CAPITOLO 2
L
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a
ragazza fissò Nerone con stupore e fece un passo indietro.
–
Avanti, sali – la spronò Giulio, sperando di sembrare sufficientemente
minaccioso. – Come ti ho spiegato, ho una certa fretta.
– Tu sei pazzo! Non sono mai salita su un
cavallo e non ho intenzione di cominciare adesso.
La vide saettare lo sguardo da lui allo
stallone e indietreggiare ancora. Pareva terrorizzata. – Non sei mai salita su
un cavallo?
– No.
Giulio era perplesso. Sbuffò, infilando la
pistola nella propria cintura, e mosse un passo verso di lei. In un attimo
l’aveva afferrata e sollevata per metterla in sella. Nel farlo, la sua mano
scivolò inavvertitamente sotto la camicia di Sara.
Maledizione!
Quella ragazza lo turbava profondamente.
Anche prima aveva dovuto ritrarsi all’improvviso da lei o avrebbe finito per
prenderla lì, sulla nuda terra.
Trattenne il respiro, sforzandosi di
mantenere il controllo. Una fastidiosa erezione gli premeva contro i calzoni,
ma non aveva intenzione di soddisfare le proprie voglie. Non con i gendarmi
alle costole e una femmina recalcitrante che gli avrebbe procurato solo guai.
Montò in sella dietro di lei e tenne ben
salde le redini mentre partivano al galoppo. Sara lanciò un urlo e cominciò a
tremare, afferrandosi alla criniera del cavallo.
Non andava affatto bene.
– Ehi, ragazza… così lo spaventi.
– In realtà è lui a terrorizzare me. Dove
diavolo mi devo tenere?
Giulio stentava a crederci. La stessa
persona che prima si era mostrata così coraggiosa e lo aveva sfidato,
nonostante il fatto che fosse armato, ora si agitava per un semplice cavallo.
Cercò di parlarle con calma, abbassando il
tono di voce. – Ti tengo io, non preoccuparti. Tu rilassati e appoggiati contro
di me. Ecco, così. Brava.
A dire il vero, forse non era stata una
buona idea. Adesso la ragazza premeva il fondoschiena contro i suoi lombi,
aumentando la sua frustrazione sessuale.
Giulio si lasciò sfuggire tra i denti
un’imprecazione. – Non ci sono cavalli a Firenze? – le chiese per cercare di
deviare i propri pensieri verso qualcosa che non fosse la sua pelle morbida e
profumata. Erano talmente vicini che si sentiva letteralmente avvolto dal suo
intrigante profumo.
Diamine,
lo aveva anche nei capelli!
– Nei maneggi, forse – rispose Sara. – Ma
io non sono una patita dell’equitazione. Preferisco tirare di scherma.
Giulio era sempre più sconcertato. –
Tirare di scherma? Fammi capire: vesti come un uomo, sai maneggiare un
fioretto, ma non hai mai montato un cavallo?
Sara si irrigidì e lui fu consapevole di
ogni muscolo del suo corpo che si tendeva. – Innanzitutto io non vesto come un
uomo. E comunque sì, tiro di scherma, ma non amo i cavalli. Sono due sport
differenti dopotutto.
– Sport? Che significa?
Lei sbuffò, ignorando la domanda. Giulio
si chiese cosa stesse pensando in quel momento la sua bella testolina. La vide
guardarsi intorno, come se vedesse quei posti per la prima volta. Come se ne
fosse turbata… il che non aveva senso.
Abbassò ulteriormente il tono di voce,
riducendolo a un sussurro roco. – Se vuoi posso insegnarti io a montare – E non
si riferiva propriamente ai cavalli.
Lei parve afferrare il doppio senso e lo
guardò in tralice. – Grazie per l’offerta, ma non sono interessata. Non sei il
mio tipo.
Era sveglia, su questo non vi erano dubbi.
La maggior parte delle signorine di buona famiglia non avrebbe colto il
significato nascosto della sua frase. E, se lo avesse fatto, avrebbe gridato
allo scandalo e, nel migliore dei casi, sarebbe svenuta.
