venerdì 25 settembre 2015

SCANDALOSI LEGAMI - VENTIDUESIMA PUNTATA

*Attenzione!* Per gli argomenti trattati, questo racconto è riservato ad un pubblico adulto.


Dopo l’uscita di scena di Andrea, la casa le parve immersa in un insopportabile silenzio. Diana spense la tv e si appoggiò allo schienale del divano, gli occhi chiusi e il fuoco nelle viscere.
Dio, come lo voleva!
Non aveva mai desiderato un uomo con la stessa intensità, al punto da pentirsi di averlo rifiutato più volte. Se lui l’aveva abbandonata sul più bello, poteva incolpare solo se stessa e la propria stupidità.
Diana sospirò e si sfiorò un seno, lo stesso che aveva toccato Andrea solo un attimo prima. Le parve di sentire lo stesso brivido che le aveva procurato la carezza di quelle dita, l’eccitazione che montava in lei inarrestabile. Il capezzolo era duro come un sassolino. Necessitava delle attenzioni di un uomo e lei era sola.
Di nuovo sola.
Una lacrima le rotolò giù da una guancia. Possibile che Viola avesse ragione? Che lei si fosse comportata da vigliacca, cercando di rifuggire l’amore e i pericoli insidiosi che vi si nascondevano dietro?
Vale la pena di rischiare, non trova?
Oddio, era stata così cieca e stupida!
Aveva lasciato andare Andrea per paura di affezionarsi troppo a lui e di soffrire. Ma non stava soffrendo, ora? Certo, una relazione con lui sarebbe stata complicata. Lei era l’insegnante di sua figlia. Eppure, aveva così bisogno di lui. Sarebbe impazzita se non fosse riuscita ad averlo.
Ancora una volta.
Insinuò la mano all’interno del Babydoll, le dita che frugavano tra le gambe alla ricerca dei punti più sensibili. Il clitoride era gonfio, la carne in quel punto umida e bisognosa di essere sfiorata, accarezzata. Inarcò la schiena mentre si infilava un dito dentro, muovendolo sempre più veloce.
Immaginò che fosse Andrea a darle piacere. I muscoli interni si tesero e l’estasi arrivò a ondate, un grido che le sgorgava dalla gola.
Andrea. Oh, Dio. Andrea.
Dopo l’orgasmo Diana si ritrovò smarrita, i denti che tormentavano il labbro quasi fino a farlo sanguinare.
Non era stato sufficiente a placare la voglia di lui.
Con un sospiro, Diana si rassegnò a un’altra notte insonne.



Jacopo infilò la chiave nella serratura e aprì la porta di casa. Si augurò di non aver lasciato il solito casino in giro. Il suo era il tipico appartamento da scapolo: perennemente in disordine, ma pratico e funzionale.
Sempre tenendo Viola per mano, schivò un paio di jeans abbandonati sul pavimento e si diresse verso la camera da letto senza nemmeno accendere le luci.
– Ti chiedo scusa per il disordine – disse imbarazzato. – Non avevo programmato di portarti qui.
Lei rise, le dita strette nelle sue. – Non importa. Non sono qui per visitare il tuo appartamento, che per altro ho già visto. Sono qui per te. Per fare l’amore.
Cazzo, quanto era melodiosa la sua risata?
Jacopo fu tentato di sbatterla contro un muro e prenderla lì, in piedi, coi vestiti ancora addosso. Ovviamente quell’opzione non era neppure da prendere in considerazione. Solo un animale si sarebbe avventato in quel modo su una ragazza ancora vergine.
Controllati, Jacopo!
Ispezionò velocemente la propria stanza, affinché non ci fossero in giro indumenti imbarazzanti come un paio di mutande o un calzino sporco e poi accese una piccola lampada sul comodino. Più soft del lampadario e molto più romantica. O almeno credeva.
Si schiarì la voce. – Preferisci restare al buio?
In fondo, era giusto che fosse lei a decidere.
Viola puntò quei suoi occhi enormi e bellissimi su di lui. – No, va bene così.
Perfetto. In realtà non gli sarebbe piaciuto farlo al buio. Voleva poterla guardare. Dio, moriva dalla voglia di vederla nuda!
Le lasciò andare la mano e si asciugò le proprie nei jeans. Stava sudando come uno sbarbatello la sua prima volta, rischiando di fare la figura del coglione. Ma cosa poteva farci? Viola gli faceva quell’effetto: gli dava alla testa come un bicchiere di buon vino.
Sforzandosi di procedere per gradi, Jacopo le accarezzò il labbro inferiore con il pollice; gli occhi fissi nei suoi. Viola aveva delle labbra stupende: rosse e carnose. La afferrò per la vita, attirandola a sé e impossessandosi della sua bocca. Era calda e umida, morbida come seta. Lo stava facendo impazzire.
Con un ansito, Viola dischiuse le labbra e Jacopo ne approfittò per ficcarle la lingua in bocca. Voleva assaporarla, divorarla. Fondersi con lei. Si staccò senza fiato, con un’erezione in piena regola nei pantaloni.
Dio, se bastava un bacio ad eccitarlo in quel modo, non osava chiedersi cosa sarebbe successo quando l’avrebbe avuta nuda tra le braccia.
La temperatura si alzò improvvisamente di qualche grado.
Jacopo si tolse la giacca, gettandola su una sedia, e la fece seguire dalla maglietta. Ora andava meglio, si disse senza distogliere lo sguardo da Viola. La vide studiare i suoi pettorali con pura ammirazione e arrossire. Viola era un libro aperto e, dannazione, quel lato di lei lo faceva impazzire.
– Girati – le disse piano. Lei obbedì, consentendogli di tirarle giù la zip dell’abito. Jacopo trattenne il respiro e infilò due dita sotto una spallina, facendogliela scivolare lungo il braccio. Viola fu scossa da un brivido, ma lo lasciò fare e lui ripeté la stessa operazione con l’altra spallina, fino a liberarla completamente del vestito che ricadde ai suoi piedi. Timidamente, Viola lo scavalcò. Sotto non indossava il reggiseno, ma solo degli slip di cotone, semplici ed essenziali, e un paio di autoreggenti nere. Terribilmente erotiche su di lei.
Stavolta fu Jacopo a rabbrividire.
La desiderava così tanto.
Era certo che sarebbe morto, se non l’avesse avuta. Ciononostante, riuscì a chiederle: – Sei sicura, Viola? Vuoi andare fino in fondo?
– Sì – la sua voce era un lieve sussurro, ma la udì perfettamente. La fece voltare di nuovo, lentamente, in modo da poterla guardare in tutto il suo splendore. Aveva seni alti e rotondi, non troppo grandi. Perfetti da racchiudere in una mano. Su di essi i capezzoli si ergevano turgidi; due punte rosee sulla pelle chiarissima, quasi diafana.
Il sangue cominciò a pompargli più forte nelle vene.



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