sabato 18 giugno 2016

OLTRE I CONFINI DEL TEMPO - OTTAVA PUNTATA

CAPITOLO 8


L
a settimana che seguì fu piuttosto faticosa per Sara. Le angherie della contessa nei suoi confronti si fecero più pressanti: la fece trasferire nell’ala della servitù, in una stanzetta dotata unicamente di un letto, un armadio, un piccolo scrittoio e una sedia. Inoltre le venne chiesto di indossare una divisa da cameriera e fu costretta a lavorare duramente, come se davvero facesse parte del personale di servizio.
     Non era tanto il lavoro a infastidirla. Quello l’aiutava a distrarsi e a non pensare al fatto di non avere la minima idea di come tornare a casa. Ciò che la disturbava era l’atteggiamento di quella donna austera e autoritaria. Era più che evidente che non la sopportava e che avrebbe fatto di tutto per scacciarla di casa, una volta che Giulio fosse tornato.
     Era già un miracolo che non l’avesse già fatto.
     Sospirando, Sara terminò l’ultima incombenza della giornata. La signora Matilde le aveva ordinato di fare il bucato, impresa per niente facile in un tempo in cui le lavatrici non esistevano. Quando ebbe finito era sudata marcia. Si asciugò una goccia di sudore sulla fronte, pensando che tutto quel lavoro fosse peggio di un intero pomeriggio passato in palestra. Se non altro, avrebbe potuto vantare un fisico invidiabile!
     Con un diavolo per capello, osservò il sole ancora alto nel cielo. Le giornate si erano fatte più lunghe e calde. L’ideale per una fuga in spiaggia. Ne aveva scoperta una poco frequentata, non lontano dalla tenuta dei conti di Nardò, appena fuori dalle mura della città. Si trattava di un’immensa distesa di sabbia soffice e dorata, dal fascino selvaggio. Il mare, di un intenso color turchese, aveva un’acqua cristallina e trasparente da togliere il fiato. Al solo pensiero, le veniva voglia di tuffarsi e nuotare fino a scacciare le preoccupazioni che le ottenebravano la mente.
     Dopotutto, era libera di fare quel che voleva nel poco tempo libero che le rimaneva.
     Fischiettando una vecchia canzone dei Beatles, si incamminò verso il mare. Non era la prima volta che ci andava, da quando Giulio era partito. Dapprima aveva girato un po’ per le strade chiassose di Taranto, speranzosa di scoprire che era stato tutto un incubo e che in realtà esisteva ancora l’albergo dove aveva pernottato con la sua classe. Aveva immaginato di chiedere in prestito un telefono per chiamare la propria famiglia: avrebbe domandato loro di passare subito a prenderla.
     Purtroppo niente di tutto ciò si era verificato. La città le era risultata estranea come al suo arrivo e non vi era proprio traccia del mondo che conosceva. Era una tipica cittadina ottocentesca.
     Accelerò il passo, fino a mettersi a correre. Il vento sul viso la fece sentire meglio e quando finalmente raggiunse la spiaggia le era tornato il buonumore. Prima o poi avrebbe trovato una soluzione. Così come era arrivata in quel posto doveva esistere un modo per andarsene, giusto?
     Si tolse gli stivali per camminare a piedi nudi sulla sabbia. Era rilassante. Poi cominciò a spogliarsi. Per fortuna la divisa da domestica non aveva tutti quei fastidiosi bottoncini, ma era molto più pratica da togliere. Sotto indossava un paio di mutandoni e il bustino che le avevano dato il giorno del suo arrivo a Taranto, solo con i lacci allentati, in modo da permetterle di respirare senza problemi. Aveva messo da parte i propri indumenti per non rovinarli. Le sarebbero serviti, quando sarebbe tornata nel ventunesimo secolo.
     Decise di tenere indosso la biancheria intima e si pettinò i capelli in una lunga treccia, in modo che i riccioli ribelli non le finissero in faccia mentre nuotava. Infine si avviò verso la riva, lo sguardo rivolto alle onde azzurre che si infrangevano sulla sabbia. Un vero spettacolo.



     Quando si tuffò rabbrividì al contatto con l’acqua, ma poi si rilassò. Fece qualche bracciata, col sole caldo a riscaldarle la faccia. Dopo la nuotata avrebbe potuto stendersi e abbronzarsi un po’. Detestava il pallore che andava tanto di moda fra le signore nell’Ottocento.
     Fu quando uscì dall’acqua che lo vide. Un cavaliere solitario che si stava avvicinando alla spiaggia. Il cuore le fece un balzo nel petto quando si rese conto che le era anche fin troppo familiare.

