mercoledì 27 aprile 2016

OLTRE I CONFINI DEL TEMPO - QUINTA PUNTATA

CAPITOLO 5


E
ra strabiliato. Non solo quella ragazza si era intrufolata nel suo studio, chiedendo un bicchiere di brandy come se fosse stata un suo compagno di bevute. Adesso si era messa in testa di farlo impazzire di desiderio?
     Se ne stava seduta in maniera scomposta sulla sua poltrona, le gonne sollevate abbastanza da lasciargli intravvedere le caviglie sottili e il seno che sporgeva dalla scollatura dell’abito in maniera indecente.
     E aveva appena detto che fornicare faceva bene alla salute!
     Cominciò a sudare, incapace di distogliere gli occhi da quella visione celestiale. Quasi senza rendersene conto si alzò, accorciando la distanza fra loro. Sara lo studiava da sotto le ciglia leggermente abbassate, le dolci labbra atteggiate a un’espressione di sincero stupore.
     – Beh, cosa ho detto di strano? – chiese, alzandosi in piedi a sua volta. 
     Incapace di resistere alla tentazione, Giulio la afferrò e le cercò le labbra. Fu sopraffatto dal suo profumo, un aroma floreale che gli fece venire l’acquolina. Dapprima la sentì irrigidirsi contro il proprio petto, ma quando le mordicchiò il labbro inferiore si rilassò. Aprì la bocca, permettendo alla sua lingua di entrare con irruenza. Era eccitato. Le mani di Sara si aggrapparono alla sua schiena e lui provò il desiderio di stringersi maggiormente a lei. Voleva bere il suo respiro, aspirare il suo odore… possederla.
     Poi tornò alla realtà e fece un passo indietro. – Dannazione! – Non avrebbe dovuto baciarla in quel modo. Cosa gli era preso? Era diventato uno sbarbatello privo di autocontrollo? Con il respiro ansante e il cuore che gli palpitava nel petto, le lanciò uno sguardo timoroso.
     – Mi hai baciata – fece lei, rompendo il silenzio. Non sembrava incollerita o sconvolta. Nei suoi occhi leggeva solo stupore.
     Deglutì. – Non puoi provocare a tal punto un uomo e pretendere che stia lontano da te. Ricordatelo, in futuro.
     – Io ti avrei provocato?
     I suoi occhi sembravano fiamme incandescenti. Adesso era irritata. Poteva percepire il suo sdegno dalla linea tesa della mascella.
     – Oseresti negarlo? Vieni qui, ti sollevi le gonne a mostrare le tue deliziose caviglie e…
     – Le mie deliziose caviglie? – Sara rise di gusto, gli occhi spalancati. – Non vorrai dirmi che le mie caviglie ti eccitano!
     Giulio si sforzò di tornare a respirare regolarmente. Aveva smesso di farlo non appena aveva posato le labbra sulle sue. – Qualsiasi cosa di te mi eccita, dannazione!
     Sara gli puntò un dito contro il petto, l’espressione corrucciata. – Beh, se sei infoiato vedi di fartela passare e non dare la colpa a me!
     – Vorrei farti notare che anche tu hai ricambiato il mio bacio.
     Lei incrociò le braccia sul petto, il viso che si tingeva di rosso come il sole al tramonto. – Mi hai colta alla sprovvista – si giustificò. – Non puoi infilarmi la lingua in bocca e… oh, al diavolo! Sei un vero bastardo!



     Giulio non riusciva a crederci. Quella ragazza imprecava sul serio come uno scaricatore di porto! Non aveva mai sentito una donna usare un simile linguaggio, nemmeno nei postriboli più malfamati di Taranto. E quella non doveva essere neppure la prima volta che veniva baciata in quel modo. Non gli era parsa spaventata da quell’intrusione. Anzi, aveva dischiuso le labbra e accolto la sua lingua famelica come se fosse stata esperta nell’arte del baciare.
     E chiaramente lo era.
     Diamine, era riuscita a fargli perdere totalmente l’uso della ragione con quel bacio. Cosa che neppure donne ben più esperte di lei erano mai riuscite a fare. Il solo pensiero lo irritò. Chi le aveva insegnato a baciare così? Non avrebbe dovuto importargli, eppure lo avrebbe volentieri preso a calci. Immerso nei suoi pensieri omicidi, quasi non si avvide che Sara si era avvicinata alla porta.
     Fu la sua voce a riscuoterlo. – Spero che non accada più. Nonostante in questa casa tutti pensino il contrario, non nutro interesse nei tuoi confronti. È chiaro?
     Giulio esitò. Cosa diavolo intendeva dire? Chi pensava che lei potesse avere delle mire su di lui?
     – Non potrei essere più d’accordo. Neppure io ho un particolare interesse nei tuoi confronti. La mia è stata pura lussuria.
     Sara si fermò per lanciargli un’ultima occhiata assassina. – Fottiti! – rispose, prima di varcare la porta.
     Nel caso in cui avesse avuto dei dubbi sul fatto che lei non fosse stata educata come una fanciulla della buona società, con quell’ultima parola li aveva fugati tutti. Decisamente.
     Suo malgrado, una risatina gli uscì dalle labbra tese.

* * * * * * * * * *

Sara era confusa. Il suo cuore batteva come le ali di un uccellino spaventato. Lo sentiva nelle costole, persino nella gola. Avrebbe voluto negare che quel bacio l’aveva sconvolta, ma sarebbe stato come mentire a se stessa. Nemmeno Mario era mai riuscito a causarle un tumulto simile. I suoi baci erano stati dolci, rassicuranti. Giulio invece era stato passionale e irruente. Irresistibile.
     Sara, levatelo dalla testa!
     Ci mancava che si innamorasse di lui. Di un uomo irritante, maschilista, ladro e per di più appartenente a un’altra epoca. Mai fra due persone erano esistite distanze più incolmabili. Era semplicemente impossibile.
     Entrò correndo nella propria stanza e richiuse la porta alle sue spalle, appoggiandovisi con la schiena, nel tentativo di calmare i battiti impazziti del proprio cuore. Aveva le guance in fiamme, non sapeva se di piacere o indignazione.