– Sei un’eterna contraddizione – esclamò
Giulio, divertito. – Ancora non ho capito chi tu sia e a quale classe sociale
appartenga. Sei istruita, questo è chiaro. E i tuoi abiti, per quanto bizzarri,
sono di ottima fattura come gli stivali. Eppure mostri una disinvoltura che le
fanciulle della buona società non possiedono.
Nerone nitrì, come se volesse dargli
ragione. Giulio lo spronò per farlo andare più veloce.
– Non capisco a cosa tu ti riferisca –
rispose Sara, la voce leggermente tremula. – Io sono una ragazza normale. Sei
tu quello strano.
Giulio rise. – Credimi, mi hanno definito
in molti modi, ma mai nessuno ha detto di me che sono strano.
La ragazza si agitò sulla sella facendo
innervosire il cavallo e anche lui.
Dannazione. Quanto sarebbe durata quella
sofferenza? Desiderava, anzi bramava, il corpo nudo di Sara sotto di lui. Beh,
non necessariamente. Anche averla sopra poteva avere i suoi vantaggi.
Imprecò di nuovo fra sé cercando di
calmare Nerone. Ormai mancava poco alla loro destinazione. Si augurò di trovare
presto il sollievo a cui anelava.
*
* * * * * * * * *
Sara
era sempre più tesa. C’era qualcosa che non quadrava. Come mai non si vedevano
auto o strade asfaltate? E perché Giulio, nonostante la fretta e la paura di essere
arrestato, non si era procurato un mezzo più veloce di uno stupido cavallo?
Per non parlare dei suoi vestiti antiquati
e della sua pistola da museo.
Un dubbio si insinuò con prepotenza nella
sua mente. Cercò di scacciarlo, ma si faceva sempre più insistente.
– Giulio, sai dirmi che giorno è oggi? –
chiese con finta innocenza, il cuore che le batteva nelle costole.
Lui tirò le redini, facendo fermare Nerone
davanti a un capanno immerso nella campagna. Il suo sguardo incredulo si posò
su di lei. – Prego?
– Credo di aver perso il senso del tempo.
Prima ho battuto la testa, ricordi? Non rammento più la data di oggi.
Giulio la fissò diffidente. – È il 5
maggio.
Sara ingoiò la propria saliva, facendosi
sempre più nervosa. Come faceva a chiedere di quale anno, senza sembrare una
pazza?
Le venne un’idea. – Pensa un po’.
L’anniversario della morte di Napoleone!
Lui la fissò come se avesse appena
pronunciato un’eresia.
Ti prego, fa che sappia chi è Napoleone!
– Se ti riferisci all’imperatore dei
francesi, mi duole informarti che è ancora vivo e vegeto. Anche se penso che
siano in molti a desiderarne la morte.
Sara quasi si strozzò. Cominciò a tossire,
fino a diventare paonazza. Aveva detto che Napoleone era ancora in vita? Questo
significava che aveva fatto un viaggio nel tempo e si trovava prima del 1821?
– Ehi, ragazza… che diavolo ti prende? –
La voce di Giulio le parve venire da molto lontano. Per un istante desiderò che
quello fosse solo un incubo dal quale si sarebbe svegliata. Ma quando la tosse
si calmò e riaprì gli occhi, quell’uomo bizzarro era ancora davanti a lei, la
fronte aggrottata e un’aria perplessa dipinta in faccia.
Un fastidioso sudore freddo le penetrò
nelle ossa mentre veniva assalita dalla nausea.
– Credo di essere sul punto di svenire –
disse, la voce ridotta a un sussurro. Giulio la afferrò, per impedirle di
cadere dal cavallo.
Poi fu tutto buio.
*
* * * * * * * * *
Quando
riaprì gli occhi Sara si sentiva ancora intontita. Sbatté le palpebre, prima di
mettere a fuoco
le
immagini intorno a sé. Si trovava in una casupola di legno, dalla cui unica
finestra filtrava la luce rossastra del tramonto. Non aveva idea di quanto
tempo fosse rimasta priva di sensi, ma appariva evidente che la giornata stava
volgendo al termine.
