CAPITOLO 1
Francavilla Fontana, maggio 2013
S
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ara
scostò una ciocca di capelli che le era ricaduta sulla fronte e sbuffò,
riportando l’attenzione sull’insegnante di storia dell’arte che blaterava da
più di un’ora.
–
Qui alla vostra destra potete notare i caratteristici trulli: antiche
costruzioni in pietra, coniche, di origini protostoriche. Sono tipiche della
Puglia centro-meridionale.
Il suo sguardo tornò a vagare. Non le
importava nulla dei trulli. In quel momento tutta la sua attenzione era
concentrata su Mario che ridacchiava con Vanessa, a pochi passi da lei.
Sospirò. Non era mai stata più infelice.
Dopo mesi di frequentazione lui l’aveva lasciata per quella smorfiosa! Aveva
cercato in tutti i modi di farsene una ragione, ma proprio non riusciva a
dimenticarlo. Mario era stato il suo primo amore e il suo cuore batteva ancora
per lui, nonostante tutto.
– Ferrari vuoi degnarci di un po’ della
tua attenzione? Puoi ripetere ai tuoi compagni quello che ho appena detto?
La prof le aveva indirizzato uno sguardo
spazientito, sistemandosi gli occhiali sulla punta del naso, come era solita
fare quando si innervosiva.
Questa non ci voleva!
Si inumidì le labbra secche e cercò di
ricordare. – Ehm… stava parlando dei trulli.
– E cosa sai dirci della loro struttura?
– La
struttura? – si sforzò di prendere tempo, ma in realtà non aveva la più pallida
idea di cosa stesse parlando.
L’insegnante aveva un cipiglio severo e
stava battendo il piede sul suolo in terra battuta. – Avanti, Ferrari. Non
abbiamo a disposizione tutto il pomeriggio – disse con voce stridula. Poi si
rivolse ai suoi compagni: – Chi di voi sa rispondere alla domanda?
Vanessa alzò la mano, facendo ondeggiare
le sue lunghe chiome bionde. – Il trullo presenta una pianta di forma
approssimativamente circolare, sul cui perimetro si imposta la muratura a
secco, di spessore molto elevato.
La prof annuì con un sorrisino. – Brava,
Bianchi! Almeno tu sei stata attenta.
Sara avrebbe voluto strozzarle entrambe.
Ma come faceva Mario a sopportare quella gatta morta? Più ci pensava, meno
riusciva a darsi una risposta. Lo guardò di sbieco mentre la Baldini riprendeva
la sua spiegazione. Adesso si era allontanato dal gruppo, senza essere visto.
Dove aveva intenzione di andare? Se la
prof di arte lo beccava, una bella lavata di capo non gliel’avrebbe levata
nessuno!
Finse di ascoltare con la dovuta
attenzione, continuando però a tenerlo d’occhio.
– Dove sta andando Mario? – le chiese in
un sussurro Francesca, la sua migliore amica.
Lei scosse le spalle. – Non ne ho idea.
– Probabilmente non ne può più di quella
secchiona di Vanessa. Cosa stai aspettando? Vai a riprendertelo, Sara. Quello
non vede l’ora di tornare con te!
Magari fosse vero!
Si mordicchiò il labbro, indecisa sul da
farsi. Infine scattò in quella direzione, tanto la Baldini era troppo
concentrata sul suono della sua stessa voce per accorgersene. Mosse qualche
passo, fino a raggiungere la parte posteriore del trullo. Le era sembrato che
Mario fosse andato a nascondersi proprio lì, eppure non lo vide. Le parve
tuttavia di scorgere un’ombra sulla sommità del trullo, proprio dove si trovava
una piccola apertura, una specie di finestra a cui si aveva accesso da una
scaletta ricavata nel paramento esterno.
Deglutì.
Provava un po’ di timore ad arrampicarsi
sulla scala, ma voleva a tutti i costi riuscire a parlare da sola con Mario.
Avevano ancora tante cose da chiarire, almeno secondo lei. Col cuore che le
batteva a mille cominciò a salire e, raggiunta la finestra, sbirciò
all’interno. Era troppo buio per riuscire a scorgere qualcosa.
– Mario, sei lì? – chiese con un filo di
voce. Non rispose nessuno, ma lei non si diede per vinta. Radunando tutto il
suo coraggio, si intrufolò all’interno della cupola. Per fortuna riuscì a
trovare un basamento su cui appoggiare i piedi e, da lì, non fu difficile
scendere, aiutandosi con le pietre che sporgevano. Evidentemente era portata
per le scalate!