     Borbottando frasi senza senso, si avvicinò all’armadio dove erano state riposte le sue cose. Aprì l’anta di scatto, facendola cigolare, e afferrò il suo zaino per deporlo sul letto a baldacchino. Furiosa con se stessa per aver ricambiato il bacio di Giulio, tirò fuori il proprio spazzolino da denti e il dentifricio. Gli occhi le bruciavano e all’improvviso si rese conto che non sarebbe riuscita a trattenere le lacrime.
     Da quando era cominciata quell’avventura non aveva mai ceduto al pianto. Non ne aveva avuto il tempo. Tutto era accaduto così velocemente: l’incontro con Giulio, la notte trascorsa nel capanno di caccia, stretta fra le sue braccia, e infine il viaggio verso Taranto. Quando era giunta in quella casa si era sentita sollevata, solo per il fatto di avere un tetto sopra la testa e poter fare un bel bagno caldo. Ma ora tutta la drammaticità di quella situazione la investì come un uragano: si trovava sola,  in un mondo a lei sconosciuto, senza la minima idea di come fare a ritrovare la strada di casa.
     E Giulio era il suo unico punto di riferimento. Che lo volesse o no, aveva bisogno di lui. Eppure era terrorizzata da ciò che provava in sua compagnia. Emozioni talmente intense da fermare il respiro e che la facevano sentire vulnerabile.
     Si asciugò le lacrime con un gesto rabbioso. Piangere non l’avrebbe aiutata. Doveva essere forte, escogitare un piano. Ma più ci pensava, meno aveva le idee chiare. Alla fine prese spazzolino e dentifricio, avvicinandosi a una bacinella posata su un piccolo tavolo rotondo, accanto al letto. Vi versò l’acqua contenuta in una brocca e cominciò a lavarsi i denti, con gesti meccanici. Poi si deterse il viso, cercando di lavare via le lacrime e il rossore che si era formato attorno agli occhi.
     Ci avrebbe pensato l’indomani, dopo una notte di riposo. Come diceva Rossella O’Hara in Via col vento, domani è un altro giorno. Si sforzò di crederci.
     La parte più difficile fu togliersi l’abito che era stata costretta a indossare dopo il bagno. Era chiuso con una marea di minuscoli bottoncini dietro la schiena e sotto l’abito i lacci del corsetto rendevano l’impresa ancora più complicata. Ora capiva perché le dame di un tempo avevano sempre una cameriera che le aiutava a svestirsi! Ma lei non voleva ricorrere all’aiuto di nessuno. Se l’era sempre cavata da sola, anche nelle difficoltà. Doveva solo ingegnarsi.
     Quando finalmente riuscì a uscire da quell’insopportabile vestito si sentì come rinascere. Adesso poteva riprendere a respirare normalmente, senza sentire la gabbia toracica compressa da quell’orrendo bustino.
     Rabbrividì. Nonostante nel camino ardesse un bel fuoco, sentì il freddo aggredirle la pelle nuda. Si affrettò ad afferrare la camicia da notte di lino che le era stata lasciata sul letto e la indossò. Poi si mise sotto le coperte, rilassandosi per il tepore che la avvolse subito dopo.
     La stanza era rischiarata da una lampada a olio, situata sul suo comodino. Per un attimo pensò di tenerla accesa tutta la notte, ma non era una buona idea. Se fosse caduta mentre lei era addormentata, causando un incendio? Gli incendi erano piuttosto frequenti in quell’epoca.
     Sospirò e la spense, ritrovandosi nel buio più totale. Le tende erano state tirate e non entrava il minimo spiraglio di luce dall’esterno. In compenso sembrava che la casa fosse invasa dai rumori: scricchiolii, passi… le parve di sentire persino dei flebili lamenti.

     Tremò, rannicchiandosi maggiormente sotto le coperte. Infine la stanchezza si impadronì di lei.

domenica 17 aprile 2016

OLTRE I CONFINI DEL TEMPO - QUARTA PUNTATA

CAPITOLO 4


Q
uando la rivide per la cena Giulio stentò a riconoscerla. Era stata lavata, vestita e acconciata secondo la moda del momento. Era un incanto. Indossava un abito di mussola color indaco, che ben si adattava al colore dei suoi occhi. I capelli le erano stati acconciati sopra la nuca, ma qualche ricciolo ribelle le ricadeva sulla fronte e sul viso, donandole un aspetto sbarazzino che lui trovava adorabile.
     Inevitabilmente il suo sguardo scese verso la scollatura che metteva in mostra la pelle delicata del collo e il seno generoso. Deglutì, alzandosi in piedi e salutandola con un cenno del capo.
     – Siete davvero incantevole – disse, dopo essersi schiarito la voce. Cos’era quell’emozione che sentiva nel petto? Ammirazione? Lussuria? Era confuso.
     Sara si mosse in fretta verso la tavola apparecchiata, le labbra carnose strette in un piccolo broncio. Lui le scostò la sedia, secondo i dettami del bon ton, e attese che si accomodasse prima di tornare a sedersi a sua volta.
     Lei si protese verso di lui. – Questo abito è terribilmente scomodo – sussurrò, gli occhi che mandavano lampi di irritazione. – Sono stata costretta a indossare un bustino che non mi permette neppure di respirare. Rivoglio i miei vestiti. All’istante.
     Giulio sorrise. Quella creatura era adorabile. Non aveva mai incontrato una donna che lo divertisse e ammaliasse allo stesso tempo. – Credo che mia madre li abbia fatti lavare, ma prometto che ti verranno restituiti. A ogni modo, prima non scherzavo: sei bellissima, scomodità a parte.
     La contessa madre, seduta all’altra estremità del tavolo, tossicchiò, portandosi il tovagliolo alla bocca. – Non è educato bisbigliare a tavola!
     Immediatamente entrambi si scusarono e i lacchè cominciarono a servire. Durante la cena dominò il silenzio. Giulio era dannatamente consapevole dello sguardo accusatorio di sua madre e preferì ignorarlo, piuttosto che avviare una discussione spiacevole che avrebbe messo la sua ospite in imbarazzo. Si propose, tuttavia, di parlare con lei più tardi.
     Tornò a studiare l’elegante figura di Sara che stava portando la forchetta alla bocca. Era affamato, eppure non riusciva a concentrarsi sul cibo che aveva nel piatto. I suoi occhi erano calamitati da quella giovane donna e dalle sue adorabili labbra. Dannazione, avrebbe voluto baciarle, morderle… persino succhiarle fino a strapparle gemiti di piacere. Era forse impazzito?
     La vide portare alla bocca un pezzo di fagiano arrosto e quasi gli sfuggì un ansito. – Trovate il cibo di vostro gusto? – chiese per distogliere l’attenzione da quelle labbra.
     Lei sollevò lo sguardo. – Oh, sì. È tutto molto buono, ma non credo che riuscirò a mangiare qualcos’altro. Sono decisamente sazia.
     – Ma ci sono ancora altre tre portate! – si intromise la contessa madre, lanciandole un’occhiata di sdegno.
     Sara sgranò gli occhi, com’era solita fare quando qualcosa la sorprendeva. – Altre tre? Ma abbiamo già mangiato una zuppa di porri, prosciutto in gelatina, un pasticcio di carne e ora il fagiano arrosto! Cos’altro prevede il menù?
     Giulio era indiscutibilmente divertito. Osservò la madre posare cauta la forchetta sul tavolo e portarsi nuovamente il tovagliolo alla bocca. – Ho fatto preparare carciofi alla Bariguole, aspic alla dominicana e una bavarese alle fragole. È solo una cena leggera, non capisco di cosa vi lamentiate.
     La loro ospite pareva sul serio sbalordita. – E questa la definite una cena leggera? Il menù di un  pranzo natalizio prevede meno portate! Non avete paura di diventare dei barili, abbuffandovi in questo modo?
     – Prego? – La voce della madre era diventata insopportabilmente acuta. Il che significava che era sull’orlo di una crisi di nervi. Evidentemente a Sara non erano state insegnate le regole dell’etichetta: mai criticare la scelta dei menù in presenza della padrona di casa!
     Sorrise. – Temete di diventare grassa e brutta, Sara? Permettetemi di rassicurarvi, il vostro corpicino è adorabile.
     Invece si sentirsi lusingata per il complimento, lei lo incenerì con lo sguardo. – Per forza! Faccio molta attenzione a quello che mangio. Ma voi non mangiate sempre così, vero?
     Giulio stavolta si lasciò sfuggire un’aperta risata. – Certo che no. Se diamo un ricevimento le portate aumentano considerevolmente. E, a proposito di pranzi natalizi, il nostro prevedeva ben cinque entrate, quattro antipasti, tre primi piatti con altrettanti contorni e quattro dolci.
     Sara rimase a bocca aperta per un interminabile attimo. – Alla faccia del colesterolo e dei trigliceridi! Non avete intenzione di campare a lungo, vero?
     Giulio era perplesso. Cosa aveva detto? – Temo di non seguirvi. Talvolta parlate in una lingua che a me sembra del tutto sconosciuta.
     La vide agitare una mano per aria. – Non ha importanza. Andiamo avanti con la cena. Non sia mai che a causa mia siate costretti ad andare a dormire a stomaco vuoto!
     Giulio si sforzò di non badare al suo tono ironico e lo stesso fece sua madre. Ma di sicuro lei non le avrebbe perdonato quella stoccata. Era una donna estremamente rigida e rancorosa.

