CAPITOLO 3
N
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onostante
il giuramento, Giulio tenne lo sguardo fisso sulla ragazza. Cercò di
convincersi che lo faceva per controllarla meglio, ma la verità era che lei lo
affascinava. Anche troppo. Adorava la caparbietà che la caratterizzava e la sua
sfrontatezza. Per non parlare del suo visino da bambola e della pelle diafana.
Non aveva mai visto una donna con una pelle così morbida e profumata. E pulita.
I suoi capelli erano di una tinta
particolare, a metà fra il biondo e il rossiccio. A guardarli sembravano un
manto setoso che gli sarebbe piaciuto sfiorare con le dita. Quasi gli prudevano
dalla voglia di toccarli!
Quando ebbe finito di fare i suoi bisogni
e lo raggiunse, aveva ancora lo sguardo corrucciato. Si chiese come fosse
possibile che una donna abituata ad andare in giro vestita in quel modo, con le
gambe fasciate in un paio di calzoni così stretti da non lasciare nulla
all’immaginazione, si dimostrasse poi così pudica.
Era un vero mistero. E lui adorava gli
enigmi.
– Se hai finito, possiamo tornare dentro –
disse, con un tono più brusco di quanto desiderasse. – Come ti ho detto, domani
ho intenzione di ripartire all’alba. Nel tempo che ci resta sarà meglio dormire
un po’.
Lei lo precedette all’interno del capanno
senza proferire parola. Ma una volta dentro, tornò a fissarlo con apprensione.
– Tu dove dormirai? C’è un solo letto qui dentro, se si può chiamare così.
Giulio seguì il suo sguardo fino a incontrare il giaciglio di paglia su
cui l’aveva adagiata dopo lo svenimento. Ancora non gli era chiaro perché
avesse perso i sensi, tutto a un tratto. Era abituato a vedere le donne cadere
in deliquio, ma di solito lo facevano perché indossavano bustini troppo stretti
o per attirare l’attenzione. Ed entrambi i casi erano da escludere.
– Vorrà dire che lo divideremo – rispose,
aspro.
Gli occhi di Sara lo fulminarono. – Che
hai detto? Tu sei completamente pazzo! Non verrò a letto con te, nemmeno…
Quella ragazza riusciva a essere
esasperante, a volte. Sospirò. – Tranquilla, non attenterò alla tua virtù. Non
ho appena detto che abbiamo bisogno entrambi di dormire? E comunque, se devo tenerti d’occhio questa è la soluzione
migliore. Non voglio essere costretto a montare di guardia, nel timore che tu
fugga via nel bel mezzo della notte.
Lei schioccò la lingua, stizzita. Ma per
fortuna non obiettò.
La vide dirigersi verso il letto a passo
di carica e scuotere energicamente la coperta. – Scommetto che sarà piena di
pidocchi – sbottò, guardandolo in tralice.
Proprio non riuscì a evitare un sorrisino.
– Mi dispiace, principessa. La prossima volta vedrò di procurarmi un letto con
lenzuola di seta.
Sara
gli mostrò la lingua e si sdraiò, voltandogli le spalle. Gli piacevano i loro
battibecchi. La trovava decisamente attraente quando lo squadrava dall’alto in
basso, con gli occhi che brillavano di furia. Chissà come sarebbe stato domare
quella puledra selvaggia!
Continuando a ridacchiare, si tolse la
camicia e la gettò su una sedia di legno davanti al camino. Poi raggiunse Sara
e si sdraiò al suo fianco. Il letto era piccolo e c’era appena spazio per
entrambi; il che lo costrinse a stringersi a lei più del dovuto. Non appena i
suoi lombi sfiorarono le natiche sode di quel corpo femminile, il suo membro
ebbe una reazione del tutto naturale.
Trattenne il respiro. Non sarebbe stato
affatto facile dormire, quella notte. Nonostante necessitasse di un po’ di
riposo, pareva che una parte di lui fosse più che pronta a trascorrere il tempo
in modo più piacevole. Dovette ignorarla. Non aveva mai posseduto una donna
contro la sua volontà e qualcosa gli diceva che Sara sarebbe stata tutt’altro
che disposta a concederglisi.
