Vi avevo promesso l'incipit de "La contessa delle tenebre". Eccolo! Buona lettura.
Parigi, Torre del
Tempio, settembre 1795
C
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harlotte aprì gli
occhi all’improvviso, destata da un rumore di passi.
Odiava svegliarsi
in piena notte, preda dell’ansia o del terrore per ogni più piccolo sussurro.
Cercò di calmare il battito furioso del proprio cuore: s’irrigidì,
raggomitolata contro la parete di pietra della sua cella, stringendosi nella
pesante coperta di lana.
Viveva rinchiusa fra quelle umide mura da
circa tre anni, quando era stata arrestata insieme alla sua famiglia dai
rivoluzionari francesi. La sua serena esistenza era stata interrotta per
lasciare spazio solo a paura e dolore. Uno ad uno, i suoi cari avevano
abbandonato questo mondo: prima suo padre, poi sua madre, sua zia Elizabeth e
infine il suo adorato fratellino, di soli dieci anni. Una lacrima le scese giù
da una guancia e si affrettò ad asciugarla con la manica consunta dell’abito
che indossava. Un tempo aveva posseduto vestiti eleganti, confezionati dalle
migliori sarte parigine e con le stoffe più pregiate. Com’era lontano quel
periodo!
A volte aveva l’impressione di pensare
alla sua vita precedente come a un sogno lontano, esistito solo nella sua
fantasia.
Sentì di nuovo quel rumore di passi e il
suo battito cardiaco accelerò. Tese le orecchie, cercando di capire se il suono
fosse ora più vicino, ma il rumore del proprio cuore sovrastava ogni cosa. Si
impose di respirare a ritmo regolare. I passi si avvicinavano con esasperante
lentezza e iniziò ad avvertire degli spasmi alle braccia e alle gambe.
Terrorizzata, si rannicchiò ancor di più in posizione fetale.
In quel momento i passi si arrestarono.
Qualcuno si fermò davanti alla massiccia porta
di legno e lei tremò al pensiero che fossero venuti a prenderla.
Non voleva morire.
L’uscio si aprì con un fastidioso cigolio.
Charlotte trattenne il fiato, sollevando lo sguardo sulla figura in ombra sulla
soglia. Una guardia si intrufolò all’interno. Era un uomo alto, robusto, il
naso leggermente aquilino.
«Cosa volete?» chiese Charlotte in un
sussurro, scattando in piedi. La coperta ricadde sulle grigie pietre del
pavimento e lei avvertì un brivido, che nulla aveva a che fare con la
temperatura all’interno della torre.
L’uomo si mosse nella sua direzione, le
labbra piegate in un enigmatico sorriso. L’afferrò per un braccio, puntando su
di lei i suoi occhi famelici come quelli di una belva.
«Non ti senti tutta sola in questa cella?
Vuoi un po’ di compagnia?»
Il suo alito puzzava di vino. Charlotte
cercò di sottrarsi alla sua presa, ma la guardia la trattenne, stringendole il
polso quasi fino a spezzarlo. Un urlo di dolore le bruciò la gola.
«Lasciatemi, vi scongiuro!»
«Mi scongiuri?» disse l’uomo, divertito.
«La figlia del defunto re che scongiura me.
È quasi divertente.»
Charlotte si divincolò. Era terrorizzata.
Quegli occhi che la fissavano bramosi la confondevano. Avrebbe voluto parlare,
chiedere cosa avesse intenzione di farle… ma le parole non vollero uscire.
Lui le prese il mento, sollevandolo quanto
bastava per poterla guardare negli occhi. «Sei una vera bellezza. Nobile, casta
e inviolabile. Irraggiungibile per uno come me, non è così?»
Charlotte cominciò a tremare. Non capiva
cosa quell’uomo volesse da lei, ma era certa che non fosse nulla di buono. Poi
lui posò gli occhi sul suo seno, messo in evidenza dalla scollatura dell’abito.