Una volta all’interno della costruzione in
pietra si rese conto di essere sola. Nessuna traccia di Mario e una sensazione
strana si impadronì di lei.
Rabbrividì.
Un bizzarro ronzio parve provenire dalle
pietre intorno a lei, come se un alveare fosse nascosto in qualche fenditura
nella roccia. Ma non c’erano alveari. Solo pietre.
Sarà cominciò a sudare freddo. Fece un
passo in direzione della porta del trullo, chiusa dall’interno. Non le
importava se uscendo da lì sarebbe finita dritta nelle braccia della Baldini. Sapeva
unicamente che doveva fuggire via. Subito.
Affrettò il passo, ma inciampò in una
pietra più sporgente delle altre, rovinando a terra. Intanto i suoni erano
aumentati, facendosi più distinti. Le parve di udire dei cavalli al galoppo e
delle voci. Forse quel trullo era infestato dai fantasmi? Solo il pensiero le
procurò un brivido lungo la schiena.
Si tirò su, barcollando, il cuore che
sembrava impazzito. Ora era circondata dai rumori. Erano sempre più forti, al
punto da rimbombarle nelle orecchie.
Sara si sentì svenire. Le gambe le
cedettero e si ritrovò di nuovo a terra, con la testa che le scoppiava.
Infine fu tutto nero.
*
* * * * * * * * *
Francavilla d’Otranto, maggio 1813
Una
luce accecante la colpì, non appena riaprì gli occhi. Adesso si trovava
all’esterno del trullo, ma tutto intorno a lei era deserto. Non vi era traccia della
prof di arte né dei suoi compagni di classe.
Sara scosse la testa con violenza, come
per schiarirsi le idee. Non riusciva a ricordare. Si era sentita male
all’interno del trullo. Ma come era uscita? E perché nessuno l’aveva soccorsa?
Dove erano andati tutti?
Calma. Non devo lasciarmi prendere dal panico!
Si alzò in piedi e afferrò il proprio
zaino, alla ricerca disperata del telefonino. Eccolo! Fece per accedere alla
rubrica, ma solo allora si accorse che non c’era campo. Maledizione! Uno
smartphone ultimo modello, pagato dai suoi una discreta cifra, e non riusciva a
prendere il segnale!
Era in preda alla nausea e alle vertigini,
ma si impose di mantenere la calma. La cittadina di Francavilla era a poca
distanza. Poteva raggiungerla a piedi, dopotutto era un’ottima camminatrice. Lì
il cellulare avrebbe avuto campo a sufficienza per chiamare la sua amica
Francesca o l’insegnante, magari entrambe per essere più sicura.
Ripose il telefonino nell’apposita tasca,
richiuse lo zaino e se lo mise in spalla. Non sapeva quanto tempo fosse
trascorso da quando aveva perso i sensi, ma dalla posizione del sole dovevano
essere all’incirca le quattro del pomeriggio. Avrebbe raggiunto Francavilla
prima che facesse buio.
Si mise in cammino attraverso i campi. A
breve avrebbe dovuto raggiungere una strada asfaltata, magari avrebbe potuto
fare l’autostop. Tuttavia, più camminava, più avvertiva qualcosa di strano: non
c’era nessuna strada asfaltata nei dintorni e nessuna macchina. Era
praticamente immersa nella campagna e davanti a sé riusciva a scorgere solo
prati e un agglomerato di ulivi che si intensificava, fino a diventare una
fitta boscaglia.
A un tratto raggiunse un corso d’acqua.
Doveva essere il Canale Reale. Ci erano passati davanti anche con la prof, sebbene
improvvisamente le sembrasse diverso. Prima le era parso un piccolo fiumiciattolo,
pieno di detriti e spazzatura. Adesso era un corso d’acqua vero e proprio,
talmente grande da essere addirittura navigabile, per lo meno da piccole
imbarcazioni.
Lo osservò più da vicino mentre un brivido
di apprensione le scendeva lungo la schiena. L’acqua era incredibilmente
limpida. Veniva quasi voglia di tuffarsi per fare una bella nuotata. Cosa stava
succedendo? Perché aveva la sensazione di essere finita in un altro mondo, o
addirittura un’altra dimensione?