* * * * * * * * * *

Sara si appoggiò allo schienale della sedia, gli occhi pesanti per il troppo cibo e la stanchezza. La cena era durata quasi tre ore! E a sentir loro era una cena normale, come quella di tutte le altre sere.
     Le veniva da vomitare.
     Sollevò uno sguardo stremato su Giulio che si stava alzando. Era l’ora! Fece per seguirlo, ma la voce stridula della contessa madre la bloccò. – Desidero scambiare due parole con voi, Sara. Così mio figlio sarà libero di ritirarsi nel suo studio per bere il suo solito brandy, prima di raggiungerci nella sala della musica.
     Sala della musica?
     Volevano torturarla? In realtà lei sognava di buttarsi sul letto e dormire fino a tarda mattina. E prima, avrebbe bevuto volentieri anche lei un bicchierino di qualcosa di forte come digestivo. Non era carino che nessuno si fosse premurato di offrirgliene. Forse si erano offesi perché aveva criticato le loro abitudini alimentari.
     Trattenne a forza uno sbadiglio. – Come desiderate, contessa.
     Accompagnò con lo sguardo Giulio che, dopo essersi congedato, uscì dalla stanza. Gliel’avrebbe fatta pagare per averla lasciata sola con quell’arpia, questo era certo! Poi tornò a fissare quella donna arcigna, vestita di nero. Sembrava una cornacchia.
     – Desidero informarvi che se avete delle mire su mio figlio, sarebbe meglio per voi lasciar perdere – disse l’arpia.
     Sara aggrottò la fronte. – Mire di che genere?
     La contessa sbuffò, tirando fuori da non so dove un ventaglio – nero anch’esso – e cominciando a sventolarlo con foga. – Mire matrimoniali, che altro?



     Lei restò di nuovo a bocca aperta. Quella donna doveva essere completamente pazza. Lei e Giulio si conoscevano da appena due giorni!
     – A parte il fatto che sono un po’ troppo giovane per sposarmi – le rispose, stringendo convulsamente fra le dita il tovagliolo. – Dubito che sceglierei come consorte vostro figlio. Non so praticamente nulla di lui.
     La donna aggrottò la fronte, studiandola. – Quanti anni avete?
     – Diciotto, signora contessa.
     – Allora non siete affatto troppo giovane. Avete l’età perfetta per essere presentata in società.
     Sara la fissò, cauta. – Non voglio essere presentata a nessuno, signora. Sul serio, non desidero sposarmi adesso.
     L’arpia cominciò a giocherellare con le posate. Pareva nervosa. – E cosa contate di fare della vostra vita? A quanto mi sembra di capire siete sola al mondo, senza un tutore e senza mezzi di sostentamento. Sbaglio, forse?
     Non sapeva dove volesse arrivare, ma quel discorso non le piaceva. Avrebbe voluto dirle che aveva una famiglia che l’amava e attendeva con ansia il suo ritorno, ma non era esatto. Lì, in quel tempo e quel luogo era realmente sola e senza mezzi di sostentamento. Un brivido le scese lungo la schiena. – Non sbagliate, no.
      – Ebbene, se in quella vostra testolina vi siete messa in testa di incastrare mio figlio per farvi sposare e mantenere, sappiate che non ve lo permetterò nella maniera più assoluta. Farò qualsiasi cosa in mio potere pur di impedirvelo, mi avete capito bene?
     Sara era furiosa. Come si permetteva? Si alzò di scatto, facendo quasi rovesciare la sedia. – Vi ho già detto che non desidero sposare vostro figlio. Siete sorda, per caso?
     La donna trasalì. Evidentemente non era abituata a un linguaggio tanto schietto, ma lei non se ne curò. Era stata oltremodo offensiva con quella storia delle mire matrimoniali e via dicendo. Ci mancava che l’accusasse di essere una escort in cerca di un protettore!
     – E ora vi prego di scusarmi – disse, avviandosi verso la porta. – Sono molto stanca.

* * * * * * * * * *

Invece di salire al piano di sopra, dove le era stata preparata una stanza, Sara chiese a uno dei servi dove fosse lo studio del conte. Non sapeva se raccontargli delle farneticazioni di sua madre, ma non se la sentiva di ritirarsi per la notte con la cena sullo stomaco. Decisamente aveva bisogno di un digestivo.
     Bussò alla porta e attese che lui la invitasse a entrare. Quindi infilò la testa all’interno.
     – Disturbo? – chiese, cercandolo con lo sguardo. Era sprofondato su una poltrona, con un bicchiere in una mano e l’aria meditabonda.
     Vedendola, si alzò di scatto. – Prego, accomodati. È accaduto qualcosa di spiacevole? Mia madre ti ha aggredita o rimproverata o…
     Lei entrò nella stanza, chiudendo la porta alle sue spalle. – Non desidero parlare di tua madre. Posso avere qualcosa di forte da bere? Un brandy andrà benissimo.
     Giulio la osservò come se avesse appena detto una cosa indecente. – Vuoi un brandy?   
     – Beh, non è quello che stai bevendo tu?
     – Certo. Ma io sono un uomo.
     Sara roteò gli occhi. Di nuovo con quella storia del maschilismo. Non ne poteva più. – Sono abituata agli alcolici e non mi sentirò male, se è questo che temi.
     In realtà si era anche sbronzata una volta o due, in compagnia dei suoi amici. Ma non lo disse. Aveva la sensazione che un uomo di quell’epoca non potesse capire. Si limitò a prendere il bicchiere che lui le porgeva e si accomodò a sua volta su una poltrona, piegando le gambe in modo da rannicchiarcisi sopra. Con tutte quelle sottane fu un po’ difficile, ma alla fine riuscì a trovare una posizione sufficientemente comoda.



     Giulio intanto la fissava coi suoi occhi da predatore. – Non credo che trovarci da soli in questa stanza, a bere, possa giovare alla tua reputazione. Se mia madre lo scoprisse andrebbe su tutte le furie.
     Sara scrollò le spalle. – Oh, non ho dubbi in proposito. Penserebbe che io voglia sedurti.
     – Di solito è il contrario.
     – Come?
     Giulio si portò il bicchiere di brandy alle labbra, senza distogliere lo sguardo da lei. – Di solito si è portati a credere che sia l’uomo a voler sedurre la donna.
     Sara rise. – Beh, non tua madre. Credimi, è terrorizzata all’idea che io ti irretisca.
     – Prego?
     Con una sorsata Giulio finì di svuotare il proprio bicchiere e lo posò su un tavolino rotondo, alla sua destra. Poi allungò le lunghe gambe muscolose, alla ricerca di una posizione più comoda. Sara era, suo malgrado, affascinata da lui. Bevve un po’ del suo brandy mentre Giulio tirava fuori da una tasca un sigaro, accendendolo con studiata lentezza.
     – Non dovresti fumare, sai? È dannoso alla salute.
     Lui inarcò un sopracciglio, in un gesto che le era ormai familiare. – Questo dove l’hai sentito dire?
     – Lo so e basta.
     Giulio ignorò il suo avvertimento e prese una boccata di fumo, gli occhi sempre fissi su di lei. – Sembri ossessionata dalla salute. Il troppo cibo, il fumo… c’è qualcosa di piacevole che secondo te non faccia male?
     Lei ci pensò su un istante e sorrise. – Il sesso, per esempio. Si dice che quello faccia benissimo.