La spinse contro la parete, premendo i fianchi contro i suoi.
«La tua pelle candida mi eccita» sussurrò,
sfiorandole una guancia col dorso della mano callosa. «È così bianca… sembra
quella di una bambola di porcellana.»
Lei sussultò, come se l’avesse
schiaffeggiata. Quella mano… provava ribrezzo per ciò che le stava facendo.
Tentò di opporre resistenza, ma la presa della guardia si fece più forte.
«Dimmi, quanti anni hai?»
Quella domanda la colse di sorpresa.
«Di-diciassette, signore» balbettò, confusa.
«Diciassette. Sei abbastanza grande,
allora. Non desideri conoscere il piacere che un uomo può dare a una donna?
Charlotte rabbrividì. Non sapeva nulla di
quelle cose. Talvolta aveva captato qualche discorso, ma le dinamiche
dell’accoppiamento restavano per lei un mistero. Tuttavia, credeva fosse
impossibile provarne piacere. Tutto ciò che sentiva per quell’uomo, che premeva
il proprio corpo sudato contro di lei, era disgusto.
In quel momento percepì qualcosa di duro
contro i fianchi. Abbassò lo sguardo, temendo che lui la stesse minacciando con
una spada. Ma non era una spada, realizzò con orrore.
Deglutì. «Vi prego… »
L’uomo la strattonò, nel tentativo di
slacciarle il corpetto dell’abito. «Riserva le tue preghiere per i santi» la
derise. In quel mentre Charlotte sentì la stoffa lacerarsi e quelle mani rozze le
strinsero i seni. Si irrigidì. Avrebbe
voluto urlare, ma chi mai sarebbe venuto in suo soccorso in quella prigione? Da
quando era stata fatta prigioniera tutti si prendevano gioco di lei. Non vi era
il minimo rispetto: era oggetto di scherno e derisione; le venivano indirizzate
canzoni oscene e insulti di ogni genere.
Cercò di spingere per liberarsi, ma era
inutile. Lui era troppo forte. A un tratto la schiaffeggiò con un impeto tale
da stordirla.
«Stai ferma! Ti piacerà, vedrai.
Aprirai le gambe per me come una qualsiasi sgualdrina. Non vedo l’ora di
scoprire come gode una principessa.
Lacrime silenziose le solcarono il viso.
Non era possibile che le stessero facendo questo. La verginità era l’unico
valore che le fosse rimasto, non potevano privarla anche di quel bene per lei
così prezioso.
«No, per favore… no!
Ridendo sguaiatamente l’uomo le sollevò le
sottane. Lo vide sbottonarsi la patta delle braghe e avventarsi su di lei come
un animale. Tutto quel che percepì dopo fu solo dolore e umiliazione. La
guardia profanò il suo corpo con affondi sempre più veloci. Charlotte urlò con
tutto il fiato che aveva in gola, ma quei colpi non cessarono. Ebbe la
sensazione che la lacerassero in profondità, fino a trafiggerle l’anima.
Il sangue cominciò a colarle giù dalle
gambe, insozzandole le calze. Ma che importava, a quel punto? Lei rimase
immobile, gli occhi chiusi e invasi dalle lacrime, mentre quel mostro terminava
di fare quel che aveva cominciato. Lo sentì tremare e riversare il suo seme
dentro di lei. Dopo di che si ripulì con un lembo della camicia e si
riabbottonò i calzoni, sul viso un sorriso soddisfatto.
«Non sei stata male, principessa. Magari
potrei tornare a trovarti una di queste sere, che ne dici?»
Charlotte non rispose. Le forze l’avevano
abbandonata. Si sentiva sporca nel cuore e nell’anima. Avrebbe voluto lavarsi,
strofinarsi la pelle fino a scorticarla, pur sapendo che il dolore provato non
sarebbe andato via col sapone. L’avrebbe tormentata per l’eternità.