* * * * * * * * * *

Giulio condusse Nerone al trotto, nei pressi della spiaggia di Chiatona. Aveva deciso di concedersi qualche minuto per riflettere in solitudine, prima di fare ritorno a casa. Moriva dalla voglia di rivedere Sara e questo fatto lo sconcertava. Era convinto che la distanza avrebbe attutito il desiderio che aveva di lei, invece lo aveva alimentato al punto che non vedeva l’ora di farla sua. Il giorno seguente si sarebbe messo subito alla ricerca di un appartamento dove sistemarla. Restava solo da convincerla ad accettare la sua proposta, cosa per niente facile visto il caratterino che aveva dimostrato finora.
     Era immerso nei suoi pensieri quando all’improvviso vide qualcuno nell’acqua. Sembrava una donna, ma da quella distanza non ne era del tutto sicuro. Scese da cavallo, avvicinandosi alla riva; lo sguardo rivolto verso le onde che si infrangevano sulla sabbia e sulla figura indistinta che nuotava. A un tratto la vide emergere dall’acqua, il corpo coperto unicamente dalla biancheria intima che le aderiva come una seconda pelle. La riconobbe all’istante. La ragazza che aveva popolato i suoi sogni durante l’intera settimana stava correndo verso di lui, il viso accaldato e il corpo di una sirena.
     Il suo uccello ebbe immediatamente una reazione poco signorile e il fiato gli si fermò in gola.
     – Sei tornato! – esclamò lei, gettandosi fra le sue braccia. Sorrideva radiosa ed era una vera bellezza mentre sollevava il viso per incontrare il suo sguardo.
     Per Giulio fu troppo. La strinse con una tale forza che per un istante temette di farle male. Poi affondò le dita nei suoi capelli bagnati, attirandola a sé. Il bacio che seguì non fu affatto dolce, ma un misto di lussuria e brama di possesso. Quella donna era sua. Sua.



     La sospinse sul suolo sabbioso, coprendola col suo corpo eccitato senza smettere di baciarla. Le dischiuse le labbra con forza, affondando la lingua dentro quella bocca perfetta, saccheggiandola. Ebbe un fremito quando si accorse che lei stava ricambiando il bacio. Lo aveva afferrato per la camicia, strattonando come se desiderasse strappargliela di dosso.
     Dannazione, di questo passo sarebbe impazzito. Il cuore gli tamburellava nel petto come se avesse corso e il pene gonfio gli premeva contro i calzoni, procurandogli un fastidioso disagio. Annaspò, staccandosi da lei solo il tempo per riprendere fiato, tornando a baciarla subito dopo.
     Cristo, il suo sapore era così dolce!
     Dal tessuto bagnato della sua biancheria poteva distinguere i suoi seni alti e sodi, coi capezzoli eretti che premevano contro la stoffa. Senza riuscire a resistere, insinuò la mano all’interno del suo corsetto per accarezzarli e il gemito di piacere con cui lei gli rispose lo eccitò a tal punto da indurlo a pensare che sarebbe morto, se non l’avesse avuta subito nuda sotto di sé.
     Lasciò andare le sue labbra per guardarla negli occhi con passione. Con sua grande sorpresa, si accorse che anche lei lo fissava allo stesso modo: bramosa ed eccitata.
     Sì, sì si.
     Il suo uccello gridava dalla voglia di affondare dentro di lei. Subito.
     Tirò la stoffa del corsetto, lacerandola, tanta era la sua impazienza. La sola visione dei suoi seni nudi lo lasciò senza fiato. – Dio, sei così bella!
     Lei deglutì, poi avvicinò di nuovo le labbra alle sue. Stavolta fu Sara a baciarlo con foga, come se da quel bacio dipendesse tutta la sua vita. Un altro bacio del genere e sarebbe venuto nei pantaloni senza nemmeno sfiorarla. Infine la mano di Sara si posò sulla patta dei suoi calzoni, sbottonandola e insinuandosi all’interno.
     Dio del cielo, questo era veramente troppo.
     Avrebbe dovuto dimostrarsi pudica. Arrossire o gridare d’indignazione perché lui si era spinto troppo oltre. Invece gli stava accarezzando il pene come avrebbe fatto una cortigiana esperta. Era dannatamente brava.
     Si accorse di essere giunto al limite. – Aspetta – esclamò, la voce ridotta a un sussurro roco. Era sul punto di venire e non l’aveva ancora penetrata. – Sara, fermati!
     Ma lei non lo ascoltò. Lo condusse fino a un orgasmo così intenso da lasciarlo quasi attonito. Il suo seme si sparse in modo imbarazzante sulla mano di Sara e sui suoi calzoni. Solo allora lei lo guardò, il viso leggermente arrossato.
     – Dove hai imparato a farlo? – chiese lui, ansimando. Non era preparato a quello che era appena accaduto e non sapeva come gestire la cosa. Non gli venne neppure in mente che lei non aveva avuto la sua parte di piacere.
     Sara si morse il labbro talmente forte da farlo sanguinare. Sembrava che solo in quel momento si fosse resa conto di trovarsi stesa sulla sabbia, con il corsetto strappato e la mano ancora stretta sul suo uccello.
     – Dio mio! – esclamò inorridita. – Non avremmo dovuto… è sbagliato… terribilmente sbagliato.
     Si sollevò su un gomito, cercando di rialzarsi. Quando fu in piedi percorse la spiaggia con lo sguardo, come per controllare che non ci fosse nessuno nei paraggi. Giulio la sentì imprecare, gli occhi sbarrati e impauriti.
     – Sara – la chiamò, in un tono volutamente più dolce. Diamine, l’aveva aggredita. Era naturale che si sentisse confusa e spaventata. Si era comportato da bastardo egoista. Si alzò a sua volta e cercò di stringerla a sé, ma lei si allontanò da lui come se fosse il diavolo in persona.
     – No! – fece in un sussurro. – Non toccarmi.

     Poi fuggì come un animale braccato. Giulio la guardò correre via con una strana sensazione alla bocca dello stomaco. Forse rimorso. Chiuse gli occhi, cercando di tornare a respirare regolarmente. Lui e Sara dovevano parlare. E ormai era chiaro che lei avrebbe dovuto accettare la sua proposta. Non aveva alternative.