A un tratto lei si mosse, alla ricerca di
una posizione più comoda e lui si lasciò sfuggire un sibilo.
Sarebbe stata una notte molto lunga.
*
* * * * * * * * *
Fu
svegliata da un paio di mani forti che l’afferravano, scuotendola. – Mamma,
lasciami dormire ancora un po’. Ti prego… – borbottò, crogiolandosi nel cupo
nulla dell’incoscienza.
Una voce che non era affatto quella di sua
madre la raggiunse, come se provenisse da lontano.
– È proprio l’ora che ti svegli, ragazza.
Muoviti, se non vuoi che ti prenda a sculacciate!
Trasalì e aprì gli occhi di scatto. La
stanza era ancora immersa nell’oscurità. Solo una flebile luce penetrava dalla
finestra, a informarli che il sole stava per sorgere.
Sara si mise a sedere, stropicciandosi gli
occhi. Aveva le ossa rigide e i muscoli contratti. Dovette stiracchiarsi come
un gatto, prima di riacquistare sensibilità agli arti. Poi il suo sguardo calò
sulla persona che l’aveva svegliata.
Oh, no! Non era stato un sogno. Giulio
Guadalupi la stava studiando con un’espressione torva su quel suo viso da dio
greco, la mascella solcata da un lieve accenno di barba.
– Non può essere vero! – si lasciò sfuggire,
facendo trapelare il proprio sconforto.
– Che cosa, principessa?
– Che tu sia ancora qui. Credevo che non
fossi reale e di averti solo sognato.
Lui fece un ampio sorriso. – Credimi,
ragazza, mi farebbe piacere far parte dei tuoi sogni, ma tutto questo è molto reale e se non ci sbrighiamo i
gendarmi ci raggiungeranno. Quindi muovi quelle chiappe e scendi dal letto.
Scrollò le spalle. – A me cosa importa se
i gendarmi ci trovano? Sei tu quello accusato di furto, non io.
Giulio le dedicò uno sguardo ironico. –
Penseranno che tu sia mia complice. Non ti è passato per quella tua graziosa
testolina?
Sara scese dal letto con un balzo. L’aria
del mattino era piuttosto fresca e rabbrividì. Poi gettò un’occhiata obliqua al
suo sequestratore. – Mi basterà raccontare che mi hai rapita, per scagionarmi.
– E credi che ti daranno retta? Una
ragazza, vestita da uomo, si aggira per i boschi del Salento in compagnia di un
brigante. La storia del rapimento sarebbe poco credibile. Neppure un bambino ci
cascherebbe.
Sara si strinse le braccia intorno al
corpo e imprecò sottovoce. – Ma tu mi hai davvero
rapita. Mi interrogheranno e allora io gli dirò…
– Hai un’idea di come facciano gli
interrogatori? – chiese Giulio, inarcando un sopracciglio. Si allontanò da lei
per recuperare la propria sacca e la sella, che aveva portato dentro il capanno
la sera precedente. – Usano la tortura come metodo di persuasione. Ti farebbero
rinnegare la tua stessa madre, fidati di me!
Lei boccheggiò. Il freddo che le invase le
membra ora era molto più intenso. – Ho sbagliato prima. Tu non fai parte di un
sogno, bensì di un incubo!
Giulio le diede una pacca sul sedere e lei
strillò. – Coraggio, ci aspetta una lunga cavalcata – le sussurrò all’orecchio.
Un attimo dopo erano entrambi in sella,
pronti per rimettersi in viaggio. Al contrario della precedente, quella era una
mattina uggiosa. Fastidiose gocce di pioggia ricadevano sul terreno, rendendolo
fangoso e rallentando il loro procedere. Sara si lasciò cadere contro il
robusto torace di Giulio, alla ricerca di un po’ di calore. Malgrado la
difficoltà della situazione quel contatto era piacevole.
