarmi e vestirmi.
     La cameriera, che se ben ricordava si chiamava Gina, la fissò come se avesse appena detto un’eresia. – Volete lavarvi di nuovo? Ma avete fatto il bagno ieri!
     Sara restò con le braccia a mezz’aria, nell’intento di sfilarsi la camicia da notte. – E allora? In questa casa non si usa lavarsi ogni giorno?
     Non aveva intenzione di trascurare la propria igiene e ritrovarsi a puzzare come una capra.
     Gina andò a recuperare lo stesso fastidioso abito che le aveva fatto indossare il giorno precedente. – Nossignora! Sarebbe un vero spreco e una gran fatica per noi poveretti che dobbiamo trascinare secchi d’acqua calda su per le scale, per riempire la vasca.
     Suo malgrado si sentì in colpa. Non aveva idea che fare una cosa semplice come un bagno caldo comportasse un così duro lavoro per i servitori. Rimpianse la doccia di casa sua, soffocando un gemito di frustrazione.
     – D’accordo, niente bagno. Mi laverò come meglio potrò usando la bacinella e l’acqua che è rimasta nella brocca. Questo mi è consentito?
     – Certo, signorina.
     – Nel frattempo tu vai ad avvisare l’arpia… voglio dire la contessa… che scenderò fra poco.
     Gina represse un sorrisino e obbedì all’istante. Era certa che anche lei non avesse in simpatia quella donna arcigna, tutta vestita di nero, che sembrava un corvo. Sara sospettava che portasse anche sfiga.  

* * * * * * * * * *

Riuscì a lavarsi, utilizzando un po’ del bagno schiuma da viaggio che portava nello zaino. Poi si vestì, indossando sotto l’abito infernale la sua biancheria e cioè un paio di slip con un reggiseno coordinato. Indubbiamente più comodi di quel bustino che pareva uno strumento di tortura. Tanto chi le avrebbe mai guardato sotto il vestito?
     All’improvviso la mente le rimandò l’immagine di Giulio, come l’aveva visto la sera prima: gli occhi con le pupille dilatate solo per averle guardato le caviglie. Le si strinse lo stomaco e il cuore riprese a battere più veloce al solo ricordo. Se aveva reagito così per una caviglia nuda, cosa avrebbe fatto se gli avesse permesso di dare una sbirciatina sotto al vestito?
     Ricacciò indietro quel pensiero malvagio.
     Non si fa, Sara. Scordatelo!
     Infine indossò l’abito di mussola color indaco, abbottonando come meglio poteva quel numero infinito di bottoncini. Non aveva mai riflettuto su quanto l’invenzione della zip fosse stata utile per le donne del futuro, ma quel giorno ne ebbe la prova. Poi si infilò gli stivali, scartando le scarpine che le avevano prestato il giorno precedente. Sembravano quelle di una ballerina classica. Davvero orripilanti! Le mancava il tutù e poi sarebbe stata perfetta per esibirsi davanti alla contessa madre.
     Soffocando una risata, mise il naso fuori dalla porta. Sbirciò nel corridoio per controllare che non ci fosse Giulio nei paraggi. Non voleva incontrarlo. Era ancora parecchio imbarazzata per il bacio che si erano scambiati nel suo studio.