D’istinto
si volse, cercando con lo sguardo il tizio che l’aveva rapita. Si trovava
accucciato a poca distanza da lei, intento a ravvivare un fuoco improvvisato in
un piccolo camino di pietra.
–
Dove ci troviamo? – chiese con un filo di voce. I suoi occhi ci misero un po’
ad abituarsi alla penombra che la circondava. In quella capanna l’unica fonte
di illuminazione era proprio il fuoco che ardeva nel camino.
All’improvviso le tornò in mente la
gravità della situazione. O quello che l’accompagnava era un pazzo, oppure si
trovava davvero in un’altra epoca, senza avere la minima idea di come ritornare
indietro.
Giulio si voltò a guardarla. – Qui siamo
al sicuro. È un capanno che veniva usato per la caccia, ma che è inutilizzato
da tempo. Vi trascorreremo la notte e ripartiremo domani all’alba.
La prospettiva non era affatto allettante.
Si mise a sedere, accorgendosi solo in quell’istante che era stata deposta su
un materasso di paglia su cui giaceva una coperta logora.
Arricciò il naso e la risatina divertita
di Giulio quasi la irritò. – Che hai da ridere?
– Credimi, la tua espressione è esilarante.
Mi spiace non poterti offrire una sistemazione migliore, ragazza. Per questa
volta dovrai accontentarti.
Il suo sequestratore si alzò e si mosse
nella sua direzione. – Allora, come ti senti? Hai avuto un mancamento. Per poco
non mi veniva un colpo quando ti ho vista crollare come un sacco di patate.
Sono riuscito ad afferrarti giusto in tempo, prima che ruzzolassi giù dalla
sella.
Lei lo fissò incerta. – Beh, grazie per
esserti preso il disturbo.
– È stato un piacere.
Il suo sguardo era penetrante. Sara si
chiese se si fosse limitato a sorreggerla o se ne avesse approfittato per
allungare le mani. Decise di non pensarci, perché solo l’idea la faceva
avvampare.
– Cosa intendi farne di me? – chiese,
invece. Aveva la sensazione che non si sarebbe liberata facilmente di quel
ladro. E anche se vi fosse riuscita, dove poteva andare? Se si trovava
realmente in un altro tempo, non avrebbe saputo a chi rivolgersi per chiedere
aiuto.
Giulio si sedette sul letto di paglia, al
suo fianco, e lei dovette scansarsi per evitare che la sua coscia muscolosa
sfiorasse la propria. Si sentiva particolarmente consapevole della vicinanza di
quell’uomo e questo la metteva a disagio. Lui la guardava come se indosso
avesse avuto solo la biancheria intima!
Lo vide aggrottare la fronte, pensieroso.
– Ancora non ho deciso.
Le rivolse un’altra intensa occhiata e
Sara provò un brivido che non aveva niente a che fare con la temperatura
all’interno di quella casupola.
– Sto morendo di fame – disse, per rompere
il silenzio. – E tu?
Giulio scrollò le spalle. – Sono abituato
a restare un’intera giornata senza mettere qualcosa sotto i denti – Si alzò,
andando a frugare in una sacca che aveva lasciato in un angolo, accanto alla
sella. Poi si voltò nuovamente verso di lei. – Mi spiace, ma non ho cibo con
me. Tutto quello che ho da offrirti è un po’ d’acqua.
Le porse una vecchia borraccia che lei rifiutò.
– Non preoccuparti. Ho dei panini nel mio zaino – Lo cercò con lo sguardo,
trovandolo sul pavimento proprio sotto di lei. Dopo averlo sollevato e aperto,
tirò fuori due panini, foderati nella carta stagnola. – Ecco qui. Ne ho uno al
prosciutto e uno al formaggio. Quale preferisci?
Giulio sgranò gli occhi. – Che diavoleria
è quella cosa?
Sara impiegò un istante a capire che si
riferiva alla stagnola. – Ehm, è solo un involucro per conservarli meglio – Li
scartò in fretta e furia e gliene porse uno. Lui l’afferrò esitante, quasi
temesse che volesse avvelenarlo.
Lei roteò gli occhi. – Coraggio, mangia.
Ti assicuro che sono buoni.