Un attimo dopo sentì la porta della cella
richiudersi alle sue spalle e crollò sul pavimento. Le gambe non la reggevano
più. Tornò a rannicchiarsi contro il muro, cercando di coprirsi con le mani.
Infine pianse. Pianse tutte le sue
lacrime.
CAPITOLO 1
Amsterdam, dicembre 1795
L
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eonardus
Cornelius Van der Valck se ne stava seduto a un tavolo da gioco con un
bicchiere di pregiato madera in una mano e nell’altra un mazzo di carte. Era
solito trascorrere il proprio tempo libero facendo bagordi con gli amici. Gioco
d’azzardo, donne di facili costumi e grosse somme di denaro erano il suo pane
quotidiano. Tutto, pur di sfuggire alla noia e all’inquietudine che
l’opprimevano.
«Tocca a voi dare le carte» gli disse un
baronetto inglese, seduto alla sua destra.
Intanto, una fulgida bellezza bruna dal
seno procace e dalla scollatura generosa gli si era avvicinata, ancheggiando e
mettendo bene in mostra la sua mercanzia.
Con ogni probabilità Leonardus avrebbe
finito per portarsela a letto, dopo qualche altro bicchiere e una ricca
vincita. Considerò l’idea e fece un sorrisino.
«Non abbiate fretta, Fairfax» rispose al
baronetto. «La notte è ancora giovane.»
Lanciò una fugace occhiata alla brunetta e
si accinse a mischiare le carte, quando un uomo dalla sobria eleganza e i
lineamenti aristocratici lo interruppe.
«Il signor Van der Valck?» indagò,
cauto.
Leonardus sollevò lo sguardo e inarcò un
sopracciglio, scrutando incuriosito il nuovo venuto. Il suo accento straniero era piuttosto
marcato. Doveva essere di origine austriaca, suppose da diplomatico esperto. Di
sicuro non l’aveva mai visto prima.
«Posso sapere con chi ho l’onore di
parlare?»
L’uomo si fermò a un passo da lui, lo
sguardo impenetrabile. Sembrava disapprovare quel luogo e il clima dissoluto di
cui era pregno. Doveva essere un tipo piuttosto noioso.
«Sono il conte Brank, al servizio
dell’Imperatore d’Austria.»
«In cosa posso aiutarvi, signor conte?»
«Si tratta di una questione privata. Se
volete seguirmi in un luogo più consono, sarò lieto di illustrarvi i motivi che
mi hanno condotto qui.»
Leonardus trattenne una risatina. Se
quell’uomo pensava di rovinargli la serata, si sbagliava di grosso. Niente e
nessuno l’avrebbero allontanato dal tavolo da gioco e da quella signora
compiacente.
«E cosa vi fa credere che io sia
interessato a conoscere simili dettagli? Come vedete sono piuttosto impegnato
in questo momento.»
Il conte si irrigidì. Evidentemente non
era solito ricevere rifiuti.
«Forse una cospicua somma di denaro
potrebbe aumentare la vostra curiosità.»
«Forse» ammise Leonardus. «Dipende da cosa
intendete per cospicua.»
«Non ho tempo da perdere, signore» si
spazientì Brank. «Volete seguirmi, per favore? Sono ansioso come voi di mettere
fine a questo colloquio.»
Leonardus si scusò coi compagni di gioco e
si alzò. Sperava che tutto si concludesse velocemente, per poter tornare dagli
amici e dalla prosperosa bellezza bruna. Ma aveva il sospetto che la faccenda
fosse complicata e prevedeva guai.
Il conte gli fece strada fino a un
salottino privato – i club di lusso come quello ne avevano sempre uno – e
attese che Van der Valck entrasse, per richiudere la porta con un colpo secco.
«Ebbene?» lo incoraggiò, visibilmente
spazientito. «Di che si tratta?»
«È una questione piuttosto seria. Meglio
che vi mettiate comodo.»