     Giulio cominciò a tossire. Aveva le lacrime agli occhi e dovette mettere da parte il sigaro. Quando si fu ripreso, le lanciò un’occhiata talmente penetrante che Sara sentì le farfalle nello stomaco. – Ti stai addentrando in un terreno pericoloso, Sara. Vuoi provocarmi?

lunedì 11 aprile 2016

OLTRE I CONFINI DEL TEMPO - TERZA PUNTATA

CAPITOLO 3


N
onostante il giuramento, Giulio tenne lo sguardo fisso sulla ragazza. Cercò di convincersi che lo faceva per controllarla meglio, ma la verità era che lei lo affascinava. Anche troppo. Adorava la caparbietà che la caratterizzava e la sua sfrontatezza. Per non parlare del suo visino da bambola e della pelle diafana. Non aveva mai visto una donna con una pelle così morbida e profumata. E pulita.
     I suoi capelli erano di una tinta particolare, a metà fra il biondo e il rossiccio. A guardarli sembravano un manto setoso che gli sarebbe piaciuto sfiorare con le dita. Quasi gli prudevano dalla voglia di toccarli!
     Quando ebbe finito di fare i suoi bisogni e lo raggiunse, aveva ancora lo sguardo corrucciato. Si chiese come fosse possibile che una donna abituata ad andare in giro vestita in quel modo, con le gambe fasciate in un paio di calzoni così stretti da non lasciare nulla all’immaginazione, si dimostrasse poi così pudica.
     Era un vero mistero. E lui adorava gli enigmi.
     – Se hai finito, possiamo tornare dentro – disse, con un tono più brusco di quanto desiderasse. – Come ti ho detto, domani ho intenzione di ripartire all’alba. Nel tempo che ci resta sarà meglio dormire un po’.
     Lei lo precedette all’interno del capanno senza proferire parola. Ma una volta dentro, tornò a fissarlo con apprensione. – Tu dove dormirai? C’è un solo letto qui dentro, se si può chiamare così.
     Giulio seguì il suo sguardo fino a incontrare il giaciglio di paglia su cui l’aveva adagiata dopo lo svenimento. Ancora non gli era chiaro perché avesse perso i sensi, tutto a un tratto. Era abituato a vedere le donne cadere in deliquio, ma di solito lo facevano perché indossavano bustini troppo stretti o per attirare l’attenzione. Ed entrambi i casi erano da escludere.
     – Vorrà dire che lo divideremo – rispose, aspro.
     Gli occhi di Sara lo fulminarono. – Che hai detto? Tu sei completamente pazzo! Non verrò a letto con te, nemmeno…
     Quella ragazza riusciva a essere esasperante, a volte. Sospirò. – Tranquilla, non attenterò alla tua virtù. Non ho appena detto che abbiamo bisogno entrambi di dormire? E comunque, se devo tenerti d’occhio questa è la soluzione migliore. Non voglio essere costretto a montare di guardia, nel timore che tu fugga via nel bel mezzo della notte.
     Lei schioccò la lingua, stizzita. Ma per fortuna non obiettò.
     La vide dirigersi verso il letto a passo di carica e scuotere energicamente la coperta. – Scommetto che sarà piena di pidocchi – sbottò, guardandolo in tralice.
     Proprio non riuscì a evitare un sorrisino. – Mi dispiace, principessa. La prossima volta vedrò di procurarmi un letto con lenzuola di seta.
     Sara gli mostrò la lingua e si sdraiò, voltandogli le spalle. Gli piacevano i loro battibecchi. La trovava decisamente attraente quando lo squadrava dall’alto in basso, con gli occhi che brillavano di furia. Chissà come sarebbe stato domare quella puledra selvaggia!
     Continuando a ridacchiare, si tolse la camicia e la gettò su una sedia di legno davanti al camino. Poi raggiunse Sara e si sdraiò al suo fianco. Il letto era piccolo e c’era appena spazio per entrambi; il che lo costrinse a stringersi a lei più del dovuto. Non appena i suoi lombi sfiorarono le natiche sode di quel corpo femminile, il suo membro ebbe una reazione del tutto naturale.
     Trattenne il respiro. Non sarebbe stato affatto facile dormire, quella notte. Nonostante necessitasse di un po’ di riposo, pareva che una parte di lui fosse più che pronta a trascorrere il tempo in modo più piacevole. Dovette ignorarla. Non aveva mai posseduto una donna contro la sua volontà e qualcosa gli diceva che Sara sarebbe stata tutt’altro che disposta a concederglisi.
     A un tratto lei si mosse, alla ricerca di una posizione più comoda e lui si lasciò sfuggire un sibilo.
     Sarebbe stata una notte molto lunga.

* * * * * * * * * *

Fu svegliata da un paio di mani forti che l’afferravano, scuotendola. – Mamma, lasciami dormire ancora un po’. Ti prego… – borbottò, crogiolandosi nel cupo nulla dell’incoscienza.
     Una voce che non era affatto quella di sua madre la raggiunse, come se provenisse da lontano.
      – È proprio l’ora che ti svegli, ragazza. Muoviti, se non vuoi che ti prenda a sculacciate!
     Trasalì e aprì gli occhi di scatto. La stanza era ancora immersa nell’oscurità. Solo una flebile luce penetrava dalla finestra, a informarli che il sole stava per sorgere.
     Sara si mise a sedere, stropicciandosi gli occhi. Aveva le ossa rigide e i muscoli contratti. Dovette stiracchiarsi come un gatto, prima di riacquistare sensibilità agli arti. Poi il suo sguardo calò sulla persona che l’aveva svegliata.
     Oh, no! Non era stato un sogno. Giulio Guadalupi la stava studiando con un’espressione torva su quel suo viso da dio greco, la mascella solcata da un lieve accenno di barba.
     – Non può essere vero! – si lasciò sfuggire, facendo trapelare il proprio sconforto.
     – Che cosa, principessa?
     – Che tu sia ancora qui. Credevo che non fossi reale e di averti solo sognato.
     Lui fece un ampio sorriso. – Credimi, ragazza, mi farebbe piacere far parte dei tuoi sogni, ma tutto questo è molto reale e se non ci sbrighiamo i gendarmi ci raggiungeranno. Quindi muovi quelle chiappe e scendi dal letto.
     Scrollò le spalle. – A me cosa importa se i gendarmi ci trovano? Sei tu quello accusato di furto, non io.
     Giulio le dedicò uno sguardo ironico. – Penseranno che tu sia mia complice. Non ti è passato per quella tua graziosa testolina?
     Sara scese dal letto con un balzo. L’aria del mattino era piuttosto fresca e rabbrividì. Poi gettò un’occhiata obliqua al suo sequestratore. – Mi basterà raccontare che mi hai rapita, per scagionarmi.
     – E credi che ti daranno retta? Una ragazza, vestita da uomo, si aggira per i boschi del Salento in compagnia di un brigante. La storia del rapimento sarebbe poco credibile. Neppure un bambino ci cascherebbe.
     Sara si strinse le braccia intorno al corpo e imprecò sottovoce. – Ma tu mi hai davvero rapita. Mi interrogheranno e allora io gli dirò…
     – Hai un’idea di come facciano gli interrogatori? – chiese Giulio, inarcando un sopracciglio. Si allontanò da lei per recuperare la propria sacca e la sella, che aveva portato dentro il capanno la sera precedente. – Usano la tortura come metodo di persuasione. Ti farebbero rinnegare la tua stessa madre, fidati di me!