Fece un bel respiro, sforzandosi di non
cedere al panico. Se si metteva a pensare al fatto di essere sola, in aperta
campagna, col telefono fuori uso e nessun punto di riferimento, veniva colta da
puro isterismo. Meglio non pensarci, quindi, e andare avanti.
Decise di seguire il fiume. Prima o poi
avrebbe portato a un centro abitato, giusto? E lì avrebbe potuto chiedere
aiuto. Una delle sue doti migliori era che non si perdeva mai d’animo di fronte
alle difficoltà.
Coraggio, Sara. Ce la puoi fare!
*
* * * * * * * * *
Si
era rimessa in cammino da un bel po’, quando lo vide. Era un giovane alto,
vestito con una camicia di lino bianca e dei calzoni al ginocchio piuttosto
antiquati, chino sul fiume. Pareva intento ad abbeverarsi, come se non nutrisse
alcun timore di bere acqua non potabile o inquinata.
Sara stava per mettersi a correre verso di
lui, quando il giovane si voltò all’improvviso, sul viso un’espressione
accigliata e diffidente. Solo in quel momento si accorse che le stava puntando
contro un’arma: una di quelle pistole antiche che si vedono nei musei.
– Resta fermo lì, non un passo di più –
sibilò, feroce. I suoi occhi percorsero interamente la sua figura, come per
studiarne le forme. – Siete una donna – aggiunse, subito dopo. – Vestita in
quel modo vi avevo presa per un ragazzo.
Lo vide aggrottare la fronte e fare
qualche passo verso di lei, senza abbassare l’arma. – Non vorrai farmi credere
che quella cosa che hai in mano spara? – chiese Sara, indecisa se prenderla sul
ridere o irritarsi.
L’uomo continuò ad avanzare. – Oh, sì che
spara. E se non volete ritrovarvi con un bel buco nel cuore, fareste bene a non
muovervi.
Sara trattenne il respiro. Lo sconosciuto
aveva un fisico asciutto e agile, indiscutibilmente minaccioso. Le sopracciglia
erano ben disegnate e i grandi occhi, color azzurro ghiaccio, la stavano
fissando intensamente.
Deglutì. Aveva senza ombra di dubbio le
sembianze di un brigante, uno di quelli che si vedono nei film storici. Persino
i capelli gli davano quell’aspetto: erano scuri e lunghi, raccolti in una coda
di cavallo con un laccio di cuoio.
– Ma chi diavolo sei? Un pazzo che si
diverte a terrorizzare le ragazze indifese?
Lui rise. Una risata bassa, gutturale e
tremendamente sexy. – Scusate se mi permetto, ma non avete affatto l’aria della
ragazza indifesa. Per quale motivo siete vestita come un uomo?
Sara abbassò lo sguardo. Indossava una
camicia, un paio di leggings e stivali. – Non sono vestita da uomo! – sbottò
esasperata. – I leggings sono indiscutibilmente un indumento femminile. E la
camicia…
– State cercando di confondermi con un
linguaggio bizzarro? Ebbene, risparmiate il fiato. È piuttosto evidente che
siete vestita da uomo. Le donne non indossano brache e stivali. Che ne è di
corsetto, sottogonne, pizzi e seta?
Il sorriso dello sconosciuto si fece
ironico, ma non fu quello a turbarla. – Corsetto? Sottogonne? Ma di cosa stai
parlando?
– Dell’abbigliamento consono a una
fanciulla. E, ditemi, cosa ci fate tutta sola in aperta compagna? Non avete
paura di essere assalita dalla banda di Papa Ciro?
Sara sbatté le palpebre. Si sentiva
confusa. – Chi? – che lei sapesse l’ultimo Papa si chiamava Francesco, non
Ciro.
L’uomo inarcò le sopracciglia. – Non avete
mai sentito parlare di Papa Ciro e la sua banda di briganti?
Sara scosse la testa. – Francamente no.
Chi sarebbe costui?
L’uomo si grattò la testa con la mano
libera, mentre nell’altra continuava a impugnare la pistola.
–
Voi ferite il mio orgoglio. Avete davanti proprio uno dei suoi seguaci, sapete?
Ci diamo tanta pena per saccheggiare i dintorni e la gente neppure sa chi
siamo! Un vero colpo al cuore.
Il suo tono era ironico, ma Sara intuì che
si sentiva spiazzato. Beh, lei non era da meno.
– Ancora non hai risposto alla mia
domanda. Chi diavolo è questo Papa Ciro?