Lui emanava un forte odore di fumo di
legna e di maschio. Stranamente quel fatto la confortò, come se si sentisse al
sicuro fra le sue braccia.
Sara chiuse gli occhi, ascoltando i rumori
del bosco intorno a loro. Il lieve tintinnio delle briglie e della pioggia la
cullarono, al punto che dovette fare uno sforzo per tenere gli occhi aperti.
– Dormi pure, se vuoi – la riscosse la
voce di Giulio. Aveva un tono dolce che prima non gli aveva mai sentito usare.
– Ti sorreggo io.
– Grazie – mormorò Sara, rilassandosi
contro quel corpo caldo. Non poteva vedere il suo volto, essendo dietro di lei,
ma riuscì ugualmente a percepirne il sorriso sfrontato. – A proposito, dove
siamo diretti?
– A Taranto.
*
* * * * * * * * *
Impiegarono
un’altra intera giornata di viaggio prima di giungere in città, sul calar del
sole. Guardandosi intorno, Sara ebbe l’impressione che ci fosse qualcosa di
familiare in quei luoghi, ma allo stesso tempo si sentiva in un mondo a lei
sconosciuto.
Sbatté le palpebre. Era già stata a
Taranto insieme alla sua classe. Avevano soggiornato in un albergo un po’
decentrato, ma con tutte le comodità. Eppure adesso sembrava così diversa!
Tanto per cominciare era troppo buia. Se doveva credere alla teoria del viaggio
nel tempo – e ancora non ne era del tutto convinta – questo fatto poteva spiegarsi
con la mancanza di energia elettrica.
Sospirò, lasciando vagare lo sguardo lungo
la strada polverosa. Qua e là si scorgeva qualche carro, oppure un cavaliere
solitario. Le case poi non erano i palazzi a cui era abituata, ma edifici a non
più di tre piani, costruiti in pietra, con grandi finestre e principalmente
senza balconi. Avevano un aspetto imponente, ma sobrio e austero. Alcuni erano
circondati da un piccolo cortile, altri davano direttamente sulla strada. –
Bene, adesso che siamo qui che facciamo? – chiese, rivolta al suo compagno di
viaggio. In realtà non aveva idea del motivo che li aveva condotti lì. Un
criminale in fuga non avrebbe dovuto evitare i luoghi affollati? Sarebbe stato
più logico andarsi a nascondere fra le montagne, piuttosto che in una grande
città.
Lui fece svoltare Nerone in una strada
stretta e buia, per poi sbucare in una piazza. – La mia famiglia vive qui. Ci
ospiteranno, almeno fino a quando non deciderò di raggiungere i miei compagni
nel nostro rifugio. Se mi fossi diretto subito lì, avrei rischiato di portarmi
dietro uno stuolo di gendarmi, nel caso mi avessero seguito. Aspetterò che si
calmino le acque e poi mi metterò in contatto con loro.
Sara era perplessa. – Non capisco. Non hai
paura che casa tua sia il primo posto in cui verrebbero a cercarti? – Era una
deduzione logica, com’era possibile che non ci fosse arrivato da solo?
Lui tirò le redini all’improvviso, davanti
a un cancello. Nell’oscurità Sara non riusciva a distinguere bene, ma le pareva
che quella fosse una residenza alquanto signorile.
– I gendarmi non conoscono la mia vera
identità, sciocchina. Pensi che io sia stato così stupido da gridare ai quattro
venti il mio nome? Nessuno qui mi collegherebbe al brigante della banda di Papa
Ciro, a meno che non sia tu a vuotare il sacco.
Sara percepì il suo sguardo diffidente e
quasi le scappò un sorriso. Adesso chi aveva il coltello dalla parte del
manico? Ma non ebbe il tempo di godersi il proprio trionfo che Giulio saltò giù
dalla sella, aiutandola a scendere a sua volta. – Siamo arrivati – disse,
afferrandole il braccio con tanta forza da strapparle un gemito. Aveva ancora
paura che scappasse? Ma dove poteva andare in quella città sconosciuta, dove le
persone vestivano secondo la moda ottocentesca e andavano in giro su carri o
cavalli? Avrebbe potuto pensare che stessero girando un film, ma quale attore
sequestrerebbe una ragazza che si è persa, facendole credere di aver fatto un
salto nel tempo? E poi tutto sembrava troppo reale per essere semplicemente un
set cinematografico.