     Lei boccheggiò. Il freddo che le invase le membra ora era molto più intenso. – Ho sbagliato prima. Tu non fai parte di un sogno, bensì di un incubo!
    Giulio le diede una pacca sul sedere e lei strillò. – Coraggio, ci aspetta una lunga cavalcata – le sussurrò all’orecchio.
     Un attimo dopo erano entrambi in sella, pronti per rimettersi in viaggio. Al contrario della precedente, quella era una mattina uggiosa. Fastidiose gocce di pioggia ricadevano sul terreno, rendendolo fangoso e rallentando il loro procedere. Sara si lasciò cadere contro il robusto torace di Giulio, alla ricerca di un po’ di calore. Malgrado la difficoltà della situazione quel contatto era piacevole.
     Lui emanava un forte odore di fumo di legna e di maschio. Stranamente quel fatto la confortò, come se si sentisse al sicuro fra le sue braccia.
     Sara chiuse gli occhi, ascoltando i rumori del bosco intorno a loro. Il lieve tintinnio delle briglie e della pioggia la cullarono, al punto che dovette fare uno sforzo per tenere gli occhi aperti.
     – Dormi pure, se vuoi – la riscosse la voce di Giulio. Aveva un tono dolce che prima non gli aveva mai sentito usare. – Ti sorreggo io.
     – Grazie – mormorò Sara, rilassandosi contro quel corpo caldo. Non poteva vedere il suo volto, essendo dietro di lei, ma riuscì ugualmente a percepirne il sorriso sfrontato. – A proposito, dove siamo diretti?
     – A Taranto.

* * * * * * * * * *

Impiegarono un’altra intera giornata di viaggio prima di giungere in città, sul calar del sole. Guardandosi intorno, Sara ebbe l’impressione che ci fosse qualcosa di familiare in quei luoghi, ma allo stesso tempo si sentiva in un mondo a lei sconosciuto.
     Sbatté le palpebre. Era già stata a Taranto insieme alla sua classe. Avevano soggiornato in un albergo un po’ decentrato, ma con tutte le comodità. Eppure adesso sembrava così diversa! Tanto per cominciare era troppo buia. Se doveva credere alla teoria del viaggio nel tempo – e ancora non ne era del tutto convinta – questo fatto poteva spiegarsi con la mancanza di energia elettrica.
     Sospirò, lasciando vagare lo sguardo lungo la strada polverosa. Qua e là si scorgeva qualche carro, oppure un cavaliere solitario. Le case poi non erano i palazzi a cui era abituata, ma edifici a non più di tre piani, costruiti in pietra, con grandi finestre e principalmente senza balconi. Avevano un aspetto imponente, ma sobrio e austero. Alcuni erano circondati da un piccolo cortile, altri davano direttamente sulla strada. – Bene, adesso che siamo qui che facciamo? – chiese, rivolta al suo compagno di viaggio. In realtà non aveva idea del motivo che li aveva condotti lì. Un criminale in fuga non avrebbe dovuto evitare i luoghi affollati? Sarebbe stato più logico andarsi a nascondere fra le montagne, piuttosto che in una grande città.
     Lui fece svoltare Nerone in una strada stretta e buia, per poi sbucare in una piazza. – La mia famiglia vive qui. Ci ospiteranno, almeno fino a quando non deciderò di raggiungere i miei compagni nel nostro rifugio. Se mi fossi diretto subito lì, avrei rischiato di portarmi dietro uno stuolo di gendarmi, nel caso mi avessero seguito. Aspetterò che si calmino le acque e poi mi metterò in contatto con loro.
     Sara era perplessa. – Non capisco. Non hai paura che casa tua sia il primo posto in cui verrebbero a cercarti? – Era una deduzione logica, com’era possibile che non ci fosse arrivato da solo?
     Lui tirò le redini all’improvviso, davanti a un cancello. Nell’oscurità Sara non riusciva a distinguere bene, ma le pareva che quella fosse una residenza alquanto signorile.
     – I gendarmi non conoscono la mia vera identità, sciocchina. Pensi che io sia stato così stupido da gridare ai quattro venti il mio nome? Nessuno qui mi collegherebbe al brigante della banda di Papa Ciro, a meno che non sia tu a vuotare il sacco.
     Sara percepì il suo sguardo diffidente e quasi le scappò un sorriso. Adesso chi aveva il coltello dalla parte del manico? Ma non ebbe il tempo di godersi il proprio trionfo che Giulio saltò giù dalla sella, aiutandola a scendere a sua volta. – Siamo arrivati – disse, afferrandole il braccio con tanta forza da strapparle un gemito. Aveva ancora paura che scappasse? Ma dove poteva andare in quella città sconosciuta, dove le persone vestivano secondo la moda ottocentesca e andavano in giro su carri o cavalli? Avrebbe potuto pensare che stessero girando un film, ma quale attore sequestrerebbe una ragazza che si è persa, facendole credere di aver fatto un salto nel tempo? E poi tutto sembrava troppo reale per essere semplicemente un set cinematografico.
     Giulio la strattonò, riscuotendola dai propri pensieri. La teneva stretta al suo fianco e la stava fissando con aria interrogativa. – Ti sei incantata? Coraggio, entriamo in casa. Non vedo l’ora di godermi un pasto caldo, finalmente.
     A quelle parole il suo stomaco brontolò molto poco educatamente. Sara arrossì e distolse lo sguardo, fissandolo sulla costruzione davanti a sé.
     Merda.
     La casa era davvero enorme. In pietra grigia, aveva linee squadrate ed eleganti e vi si accedeva lungo un viale che attraversava un piccolo giardino. A lato della casa padronale si trovavano le stalle e una rimessa per le carrozze. Giulio si diresse da quella parte, trascinandosi dietro lei e Nerone. – Sei sicuro che sia questa la tua casa? – gli chiese, ancora incredula. Sapeva con certezza che non era ubriaco, però era possibile che gli fosse andato di volta il cervello. Quella era senza ombra di dubbio la residenza di un aristocratico!