– Il suo vero nome è Ciro Annicchiarico.
Un tempo faceva parte del clero, ma adesso è diventato il capo di una banda di
briganti.
Sara era sempre più perplessa. – Un prete
che ruba? Oddio, meglio che essere pedofilo in fondo.
Lui aggrottò la fronte. – Pedofilo? Come
diamine parlate, si può sapere?
Brigante o no, la persona che aveva di
fronte doveva essere un bell’ignorante.
Sara alzò gli occhi al cielo. – I pedofili
sono quelli che stuprano i bambini.
Un altro sorrisino ironico fece capolino
sul suo viso abbronzato. – Una signora non dovrebbe nemmeno affrontare certi
argomenti. Comunque potete star sicura: a Ciro piacciono le donne, non i
ragazzini. E anche al sottoscritto.
Finita la frase, riprese a fissarla
lentamente, da capo a piedi, percorrendo con occhi insolenti ogni parte del suo
corpo, per poi indugiare lo sguardo sulla scollatura della camicia. Per quale
motivo la guardava in quel modo?
Sara sbuffò. – Quindi derubate la gente? È
per questo che mi stai puntando contro quella “cosa”? – indicò quell’arma
antiquata, non sapendo come altro definire quel pezzo da museo – Vuoi i miei
soldi?
Aprì lo zaino con gesti impazienti. Ci
mancava anche lo scippatore! Quella doveva essere la sua giornata sfortunata.
Tirò fuori il portafogli e gettò per terra delle banconote. – Ecco, è tutto
quello che ho!
Il ladro fece una smorfia. – Cosa pensate
che dovrei farci con quei pezzi di carta?
Pezzi di carta? Erano ben cento euro!
Sara incrociò le braccia sul petto. – Se
non ti interessano i miei soldi, allora cosa vuoi da me?
Lui fece un altro passo verso di lei, gli
occhi fissi nei suoi. Sembrava un felino che girava intorno alla preda e un brivido
di apprensione la inchiodò al suolo.
– Domanda interessante – fece il brigante,
scostando una ciocca di capelli che gli era ricaduta sulla fronte. – Potrei
fare molte cose con voi, ma non ora. Adesso dobbiamo andarcene da qui. Mi
stanno alle costole e non ho alcuna intenzione di farmi trovare.
Sara spalancò gli occhi, inorridita. – Io
non vengo da nessuna parte con te!
Si voltò di scatto, cominciando a correre
all’impazzata. Era senza fiato, ma continuò ad andare avanti, facendosi strada
fra gli olivi che circondavano il letto del fiume e ignorando i sassi e le
buche nel terreno che la facevano sbandare.
Gocce di sudore le imperlavano la fronte.
Non avrebbe resistito a lungo, ma non poteva cedere. Nella sua mente c’era
un’unica certezza: doveva fuggire via da quel pazzo. Poi un pesante colpo a un
fianco la fece cadere a terra. Il dolore fu lancinante e le tolse il poco fiato
che le era rimasto. Un paio di mani l’afferrarono, girandola bruscamente,
finché non si ritrovò a fissare gli occhi glaciali del brigante, o quello che
era.
– Dove diavolo credete di andare? Se
pensate che vi lasci libera di correre a denunciarmi, vi sbagliate di grosso.
Sara sputò qualcosa per terra. Forse
sangue. Nella caduta si era rotta il labbro inferiore che sanguinava
copiosamente. La testa le girava come in un vortice.
– Non ho intenzione di denunciare nessuno
– disse, non appena ritrovò un po’ di fiato. – Voglio solo tornare a casa.
Lacrime di frustrazione le offuscarono la
vista mentre lui la afferrava per le braccia, impedendole i movimenti.
– Pensate che vi creda?
– Ti prego, lasciami andare.
Il corpo del brigante la schiacciava sotto
al suo peso, togliendole il respiro. Inaspettatamente riprese a fissarla in un
modo strano.
– Chi diavolo siete?
Con la mano le sfiorò il labbro
sanguinante, per poi scendere con esasperante lentezza lungo la guancia e sul
collo.
– Cosa diavolo stai… – Sara era sempre più
turbata. Non voleva pensare alle sensazioni provocate da quelle carezze. Non
ora. – Toglimi le mani di dosso!