Leonardus sbuffò. Prese posto su
un’elegante poltrona damascata e attese che anche il proprio interlocutore si
sedesse, prima di sollevare uno sguardo indagatore su di lui.
Finalmente, Brank si decise a parlare: «Come
ben saprete, l’Imperatore ha una cugina che è stata tenuta in cattività dai rivoluzionari
francesi…»
«Andate subito al dunque, signor conte.
Non ho intenzione di dedicarvi l’intera serata.»
«Si tratta di una questione diplomatica
molto seria e delicata che non può essere liquidata in due parole. Quindi
abbiate l’accortezza di tacere e lasciarmi continuare.»
Sbuffando leggermente, Leonardus si
dispose all’ascolto.
Gli fu illustrata l’intera vicenda di una
sfortunata ragazza di sangue reale, fatta prigioniera e liberata di recente, in
cambio di dodici prigionieri di guerra. Si chiese irritato cosa avesse a che
fare con lui tutto ciò, finché non gli fu evidente.
«Mi state chiedendo di prendermi cura di
questa ragazzina per il resto dei miei giorni? Mi avete preso per una balia,
forse?» Il suo tono scandalizzato fece scattare in piedi il conte austriaco.
«Non sono io che ve lo chiedo. È un ordine
dell’Imperatore in persona!»
La faccenda si stava facendo più complicata e sgradevole del previsto.
Decisamente peggiore di ogni sua più tetra aspettativa. Ed era chiaro che
all’Imperatore non si potesse dare un “no” come risposta.
«Perché io?» si ritrovò a chiedere,
incredulo che una simile sfortuna fosse capitata proprio a lui.
«Siete la persona più adatta a questo
incarico. Vestite i panni del diplomatico con discreto successo, siete giovane
e attraente e, soprattutto, non siete sposato.»
«Cos’ha a che vedere il mio stato di uomo
celibe con tutto questo?»
Il conte si accese un sigaro con
esasperante lentezza. Tirò una boccata e infine continuò: «Vi viene richiesto
di prendere in moglie la ragazza, signore. Durante la prigionia è stata
stuprata e ora è in attesa di un figlio. Le nozze sono necessarie per mettere a
tacere le malelingue.»
Leonardus sbiancò. Dovette afferrare il
bicchiere di rhum che gli era stato gentilmente offerto e berlo tutto d’un fiato,
per riaversi.
«Maledizione!» fu la sua risposta seccata.
La carrozza
correva veloce sulla strada lastricata che conduceva al confine con la Svizzera.
Charlotte si sporse dal finestrino con aria inquieta e sospirò. Viaggiava da
parecchie ore ed era ansiosa di arrivare a destinazione. Le era stato detto che
la meta era una piccola cittadina di confine, chiamata Huningue. Ancora non era
certa di chi avrebbe trovato ad aspettarla in quel luogo, ma sperava che si
trattasse di una presenza amica. Era così desiderosa di conforto, dopo tutte le
tribolazioni vissute negli ultimi anni.
«Allontanatevi dal finestrino, madame» la rimproverò la voce acida
della sua accompagnatrice. Era una donna rigida e
scorbutica che Charlotte giudicava incapace di provare il minimo sentimento d’affetto. La meno indicata per
chi di affetto ne aveva una fame assoluta, come lei.
Si abbandonò sul sedile e cominciò a
giocherellare distrattamente con il bordo di pizzo del colletto dell’abito che
indossava. Era un capo di eleganza discreta, più accollato di quanto esigesse
la moda e di una taglia superiore alla sua, in modo che nascondesse
l’imbarazzante rotondità del suo ventre. Il grigio scuro della stoffa le
attribuiva più l’aria dell’istitutrice che quella di una principessa e l’acconciatura era altrettanto severa: i
capelli le erano stati pettinati in una rigida crocchia sulla nuca. Solo
accidentalmente qualche ricciolo biondo era sfuggito alle forcine e ora
svolazzava indisturbato, mosso dal vento.