     Giulio fu scosso da una breve risata. – Vuoi che non riconosca la casa dove sono nato?
     Quello che aveva tutta l’aria di un garzone di stalla si mosse veloce verso di loro, evidentemente con l’intenzione di prendere in consegna il cavallo. – Buonasera signor conte, bentornato! – disse, abbozzando un inchino.
     Signor conte?
     Doveva aver capito male. Sara rivolse uno sguardo incredulo al suo accompagnatore. – Sbaglio o ti ha chiamato conte?
     – Conte Giulio Guadalupi di Nardò, per servirvi – fece a sua volta un inchino nella sua direzione, un sorriso divertito a illuminargli il volto.
     Per poco non le cascò la mascella. Non riusciva a crederci!
     – Stai cercando di dirmi che sei un aristocratico?
     – Ebbene sì, è proprio ciò che sono. Sorpresa?
     Sara lo seguì sul viale che conduceva all’abitazione principale, gli occhi ancora sgranati. – Sei un aristocratico e derubi la gente? Ma non ti vergogni? Pazienza se lo facessi per necessità, ma così…
     Prima che potesse continuare Giulio l’afferrò, tappandole la bocca. – Cristo, ragazza… vuoi stare zitta?
     Lei gli morse un dito, facendogli ritirare la mano di scatto. Dalle labbra del conte sfuggì un’imprecazione ben poco signorile, ma Sara non ci fece caso. Era troppo impegnata a seguire il corso dei propri ragionamenti. – Dimmi perché lo fai. E non venirmi a raccontare che hai bisogno di soldi, perché con una casa così non ti crederebbe nessuno!
     Giulio si massaggiò la mano, negli occhi un’espressione bellicosa. – Non è per il denaro. I motivi che mi spingono sono di carattere politico.
     Sara era ancora più confusa. Lo seguì su per una scalinata di marmo, sforzandosi di stare al suo passo. – E quali sarebbero questi motivi?
     – Ciro ed io siamo entrambi sostenitori del nuovo regime rivoluzionario. Derubiamo e tiranneggiamo solo coloro che si oppongono al governo di Murat. Il nostro intento è quello di sconfiggere i nemici di Bonaparte.
     Arrivati davanti a un’enorme porta di legno, Giulio bussò energicamente finché un servitore non venne ad aprire. Prodigandosi in inchini, manifestò la propria felicità nel rivedere il suo padrone e li introdusse in un ampio ingresso, squadrato e con le pareti color crema.
     Sara si guardò intorno a bocca aperta. Quella pareva una vera dimora ottocentesca, con quadri raffiguranti paesaggi e nature morte appesi ai muri, e un grande lampadario in bronzo e cristalli a illuminare lo spazio circostante. Non aveva mai visto nulla di simile, se non nei film storici.
     Boccheggiò, suscitando un’altra risata da parte del suo compagno di viaggio. – Impressionata?
     Non avendo la forza di aprire bocca, si limitò ad annuire. Poi il lacchè, un uomo alto e smilzo, con una redingote verde smeraldo e calzoni al ginocchio neri, fece loro strada su per un’altra scalinata che saliva fino a un pianerottolo, prima di sdoppiarsi in due rampe che portavano al piano superiore. Continuarono a salire, fino ad addentrarsi in un lungo corridoio dal quale si aveva accesso alle stanze padronali.
     – La contessa madre sarà lieta del vostro arrivo, signor conte. Non vi aspettavamo.
     Giulio sorrise, dirigendosi verso una porta con un pomello dorato. – Lo so, Lorenzo. Non ho fatto in tempo ad avvisare.
     Sara aveva la gola secca. Si sentiva un pesce fuor d’acqua in quel luogo. Lo sguardo penetrante del servitore era fisso su di lei, rendendola nervosa. Sebbene non osasse fare domande, era evidente che si stava chiedendo chi fosse e cosa diavolo facesse in compagnia del suo padrone. Era curiosa di sapere come avrebbe giustificato la sua presenza il nobile brigante.
     Poi Giulio bussò e una voce femminile li invitò a entrare. Si ritrovarono in una stanza che aveva tutta l’aria di un piccolo salotto. Accanto a un’alta finestra, su una poltrona damascata, era seduta una signora vestita interamente di nero. La donna si alzò, portandosi una mano alla bocca. – Giulio, sei tornato! Che gioia rivederti!
     Il conte si avvicinò per stringerla in un abbraccio. – Anch’io sono felice di rivedervi, madre. È passato così tanto tempo dall’ultima volta che sono stato qui. Ma non siete cambiata affatto!
     La donna si staccò da lui e si asciugò una lacrima che le aveva rigato la guancia rugosa. Solo in quell’istante parve accorgersi della sua presenza e si irrigidì. I suoi occhi si assottigliarono, studiandola con diffidenza. Sara sentì il sangue scorrerle più veloce nelle vene: cosa avrebbe fatto se quella donna non l’avesse voluta in casa? Dove sarebbe potuta andare? Un senso di sgomento le attanagliò le viscere, togliendole il respiro. Sollevò uno sguardo incerto su Giulio che le strizzò un occhio, probabilmente nel tentativo di rassicurarla.
     – Madre, vi presento Sara Ferrari. Proviene da Firenze e attualmente si trova in difficoltà. È mio desiderio ospitarla in questa casa per un po’.
     Le labbra della contessa madre si tesero in una linea dura. – Ferrari? Non mi sembra di conoscere questo casato. Ho degli amici a Firenze, ma non ho mai sentito parlare della vostra famiglia.
     Sara si morse il labbro. Percepiva lo sguardo intenso della donna sull’intera sua persona e si accorse di avere le mani sudate. – Ehm, Firenze è una città grande – rispose, sollevando il mento. – Dubito che conosciate tutte le famiglie che vi abitano.
     La risata di Giulio la fece trasalire. Possibile che trovasse così divertente tutto ciò che diceva?
     – Come avrete notato, madre, la nostra Sara ha una lingua piuttosto tagliente. Ma è un’amica e desidero che venga trattata come un ospite di riguardo. Sono stato chiaro?
     Le parole del conte vennero accolte con un sorriso tirato. – Certo, figliolo. Ogni tuo desiderio è un ordine – Poi la donna tornò a squadrarla dalla testa ai piedi. – Suppongo che desideriate farvi un bagno caldo e cambiarvi d’abito. Quello che indossate non mi pare consono a una fanciulla di buona famiglia.

     Sara ingoiò la risposta stizzosa che le era salita alle labbra e si costrinse a sorridere. – Farò volentieri un bagno caldo, signora. Vi ringrazio per l’ospitalità.

