Dopo l’uscita di scena di Andrea,
la casa le parve immersa in un insopportabile silenzio. Diana spense la tv e si
appoggiò allo schienale del divano, gli occhi chiusi e il fuoco nelle viscere.
Dio, come lo
voleva!
Non aveva mai
desiderato un uomo con la stessa intensità, al punto da pentirsi di averlo
rifiutato più volte. Se lui l’aveva abbandonata sul più bello, poteva incolpare
solo se stessa e la propria stupidità.
Diana sospirò
e si sfiorò un seno, lo stesso che aveva toccato Andrea solo un attimo prima.
Le parve di sentire lo stesso brivido che le aveva procurato la carezza di
quelle dita, l’eccitazione che montava in lei inarrestabile. Il capezzolo era
duro come un sassolino. Necessitava delle attenzioni di un uomo e lei era sola.
Di nuovo sola.
Una lacrima le
rotolò giù da una guancia. Possibile che Viola avesse ragione? Che lei si fosse
comportata da vigliacca, cercando di rifuggire l’amore e i pericoli insidiosi
che vi si nascondevano dietro?
Vale la pena di rischiare, non trova?
Oddio, era
stata così cieca e stupida!
Aveva lasciato
andare Andrea per paura di affezionarsi troppo a lui e di soffrire. Ma non
stava soffrendo, ora? Certo, una relazione con lui sarebbe stata complicata.
Lei era l’insegnante di sua figlia. Eppure, aveva così bisogno di lui. Sarebbe
impazzita se non fosse riuscita ad averlo.
Ancora una
volta.
Insinuò la
mano all’interno del Babydoll, le dita che frugavano tra le gambe alla ricerca
dei punti più sensibili. Il clitoride era gonfio, la carne in quel punto umida
e bisognosa di essere sfiorata, accarezzata. Inarcò la schiena mentre si
infilava un dito dentro, muovendolo sempre più veloce.
Immaginò che
fosse Andrea a darle piacere. I muscoli interni si tesero e l’estasi arrivò a
ondate, un grido che le sgorgava dalla gola.
Andrea. Oh, Dio. Andrea.
Dopo l’orgasmo
Diana si ritrovò smarrita, i denti che tormentavano il labbro quasi fino a
farlo sanguinare.
Non era stato
sufficiente a placare la voglia di lui.
Con un
sospiro, Diana si rassegnò a un’altra notte insonne.
Jacopo infilò la chiave nella
serratura e aprì la porta di casa. Si augurò di non aver lasciato il solito
casino in giro. Il suo era il tipico appartamento da scapolo: perennemente in
disordine, ma pratico e funzionale.
Sempre tenendo
Viola per mano, schivò un paio di jeans abbandonati sul pavimento e si diresse
verso la camera da letto senza nemmeno accendere le luci.
– Ti chiedo
scusa per il disordine – disse imbarazzato. – Non avevo programmato di portarti
qui.
Lei rise, le
dita strette nelle sue. – Non importa. Non sono qui per visitare il tuo
appartamento, che per altro ho già visto. Sono qui per te. Per fare l’amore.
Cazzo, quanto
era melodiosa la sua risata?
Jacopo fu
tentato di sbatterla contro un muro e prenderla lì, in piedi, coi vestiti
ancora addosso. Ovviamente quell’opzione non era neppure da prendere in
considerazione. Solo un animale si sarebbe avventato in quel modo su una
ragazza ancora vergine.
Controllati, Jacopo!
Ispezionò
velocemente la propria stanza, affinché non ci fossero in giro indumenti
imbarazzanti come un paio di mutande o un calzino sporco e poi accese una
piccola lampada sul comodino. Più soft del lampadario e molto più romantica. O
almeno credeva.
Si schiarì la
voce. – Preferisci restare al buio?
In fondo, era
giusto che fosse lei a decidere.
Viola puntò
quei suoi occhi enormi e bellissimi su di lui. – No, va bene così.
Perfetto. In
realtà non gli sarebbe piaciuto farlo al buio. Voleva poterla guardare. Dio,
moriva dalla voglia di vederla nuda!
Le lasciò
andare la mano e si asciugò le proprie nei jeans. Stava sudando come uno
sbarbatello la sua prima volta, rischiando di fare la figura del coglione. Ma
cosa poteva farci? Viola gli faceva quell’effetto: gli dava alla testa come un
bicchiere di buon vino.
Sforzandosi di
procedere per gradi, Jacopo le accarezzò il labbro inferiore con il pollice;
gli occhi fissi nei suoi. Viola aveva delle labbra stupende: rosse e carnose.
La afferrò per la vita, attirandola a sé e impossessandosi della sua bocca. Era
calda e umida, morbida come seta. Lo stava facendo impazzire.
Con un ansito,
Viola dischiuse le labbra e Jacopo ne approfittò per ficcarle la lingua in
bocca. Voleva assaporarla, divorarla. Fondersi con lei. Si staccò senza fiato,
con un’erezione in piena regola nei pantaloni.
Dio, se
bastava un bacio ad eccitarlo in quel modo, non osava chiedersi cosa sarebbe
successo quando l’avrebbe avuta nuda tra le braccia.
La temperatura
si alzò improvvisamente di qualche grado.
Jacopo si
tolse la giacca, gettandola su una sedia, e la fece seguire dalla maglietta.
Ora andava meglio, si disse senza distogliere lo sguardo da Viola. La vide
studiare i suoi pettorali con pura ammirazione e arrossire. Viola era un libro
aperto e, dannazione, quel lato di lei lo faceva impazzire.
– Girati – le
disse piano. Lei obbedì, consentendogli di tirarle giù la zip dell’abito.
Jacopo trattenne il respiro e infilò due dita sotto una spallina, facendogliela
scivolare lungo il braccio. Viola fu scossa da un brivido, ma lo lasciò fare e
lui ripeté la stessa operazione con l’altra spallina, fino a liberarla
completamente del vestito che ricadde ai suoi piedi. Timidamente, Viola lo
scavalcò. Sotto non indossava il reggiseno, ma solo degli slip di cotone,
semplici ed essenziali, e un paio di autoreggenti nere. Terribilmente erotiche
su di lei.
Stavolta fu
Jacopo a rabbrividire.
La desiderava
così tanto.
Era certo che
sarebbe morto, se non l’avesse avuta. Ciononostante, riuscì a chiederle: – Sei
sicura, Viola? Vuoi andare fino in fondo?
– Sì – la sua
voce era un lieve sussurro, ma la udì perfettamente. La fece voltare di nuovo,
lentamente, in modo da poterla guardare in tutto il suo splendore. Aveva seni
alti e rotondi, non troppo grandi. Perfetti da racchiudere in una mano. Su di
essi i capezzoli si ergevano turgidi; due punte rosee sulla pelle chiarissima,
quasi diafana.
Il sangue
cominciò a pompargli più forte nelle vene.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.