Giulio la strattonò, riscuotendola dai
propri pensieri. La teneva stretta al suo fianco e la stava fissando con aria
interrogativa. – Ti sei incantata? Coraggio, entriamo in casa. Non vedo l’ora
di godermi un pasto caldo, finalmente.
A quelle parole il suo stomaco brontolò
molto poco educatamente. Sara arrossì e distolse lo sguardo, fissandolo sulla
costruzione davanti a sé.
Merda.
La casa era davvero enorme. In pietra
grigia, aveva linee squadrate ed eleganti e vi si accedeva lungo un viale che attraversava
un piccolo giardino. A lato della casa padronale si trovavano le stalle e una
rimessa per le carrozze. Giulio si diresse da quella parte, trascinandosi
dietro lei e Nerone. – Sei sicuro che sia questa la tua casa? – gli chiese,
ancora incredula. Sapeva con certezza che non era ubriaco, però era possibile
che gli fosse andato di volta il cervello. Quella era senza ombra di dubbio la
residenza di un aristocratico!
Giulio fu scosso da una breve risata. –
Vuoi che non riconosca la casa dove sono nato?
Quello che aveva tutta l’aria di un
garzone di stalla si mosse veloce verso di loro, evidentemente con l’intenzione
di prendere in consegna il cavallo. – Buonasera signor conte, bentornato! –
disse, abbozzando un inchino.
Signor
conte?
Doveva aver capito male. Sara rivolse uno
sguardo incredulo al suo accompagnatore. – Sbaglio o ti ha chiamato conte?
– Conte Giulio Guadalupi di Nardò, per
servirvi – fece a sua volta un inchino nella sua direzione, un sorriso
divertito a illuminargli il volto.
Per poco non le cascò la mascella. Non
riusciva a crederci!
– Stai cercando di dirmi che sei un
aristocratico?
–
Ebbene sì, è proprio ciò che sono. Sorpresa?
Sara lo seguì sul viale che conduceva
all’abitazione principale, gli occhi ancora sgranati. – Sei un aristocratico e
derubi la gente? Ma non ti vergogni? Pazienza se lo facessi per necessità, ma
così…
Prima che potesse continuare Giulio l’afferrò, tappandole la bocca. –
Cristo, ragazza… vuoi stare zitta?
Lei gli morse un dito, facendogli ritirare
la mano di scatto. Dalle labbra del conte sfuggì un’imprecazione ben poco
signorile, ma Sara non ci fece caso. Era troppo impegnata a seguire il corso
dei propri ragionamenti. – Dimmi perché lo fai. E non venirmi a raccontare che
hai bisogno di soldi, perché con una casa così non ti crederebbe nessuno!
Giulio si massaggiò la mano, negli occhi
un’espressione bellicosa. – Non è per il denaro. I motivi che mi spingono sono
di carattere politico.
Sara era ancora più confusa. Lo seguì su
per una scalinata di marmo, sforzandosi di stare al suo passo. – E quali
sarebbero questi motivi?
– Ciro ed io siamo entrambi sostenitori
del nuovo regime rivoluzionario. Derubiamo e tiranneggiamo solo coloro che si
oppongono al governo di Murat. Il nostro intento è quello di sconfiggere i
nemici di Bonaparte.
Arrivati davanti a un’enorme porta di
legno, Giulio bussò energicamente finché un servitore non venne ad aprire.
Prodigandosi in inchini, manifestò la propria felicità nel rivedere il suo
padrone e li introdusse in un ampio ingresso, squadrato e con le pareti color
crema.
Sara si guardò intorno a bocca aperta.
Quella pareva una vera dimora ottocentesca, con quadri raffiguranti paesaggi e
nature morte appesi ai muri, e un grande lampadario in bronzo e cristalli a
illuminare lo spazio circostante. Non aveva mai visto nulla di simile, se non
nei film storici.