domenica 3 aprile 2016

OLTRE I CONFINI DEL TEMPO - SECONDA PUNTATA

CAPITOLO 2


L
a ragazza fissò Nerone con stupore e fece un passo indietro.
– Avanti, sali – la spronò Giulio, sperando di sembrare sufficientemente minaccioso. – Come ti ho spiegato, ho una certa fretta.
     – Tu sei pazzo! Non sono mai salita su un cavallo e non ho intenzione di cominciare adesso.
     La vide saettare lo sguardo da lui allo stallone e indietreggiare ancora. Pareva terrorizzata. – Non sei mai salita su un cavallo?
     – No.
     Giulio era perplesso. Sbuffò, infilando la pistola nella propria cintura, e mosse un passo verso di lei. In un attimo l’aveva afferrata e sollevata per metterla in sella. Nel farlo, la sua mano scivolò inavvertitamente sotto la camicia di Sara.
     Maledizione!
     Quella ragazza lo turbava profondamente. Anche prima aveva dovuto ritrarsi all’improvviso da lei o avrebbe finito per prenderla lì, sulla nuda terra.
     Trattenne il respiro, sforzandosi di mantenere il controllo. Una fastidiosa erezione gli premeva contro i calzoni, ma non aveva intenzione di soddisfare le proprie voglie. Non con i gendarmi alle costole e una femmina recalcitrante che gli avrebbe procurato solo guai.
     Montò in sella dietro di lei e tenne ben salde le redini mentre partivano al galoppo. Sara lanciò un urlo e cominciò a tremare, afferrandosi alla criniera del cavallo.
     Non andava affatto bene.
     – Ehi, ragazza… così lo spaventi.
     – In realtà è lui a terrorizzare me. Dove diavolo mi devo tenere?
     Giulio stentava a crederci. La stessa persona che prima si era mostrata così coraggiosa e lo aveva sfidato, nonostante il fatto che fosse armato, ora si agitava per un semplice cavallo.
     Cercò di parlarle con calma, abbassando il tono di voce. – Ti tengo io, non preoccuparti. Tu rilassati e appoggiati contro di me. Ecco, così. Brava.
     A dire il vero, forse non era stata una buona idea. Adesso la ragazza premeva il fondoschiena contro i suoi lombi, aumentando la sua frustrazione sessuale.
     Giulio si lasciò sfuggire tra i denti un’imprecazione. – Non ci sono cavalli a Firenze? – le chiese per cercare di deviare i propri pensieri verso qualcosa che non fosse la sua pelle morbida e profumata. Erano talmente vicini che si sentiva letteralmente avvolto dal suo intrigante profumo.
Diamine, lo aveva anche nei capelli!
     – Nei maneggi, forse – rispose Sara. – Ma io non sono una patita dell’equitazione. Preferisco tirare di scherma.
     Giulio era sempre più sconcertato. – Tirare di scherma? Fammi capire: vesti come un uomo, sai maneggiare un fioretto, ma non hai mai montato un cavallo?



     Sara si irrigidì e lui fu consapevole di ogni muscolo del suo corpo che si tendeva. – Innanzitutto io non vesto come un uomo. E comunque sì, tiro di scherma, ma non amo i cavalli. Sono due sport differenti dopotutto.
     – Sport? Che significa?
     Lei sbuffò, ignorando la domanda. Giulio si chiese cosa stesse pensando in quel momento la sua bella testolina. La vide guardarsi intorno, come se vedesse quei posti per la prima volta. Come se ne fosse turbata… il che non aveva senso.
     Abbassò ulteriormente il tono di voce, riducendolo a un sussurro roco. – Se vuoi posso insegnarti io a montare – E non si riferiva propriamente ai cavalli.
     Lei parve afferrare il doppio senso e lo guardò in tralice. – Grazie per l’offerta, ma non sono interessata. Non sei il mio tipo.
     Era sveglia, su questo non vi erano dubbi. La maggior parte delle signorine di buona famiglia non avrebbe colto il significato nascosto della sua frase. E, se lo avesse fatto, avrebbe gridato allo scandalo e, nel migliore dei casi, sarebbe svenuta.
     – Sei un’eterna contraddizione – esclamò Giulio, divertito. – Ancora non ho capito chi tu sia e a quale classe sociale appartenga. Sei istruita, questo è chiaro. E i tuoi abiti, per quanto bizzarri, sono di ottima fattura come gli stivali. Eppure mostri una disinvoltura che le fanciulle della buona società non possiedono.
     Nerone nitrì, come se volesse dargli ragione. Giulio lo spronò per farlo andare più veloce.
     – Non capisco a cosa tu ti riferisca – rispose Sara, la voce leggermente tremula. – Io sono una ragazza normale. Sei tu quello strano.
     Giulio rise. – Credimi, mi hanno definito in molti modi, ma mai nessuno ha detto di me che sono strano.
     La ragazza si agitò sulla sella facendo innervosire il cavallo e anche lui.
     Dannazione. Quanto sarebbe durata quella sofferenza? Desiderava, anzi bramava, il corpo nudo di Sara sotto di lui. Beh, non necessariamente. Anche averla sopra poteva avere i suoi vantaggi.
     Imprecò di nuovo fra sé cercando di calmare Nerone. Ormai mancava poco alla loro destinazione. Si augurò di trovare presto il sollievo a cui anelava.

* * * * * * * * * *

Sara era sempre più tesa. C’era qualcosa che non quadrava. Come mai non si vedevano auto o strade asfaltate? E perché Giulio, nonostante la fretta e la paura di essere arrestato, non si era procurato un mezzo più veloce di uno stupido cavallo?
     Per non parlare dei suoi vestiti antiquati e della sua pistola da museo.
     Un dubbio si insinuò con prepotenza nella sua mente. Cercò di scacciarlo, ma si faceva sempre più insistente.
     – Giulio, sai dirmi che giorno è oggi? – chiese con finta innocenza, il cuore che le batteva nelle costole.
     Lui tirò le redini, facendo fermare Nerone davanti a un capanno immerso nella campagna. Il suo sguardo incredulo si posò su di lei. – Prego?
     – Credo di aver perso il senso del tempo. Prima ho battuto la testa, ricordi? Non rammento più la data di oggi.
     Giulio la fissò diffidente. – È il 5 maggio.
     Sara ingoiò la propria saliva, facendosi sempre più nervosa. Come faceva a chiedere di quale anno, senza sembrare una pazza?



     Le venne un’idea. – Pensa un po’. L’anniversario della morte di Napoleone!
     Lui la fissò come se avesse appena pronunciato un’eresia.
     Ti prego, fa che sappia chi è Napoleone!
     – Se ti riferisci all’imperatore dei francesi, mi duole informarti che è ancora vivo e vegeto. Anche se penso che siano in molti a desiderarne la morte.
     Sara quasi si strozzò. Cominciò a tossire, fino a diventare paonazza. Aveva detto che Napoleone era ancora in vita? Questo significava che aveva fatto un viaggio nel tempo e si trovava prima del 1821?
     – Ehi, ragazza… che diavolo ti prende? – La voce di Giulio le parve venire da molto lontano. Per un istante desiderò che quello fosse solo un incubo dal quale si sarebbe svegliata. Ma quando la tosse si calmò e riaprì gli occhi, quell’uomo bizzarro era ancora davanti a lei, la fronte aggrottata e un’aria perplessa dipinta in faccia.
     Un fastidioso sudore freddo le penetrò nelle ossa mentre veniva assalita dalla nausea.
     – Credo di essere sul punto di svenire – disse, la voce ridotta a un sussurro. Giulio la afferrò, per impedirle di cadere dal cavallo.
     Poi fu tutto buio.