Per incoraggiarlo scartò il proprio panino
e lo addentò. Con la fame che aveva ne avrebbe mangiati anche dieci di fila, ma
si sarebbe accontentata di quell’unico che le era rimasto. D’altra parte non
poteva sfamarsi senza dividere il proprio cibo con lui. Era un ladro e un
sequestratore, ma le era stato insegnato a essere gentile col prossimo e non
sarebbe stato affatto carino nutrire solo se stessa.
Finalmente anche Giulio si decise a
prenderne un boccone. Masticò voracemente e le rivolse un sorriso di
gratitudine che le riscaldò il cuore. Era bello quando sorrideva.
Incredibilmente bello.
– È davvero buono. Sei sicura di non
volere un po’ d’acqua? Ti aiuterà a mandarlo giù meglio.
Sara tentennò. All’idea di bere da quella
borraccia le veniva la nausea. Ma non poteva tirare fuori la sua bottiglietta
di plastica. Aveva già avuto problemi a spiegare la carta stagnola.
Inarcò un sopracciglio. – Sei sicuro che
si possa bere?
– Certo. L’ho riempita prima, al fiume.
Come
sospettava. Sarebbe stato troppo pretendere dell’acqua minerale come si deve?
Decise tuttavia di accontentarsi e afferrò la borraccia. Aveva la gola talmente
secca che il primo sorso le parve la cosa più divina che avesse mai assaggiato.
Forse l’acqua del fiume non era poi così male.
Solo dopo essersi dissetata per bene
gliela restituì lasciando che bevesse a sua volta. – Ehm… io dovrei andare in
bagno – disse, infine. Era da parecchie ore che non svuotava la vescica e non
ne poteva proprio più.
Giulio la fissò di nuovo con una vena di
perplessità. – Vuoi fare un bagno? Adesso?
– No, non fare un bagno… andare in bagno!
Si accorse che lui non riusciva a capirla
dalla sua fronte aggrottata. A volte le pareva che parlassero due lingue
completamente differenti. Si grattò la testa alla ricerca di un’illuminazione.
– Ehm, usare la latrina? Così è più chiaro?
Giulio rise piano. – Non penserai che ci
sia una latrina in un capanno per la caccia? Sua signoria dovrà accontentarsi di
urinare all’aperto.
Con suo grande sgomento, indicò la porta.
Sara annuì, incerta se mettersi a piangere od ostentare indifferenza. Non si
poteva beneficiare neppure di un cesso da quelle parti? Che sciagura!
Si alzò con gambe tremanti, subito imitata
dal suo sequestratore. – Ehi, cosa hai intenzione di fare? – Gli rivolse un’occhiata
piena di sdegno. – Non ho bisogno della balia. Sono in grado di fare da sola.
Lui rise di nuovo. – Non ho dubbi. Ma non
voglio correre il rischio che tu te la dia a gambe levate, approfittando della
situazione. Non sono un ingenuo. Quindi, ti scorterò fuori. Che tu voglia o no.
Merda.
Esisteva qualcosa di più imbarazzante che
calarsi le braghe di fronte a uno sconosciuto?
Il respiro le morì in gola mentre uscivano
all’aria aperta. Le parve addirittura che le gambe le fossero diventate di
piombo. – Non è affatto da gentiluomini però…–
si lamentò, gli occhi che sprigionavano lampi di indignazione.
– Taci e cammina. Laggiù ci sono dei
cespugli. Puoi fare lì i tuoi bisogni, io resterò a distanza di sicurezza.
– Giurami che non guarderai.
Lui inarcò un sopracciglio. – Lo giuro. Va
bene così?
Sara si avviò. Ormai era sceso il buio e l’aria
era diventata più fresca. Rabbrividì, anche se non era certa che fosse a causa
della temperatura esterna. Prima di nascondersi dietro al cespuglio lanciò a
Giulio un’ultima occhiata ammonitrice. – Se sbirci ti taglio le palle.
La sua risata risuonò nel vento e Sara
alzò il dito medio. Non sapeva se in quell’epoca quel gesto avesse lo stesso
significato che aveva nella sua, ma non le importò.
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