     Scese le scale in punta di piedi, cercando di non fare rumore. Arrivata davanti alla porta della saletta della colazione, accostò l’orecchio. Le avrebbero servito il pasto anche se era così tardi? Se lo sarebbe preparata da sola, ma non aveva la più pallida idea di dove fosse la cucina e quella casa era talmente immensa che avrebbe rischiato di perdersi, se si fosse messa a vagabondare.
     Le parve di udire delle voci concitate all’interno e aprì lentamente la porta, pregando che non si mettesse a scricchiolare. Per fortuna non lo fece. Pur sapendo che spiare non era educato, si mise in ascolto. La voce tonante di Giulio la fece sobbalzare. Pareva in collera.
     – Non ho intenzione di prendere moglie. Quindi rassegnatevi, madre.
     La cosa si faceva interessante. Sara si sporse un poco per riuscire a vedere. Giulio era seduto a un tavolo rotondo, con il giornale aperto e negli occhi un’espressione torva. Sua madre era in piedi davanti a lui e si torceva le mani. – Figliolo, sai bene quanto me che è tuo dovere sposarti e dare un erede al casato. Finora ti sei divertito come hai voluto. Sparivi da casa per intere settimane, mesi a volte, e non mi sono mai intromessa. Ma portare qui quella sgualdrinella è stato decisamente troppo. Quanto pensi che ci metteranno le voci a diffondersi per la città?  Le famiglie benestanti cominceranno a tenere lontane da te le loro figliole in età da marito. Sarebbe una tragedia!
     Lui inarcò un sopracciglio. – Dipende dai punti di vista. Per me sarebbe una vera fortuna, invece. E comunque Sara non è una sgualdrina.
     Ben detto!
     Come osava quella strega? Nemmeno la conosceva e già si permetteva di giudicarla!
     Si protese per riuscire ad ascoltare meglio. Adesso la contessa aveva tirato fuori il suo fazzolettino di pizzo per asciugarsi gli occhi.
     – Vuoi forse negare che te la porti a letto? – chiese, in un tono lamentoso che la irritò profondamente.
     Giulio la fulminò con lo sguardo. – Certo che lo nego! Non riesco a crederci, madre. Non è da voi usare un simile linguaggio.
     La contessa ebbe la decenza di arrossire. – Chiedo scusa, figliolo. È solo che non capisco perché tu ti voglia ostinare a ospitare qui quella ragazza. Mi ha detto di essere sola al mondo e di non avere un tutore che si occupi di lei. Probabilmente appartiene a una famiglia caduta in disgrazia ed è alla ricerca di un buon partito da sposare. Ha un bel visino, lo ammetto. Ma è al di fuori della tua portata. Tu meriti di meglio.
     La risata di Giulio riecheggiò nella sala da pranzo. – Siete fuori strada, madre. Quella ragazza non ha mire matrimoniali su di me, ve lo posso assicurare.
     – Come puoi esserne certo? Le fanciulle in età da marito sanno essere molto astute. Solo il fatto di essere riuscita a farsi ospitare in casa nostra mette tutti noi in una posizione imbarazzante. Tutti si chiederanno…
     Giulio sbatté il giornale sul tavolo. – Basta! Non mi interessano i pettegolezzi e dichiaro conclusa questa discussione. Non voglio sentirne parlare più, mi avete capito?
     La contessa arretrò di un passo, come se il figlio l’avesse schiaffeggiata. Beh, se lo sarebbe meritato! Poi, mormorando una frase di commiato, si diresse verso la porta.
     Sara fece giusto in tempo a richiuderla e ad allontanarsi. Si mise a sedere su una poltroncina nel corridoio, alzando sulla donna uno sguardo innocente, al suo passaggio. La vide irrigidirsi.
     – Desidero parlarvi, Sara. Immediatamente.
     Lei sospirò. Addio colazione!

* * * * * * * * * *

La contessa madre la fece accomodare nella biblioteca, in un’ala del palazzo che ancora non aveva visitato. La stanza era enorme, con intere pareti ricolme di libri. Sara avanzò verso una sedia, i passi attutiti dal magnifico tappeto persiano che ricopriva il pavimento. Aveva colori sgargianti che passavano dai toni del rosso vermiglio a quelli più tenui del giallo paglierino. Si sedette, senza staccare lo sguardo dagli occhi ferini della contessa, augurandosi che non avesse in serbo per lei l’ennesima ramanzina. Non ne poteva più di quella donna polemica e impicciona.
     – Mi dispiace di essermi svegliata tardi, stamattina – disse, prevenendo qualsiasi lamentela da parte sua. – Non ho dormito bene stanotte, ma non accadrà più. 
     – Lo spero bene. Se volete restare in questa casa dovrete rendervi utile. Mio figlio è un ingenuo, ma io non mi lascerò ingannare facilmente.
     Sara deglutì. – Cosa intendete dire?
      – Intendo dire che ripagherete la nostra ospitalità con il vostro lavoro.



     La contessa si avvicinò a una corda che pareva penzolare dal soffitto. La tirò e un campanello risuonò nei corridoi. – La nostra governante vi mostrerà cosa dovete fare. È tutto chiaro?
     In realtà nulla le era chiaro, ma annuì per non contraddirla. Desiderava fare tutto quel che era in suo potere per evitare discussioni con la padrona di casa e per non essere di peso.
     La porta si aprì e una donna bassa e rotondetta entrò a passo di marcia, protendendosi in un inchino. La contessa ricambiò il saluto con un rigido cenno del capo e poi tornò a posare lo sguardo su di lei. – Questa è Sara – disse in tono severo. – È desiderio di mio figlio che venga accolta in questa casa. Trovatele qualcosa da fare. Qualsiasi cosa.
     Sara osservò quella che doveva essere la governante con aperta curiosità. Vestiva con un abito di cotonina color grigio topo e portava i capelli, anch’essi grigi, tirati in una rigida crocchia sulla nuca. Non dava l’impressione di essere una persona cordiale, anzi tutto il contrario. Le sue pulsazioni accelerarono mentre si sentiva squadrata da cima a fondo, a sua volta.
     – Come desiderate, signora contessa – rispose la donna, dopo quell’attento esame. Sara si alzò in piedi, asciugandosi le mani sudate nella gonna dell’abito. Poi la contessa posò un ultimo sguardo su di lei. – La signora Matilde, la nostra governante, si occuperà di voi. Eseguirete i suoi ordini alla lettera, avete capito?
     Sara annuì di nuovo. – Sì, signora.
     La contessa le rivolse un sorriso tirato. – Bene. Potete andare, ora.

     Capì che avrebbe dovuto seguire la signora Matilde e attese che si avviasse, prima di uscire e richiudere la porta alle sue spalle. Il suo stomaco brontolò per la fame, ma lo ignorò. Avrebbe mangiato più tardi. Forse avrebbe scoperto dove si trovava la cucina, dopotutto.