Boccheggiò, suscitando un’altra risata da
parte del suo compagno di viaggio. – Impressionata?
Non avendo la forza di aprire bocca, si limitò
ad annuire. Poi il lacchè, un uomo alto e smilzo, con una redingote verde
smeraldo e calzoni al ginocchio neri, fece loro strada su per un’altra
scalinata che saliva fino a un pianerottolo, prima di sdoppiarsi in due rampe
che portavano al piano superiore. Continuarono a salire, fino ad addentrarsi in
un lungo corridoio dal quale si aveva accesso alle stanze padronali.
– La contessa madre sarà lieta del vostro
arrivo, signor conte. Non vi aspettavamo.
Giulio sorrise, dirigendosi verso una
porta con un pomello dorato. – Lo so, Lorenzo. Non ho fatto in tempo ad
avvisare.
Sara aveva la gola secca. Si sentiva un
pesce fuor d’acqua in quel luogo. Lo sguardo penetrante del servitore era fisso
su di lei, rendendola nervosa. Sebbene non osasse fare domande, era evidente
che si stava chiedendo chi fosse e cosa diavolo facesse in compagnia del suo
padrone. Era curiosa di sapere come avrebbe giustificato la sua presenza il
nobile brigante.
Poi Giulio bussò e una voce femminile li
invitò a entrare. Si ritrovarono in una stanza che aveva tutta l’aria di un
piccolo salotto. Accanto a un’alta finestra, su una poltrona damascata, era
seduta una signora vestita interamente di nero. La donna si alzò, portandosi
una mano alla bocca. – Giulio, sei tornato! Che gioia rivederti!
Il conte si avvicinò per stringerla in un
abbraccio. – Anch’io sono felice di rivedervi, madre. È passato così tanto
tempo dall’ultima volta che sono stato qui. Ma non siete cambiata affatto!
La donna si staccò da lui e si asciugò una
lacrima che le aveva rigato la guancia rugosa. Solo in quell’istante parve
accorgersi della sua presenza e si irrigidì. I suoi occhi si assottigliarono,
studiandola con diffidenza. Sara sentì il sangue scorrerle più veloce nelle
vene: cosa avrebbe fatto se quella donna non l’avesse voluta in casa? Dove
sarebbe potuta andare? Un senso di sgomento le attanagliò le viscere,
togliendole il respiro. Sollevò uno sguardo incerto su Giulio che le strizzò un
occhio, probabilmente nel tentativo di rassicurarla.
– Madre, vi presento Sara Ferrari. Proviene
da Firenze e attualmente si trova in difficoltà. È mio desiderio ospitarla in
questa casa per un po’.
Le labbra della contessa madre si tesero
in una linea dura. – Ferrari? Non mi sembra di conoscere questo casato. Ho
degli amici a Firenze, ma non ho mai sentito parlare della vostra famiglia.
Sara si morse il labbro. Percepiva lo
sguardo intenso della donna sull’intera sua persona e si accorse di avere le
mani sudate. – Ehm, Firenze è una città grande – rispose, sollevando il mento.
– Dubito che conosciate tutte le famiglie che vi abitano.
La risata di Giulio la fece trasalire.
Possibile che trovasse così divertente tutto ciò che diceva?
– Come avrete notato, madre, la nostra
Sara ha una lingua piuttosto tagliente. Ma è un’amica e desidero che venga
trattata come un ospite di riguardo. Sono stato chiaro?
Le parole del conte vennero accolte con un
sorriso tirato. – Certo, figliolo. Ogni tuo desiderio è un ordine – Poi la
donna tornò a squadrarla dalla testa ai piedi. – Suppongo che desideriate farvi
un bagno caldo e cambiarvi d’abito. Quello che indossate non mi pare consono a
una fanciulla di buona famiglia.
Sara ingoiò la risposta stizzosa che le
era salita alle labbra e si costrinse a sorridere. – Farò volentieri un bagno
caldo, signora. Vi ringrazio per l’ospitalità.
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