Lui la ignorò. Continuando a tenerla
inchiodata a terra, le afferrò il mento. Sara cercò di divincolarsi, ma l’uomo aveva
dita d’acciaio. – Avete la pelle di una gran dama – riprese, come se stesse
riflettendo ad alta voce. – E un ottimo profumo, di certo costoso. Non ne ho
mai sentito uno uguale.
Sara si sentì il cuore in gola. Cosa
intendeva farle? Cercò di respirare normalmente, ma era difficile con lui che
muoveva quella mano su di lei con una disarmante familiarità.
Si ritrovò a fissare i suoi occhi di
ghiaccio con sguardo supplice. Ma lui non la lasciò andare e continuò la sua
esplorazione, insinuando una mano sotto la sua camicetta.
All’improvviso lo sentì imprecare sottovoce.
– Diamine, non indossate biancheria intima?
Sara trattenne il fiato. Le sue dita ora
le stavano accarezzando l’addome, fino a raggiungere l’ombelico. Avrebbe dovuto
scalciare, lottare in qualche modo, invece si sentiva come paralizzata. Perché
non aveva indossato una canotta sotto la camicia?
Finalmente il brigante la lasciò andare.
Con un movimento fluido si alzò in piedi, sollevandola di peso. Sembrava
sofferente. Forse nella caduta si era ferito a sua volta, sebbene non mostrasse
lacerazioni evidenti.
Una volta in piedi, Sara lo fissò
sospettosa. – Mi lascerai andare?
– Niente affatto. Voglio sapere chi sei e
da dove vieni.
Finalmente aveva smesso di rivolgersi a
lei con quel fastidioso “voi”. Forse al sud era considerato normale, ma Sara lo
trovava decisamente antiquato.
Sospirò. – Mi chiamo Sara Ferrari e vengo
da Firenze. Sono qui in gita scolastica.
– Gita scolastica? – Il brigante inarcò un
sopracciglio.
– Sì, ma mi sono persa e devo
assolutamente ritrovare la mia insegnante e i miei compagni.
– Non sei un po’ troppo grande per andare
ancora a scuola?
Lei alzò gli occhi al cielo, sbuffando. –
Ho diciotto anni. Quest’anno prenderò il diploma e poi conto di iscrivermi
all’università. Qualcosa in contrario?
Lui fece una risatina. – Le donne non
vanno all’università!
Sara cominciava a irritarsi. Mise le mani
sui fianchi, fissandolo con aria battagliera. – Ah, no?
Lui ricambiò lo sguardo con ardore. – No.
Qui da noi si sposano e mettono al mondo dei figli. È questo il loro dovere.
– Fottiti.
Il brigante rise più forte. – Sei proprio
una ragazza bizzarra! Hai l’aspetto di una signora, ma imprechi come una
lavandaia.
Sara aprì la bocca e la richiuse di
scatto, indignata. Come si permetteva? – Senti tu, maschilista dei miei
stivali, non ho intenzione di restare qui un minuto di più, in tua compagnia.
Ho cose ben più importanti da fare.
Le labbra dell’uomo si incurvarono in un
ghigno diabolico. – Temo di doverti contraddire, Sara. Dovrai sopportare la mia
presenza ancora per un po’. Non ho alcuna intenzione di lasciarti andare – i
suoi occhi azzurri la scrutarono con un’intensità disarmante. – A proposito, il
mio nome è Giulio Guadalupi. Lieto di fare la tua conoscenza.
Sara avrebbe voluto rispondergli che non
le importava come si chiamasse, ma lui non le lasciò il tempo. Si mise due dita
in bocca e fischiò. Un attimo dopo un cavallo dal manto nero corvino spuntò dal
bosco di ulivi e si fermò proprio accanto a loro.
Sara deglutì. – E questo da dove arriva?
– Ti presento Nerone, il mio cavallo –
rispose Giulio, con un sorriso sghembo.
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Ciao Laura, bella l'idea di postare l'inizio del tuo libro sul blog. Non ho mai letto nulla di time-travel (si chiama così il genere?), potrebbe essere molto interessante, l'unica cosa che mi frena un po' è l'età della protagonista perché io e i gggiovani non siamo tanto sulle stesse lunghezze d'onda...
RispondiEliminaCiao Eva, ho intenzione di pubblicare a puntate l'intero romanzo. Per chi avrà voglia di leggerlo. Comunque sì, è un time travel. Un esperimento un po' bizzarro perché è una storia a tratti umoristica, romantica, con un pizzico di storia... mi spiace che l'età della protagonista non ti sia congeniale. A presto!
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