«Quando arriveremo?» si decise a chiedere,
in tono sofferente. Sentiva il bisogno di sgranchirsi le gambe e di respirare a
pieni polmoni l’aria di montagna. Nonostante il freddo rigido dell’inverno,
bramava con tutta se stessa di ritrovarsi all’aperto, di poter finalmente
riabbracciare spazi ampi, senza nessun muro attorno.
«Manca poco, ormai.» La sua
accompagnatrice incrociò le braccia. «Cercate di essere paziente, madame.»
Avrebbe voluto rispondere che la pazienza
l’aveva esaurita durante gli anni di reclusione, ma si morse la lingua e tornò
a guardare fuori dal finestrino.
Stavano attraversando l’Alsazia e la vista
delle distese di neve la rilassò un poco.
Finalmente, la carrozza si fermò di fronte
a una costruzione in pietra a tre piani, con il tetto in mattoni rossi. L’insegna
sulla porta indicava che si trattava di un albergo per i viaggiatori, che
portava il nome di Hotel du Corbeau.
Charlotte si sistemò il pesante mantello
di pelliccia sulle esili spalle e attese che lo sportello della carrozza le
venisse aperto dal cocchiere, che l’aiutò a scendere.
Notò con sorpresa che vi erano due persone
ad attenderla. Un giovanotto alto e snello se ne stava ritto, in piedi, di
fronte alla carrozza. Il suo viso aveva un qualcosa di familiare ai suoi occhi,
che si riempirono di lacrime nel riconoscerlo.
«Louis Antoine!» esclamò, correndo a
gettarsi fra le sue braccia. «Siete proprio voi?»
Il giovane dai lunghi capelli castani e il
viso ovale la strinse brevemente per poi staccarsi e sorriderle impacciato.
«È un piacere rivedervi, cugina» le disse.
Poi si voltò verso l’altra persona che si era tenuta discretamente in
disparte.
Charlotte seguì il suo sguardo e si
ritrovò a fissare un paio di occhi grigi, freddi come il ghiaccio.
Lo sconosciuto si avvicinò cauto. Aveva un
passo deciso che le risultò immediatamente odioso. I capelli erano neri e più
corti di quanto esigesse la moda. Il viso un po’ spigoloso, ma di una bellezza
mozzafiato. Le labbra sottili, invece, erano incurvate in quello che a lei
parve un sorriso forzato, di convenienza.
Il cugino si affrettò a fare le
presentazioni: «Questo è Leonardus Van der Valck, un diplomatico olandese.»
L’uomo dagli occhi di ghiaccio le prese la
mano e la baciò. Charlotte fu percorsa da un brivido improvviso, mentre un
intenso rossore le colorava le guance pallide. Ritirò la mano, come se si fosse
scottata, e distolse immediatamente lo sguardo. Si chiese cosa facesse lì
quello sconosciuto e si sentì infastidita dalla sua presenza.
«Sono molto onorato di fare la vostra
conoscenza, madame» disse l’uomo, con
una voce bassa e profonda, ma con un tono che sembrava smentire le sue parole.
Lei gli indirizzò un lieve cenno del capo
e si sforzò di sorridere mentre si lasciava condurre dal cugino verso l’entrata
dell’albergo.
«Immagino abbiate bisogno di rifrescarvi e
cambiarvi d’abito» fece Louis Antoine, in tono premuroso.
Lei lanciò un’ultima occhiata alle sue
spalle, dove Van der Valck era rimasto a fissarla con un’espressione
indecifrabile in quegli occhi grigi.
«Cosa ci fa qui quell’uomo?» sussurrò,
confusa. Il cugino sorrise enigmatico mentre le apriva la porta dell’albergo.
«Ne parleremo più tardi» le rispose, affrettando il passo.
A Charlotte non restò altro da fare che
seguirlo.
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