* * * * * * * * * *

Quando riaprì gli occhi Sara si sentiva ancora intontita. Sbatté le palpebre, prima di mettere a fuoco
le immagini intorno a sé. Si trovava in una casupola di legno, dalla cui unica finestra filtrava la luce rossastra del tramonto. Non aveva idea di quanto tempo fosse rimasta priva di sensi, ma appariva evidente che la giornata stava volgendo al termine.
D’istinto si volse, cercando con lo sguardo il tizio che l’aveva rapita. Si trovava accucciato a poca distanza da lei, intento a ravvivare un fuoco improvvisato in un piccolo camino di pietra.
     – Dove ci troviamo? – chiese con un filo di voce. I suoi occhi ci misero un po’ ad abituarsi alla penombra che la circondava. In quella capanna l’unica fonte di illuminazione era proprio il fuoco che ardeva nel camino.
     All’improvviso le tornò in mente la gravità della situazione. O quello che l’accompagnava era un pazzo, oppure si trovava davvero in un’altra epoca, senza avere la minima idea di come ritornare indietro.
     Giulio si voltò a guardarla. – Qui siamo al sicuro. È un capanno che veniva usato per la caccia, ma che è inutilizzato da tempo. Vi trascorreremo la notte e ripartiremo domani all’alba.
     La prospettiva non era affatto allettante. Si mise a sedere, accorgendosi solo in quell’istante che era stata deposta su un materasso di paglia su cui giaceva una coperta logora.
     Arricciò il naso e la risatina divertita di Giulio quasi la irritò. – Che hai da ridere?
     – Credimi, la tua espressione è esilarante. Mi spiace non poterti offrire una sistemazione migliore, ragazza. Per questa volta dovrai accontentarti.
     Il suo sequestratore si alzò e si mosse nella sua direzione. – Allora, come ti senti? Hai avuto un mancamento. Per poco non mi veniva un colpo quando ti ho vista crollare come un sacco di patate. Sono riuscito ad afferrarti giusto in tempo, prima che ruzzolassi giù dalla sella.
     Lei lo fissò incerta. – Beh, grazie per esserti preso il disturbo.
     – È stato un piacere.
     Il suo sguardo era penetrante. Sara si chiese se si fosse limitato a sorreggerla o se ne avesse approfittato per allungare le mani. Decise di non pensarci, perché solo l’idea la faceva avvampare.
     – Cosa intendi farne di me? – chiese, invece. Aveva la sensazione che non si sarebbe liberata facilmente di quel ladro. E anche se vi fosse riuscita, dove poteva andare? Se si trovava realmente in un altro tempo, non avrebbe saputo a chi rivolgersi per chiedere aiuto.
     Giulio si sedette sul letto di paglia, al suo fianco, e lei dovette scansarsi per evitare che la sua coscia muscolosa sfiorasse la propria. Si sentiva particolarmente consapevole della vicinanza di quell’uomo e questo la metteva a disagio. Lui la guardava come se indosso avesse avuto solo la biancheria intima!
     Lo vide aggrottare la fronte, pensieroso. – Ancora non ho deciso.
     Le rivolse un’altra intensa occhiata e Sara provò un brivido che non aveva niente a che fare con la temperatura all’interno di quella casupola.
     – Sto morendo di fame – disse, per rompere il silenzio. – E tu?
     Giulio scrollò le spalle. – Sono abituato a restare un’intera giornata senza mettere qualcosa sotto i denti – Si alzò, andando a frugare in una sacca che aveva lasciato in un angolo, accanto alla sella. Poi si voltò nuovamente verso di lei. – Mi spiace, ma non ho cibo con me. Tutto quello che ho da offrirti è un po’ d’acqua.
     Le porse una vecchia borraccia che lei rifiutò. – Non preoccuparti. Ho dei panini nel mio zaino – Lo cercò con lo sguardo, trovandolo sul pavimento proprio sotto di lei. Dopo averlo sollevato e aperto, tirò fuori due panini, foderati nella carta stagnola. – Ecco qui. Ne ho uno al prosciutto e uno al formaggio. Quale preferisci?
     Giulio sgranò gli occhi. – Che diavoleria è quella cosa?
     Sara impiegò un istante a capire che si riferiva alla stagnola. – Ehm, è solo un involucro per conservarli meglio – Li scartò in fretta e furia e gliene porse uno. Lui l’afferrò esitante, quasi temesse che volesse avvelenarlo.
     Lei roteò gli occhi. – Coraggio, mangia. Ti assicuro che sono buoni.
     Per incoraggiarlo scartò il proprio panino e lo addentò. Con la fame che aveva ne avrebbe mangiati anche dieci di fila, ma si sarebbe accontentata di quell’unico che le era rimasto. D’altra parte non poteva sfamarsi senza dividere il proprio cibo con lui. Era un ladro e un sequestratore, ma le era stato insegnato a essere gentile col prossimo e non sarebbe stato affatto carino nutrire solo se stessa.
     Finalmente anche Giulio si decise a prenderne un boccone. Masticò voracemente e le rivolse un sorriso di gratitudine che le riscaldò il cuore. Era bello quando sorrideva. Incredibilmente bello.
     – È davvero buono. Sei sicura di non volere un po’ d’acqua? Ti aiuterà a mandarlo giù meglio.
     Sara tentennò. All’idea di bere da quella borraccia le veniva la nausea. Ma non poteva tirare fuori la sua bottiglietta di plastica. Aveva già avuto problemi a spiegare la carta stagnola.
     Inarcò un sopracciglio. – Sei sicuro che si possa bere?
     – Certo. L’ho riempita prima, al fiume.
     Come sospettava. Sarebbe stato troppo pretendere dell’acqua minerale come si deve? Decise tuttavia di accontentarsi e afferrò la borraccia. Aveva la gola talmente secca che il primo sorso le parve la cosa più divina che avesse mai assaggiato. Forse l’acqua del fiume non era poi così male.
     Solo dopo essersi dissetata per bene gliela restituì lasciando che bevesse a sua volta. – Ehm… io dovrei andare in bagno – disse, infine. Era da parecchie ore che non svuotava la vescica e non ne poteva proprio più.
     Giulio la fissò di nuovo con una vena di perplessità. – Vuoi fare un bagno? Adesso?
     – No, non fare un bagno… andare in bagno!
     Si accorse che lui non riusciva a capirla dalla sua fronte aggrottata. A volte le pareva che parlassero due lingue completamente differenti. Si grattò la testa alla ricerca di un’illuminazione. – Ehm, usare la latrina? Così è più chiaro?
     Giulio rise piano. – Non penserai che ci sia una latrina in un capanno per la caccia? Sua signoria dovrà accontentarsi di urinare all’aperto.
     Con suo grande sgomento, indicò la porta. Sara annuì, incerta se mettersi a piangere od ostentare indifferenza. Non si poteva beneficiare neppure di un cesso da quelle parti? Che sciagura!
     Si alzò con gambe tremanti, subito imitata dal suo sequestratore. – Ehi, cosa hai intenzione di fare? – Gli rivolse un’occhiata piena di sdegno. – Non ho bisogno della balia. Sono in grado di fare da sola.
     Lui rise di nuovo. – Non ho dubbi. Ma non voglio correre il rischio che tu te la dia a gambe levate, approfittando della situazione. Non sono un ingenuo. Quindi, ti scorterò fuori. Che tu voglia o no.
     Merda.
     Esisteva qualcosa di più imbarazzante che calarsi le braghe di fronte a uno sconosciuto?
     Il respiro le morì in gola mentre uscivano all’aria aperta. Le parve addirittura che le gambe le fossero diventate di piombo. – Non è affatto da gentiluomini però…–  si lamentò, gli occhi che sprigionavano lampi di indignazione.
     – Taci e cammina. Laggiù ci sono dei cespugli. Puoi fare lì i tuoi bisogni, io resterò a distanza di sicurezza.
     – Giurami che non guarderai.
     Lui inarcò un sopracciglio. – Lo giuro. Va bene così?
     Sara si avviò. Ormai era sceso il buio e l’aria era diventata più fresca. Rabbrividì, anche se non era certa che fosse a causa della temperatura esterna. Prima di nascondersi dietro al cespuglio lanciò a Giulio un’ultima occhiata ammonitrice. – Se sbirci ti taglio le palle.

     La sua risata risuonò nel vento e Sara alzò il dito medio. Non sapeva se in quell’epoca quel gesto avesse lo stesso significato che aveva nella sua, ma non le importò.