CAPITOLO 13
S
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ara
fu svegliata all’alba da un’agitatissima Gina, che correva per la stanza come
un fulmine, trasportando abiti, corsetti e sottogonne da farle indossare.
Pareva indemoniata, il che la fece ridacchiare sottovoce.
Si sollevò su un gomito, sull’enorme letto
a baldacchino. – Che diavolo ti prende?
Gina sospirò, alla disperata ricerca di
qualcosa. – Dobbiamo sbrigarci. La signora contessa vi aspetta in salone fra
non più di venti minuti!
La prima cosa che notò fu il fatto che la
sua amica fosse tornata a rivolgersi a lei dandole del “voi”. – Non si era
deciso di darci del “tu”? – chiese, aggrottando la fronte e balzando giù dal
letto con un salto. L’elegante e morbido tappeto ai suoi piedi attutì la
discesa, donandole una sensazione di confortante calore.
Gina tirò fuori dall’armadio un cappellino
da passeggio e tornò a fissarla sconcertata. – Oh, ma la situazione è cambiata!
Non posso rivolgermi in tono tanto informale alla futura contessa.
– Neppure se te lo chiedo io?
Lei non si lasciò sviare e proseguì la sua
ricerca, fintanto che non ebbe trovato il paio di stivaletti che evidentemente
desiderava farle indossare. A Sara pareva davvero buffo lasciarsi vestire come
una bambola. Era abituata a scegliere lei stessa cosa indossare e cosa no.
Alzando gli occhi al cielo, si tolse la camicia da notte e la gettò sul letto,
lo sguardo leggermente accigliato. Gina fu subito accanto a lei per aiutarla a
indossare la biancheria intima: corsetto, sottogonne… avrebbe dato qualsiasi
cosa per un paio di slip e un reggiseno della Wonderbra!
Alla fine venne abbigliata con un vestito
a vita alta dalla scollatura generosa e per ovviare all’inconveniente le fu
appuntato un piccolo scialle di seta sulle spalle. L’abito era color rosa
pallido, con polsini di pizzo bianco. Così conciata sembrava davvero una
bambola!
Per non parlare del cappellino in tono con
l’abito, che le fu adagiato sul capo. I capelli invece le furono pettinati in
un rigido chignon, da cui spuntavano alcuni ciuffi debitamente arricciati col
ferro caldo.
Era ridicola.
– Ancora non mi hai spiegato perché la
contessa mi sta aspettando – Si sistemò con un gesto impaziente il cappellino
che le pendeva da un lato e sbuffò. Gina le stava porgendo un ombrellino da
passeggio che la fece rabbrividire.
No,
l’ombrellino no!
– Allora? Vuoi rispondermi?
– Non lo ricordate? Stamattina vi
accompagnerà dalla sarta. Non siete emozionata all’idea di farvi confezionare
un abito da sposa?
Sara si rabbuiò. Se ne era totalmente
dimenticata! E l’idea di andare in giro a braccetto con la futura suocera non
la solleticava affatto, tanto più per scegliere il proprio abito da sposa.
Aveva sempre pensato che, quando fosse giunto il giorno delle sue nozze,
sarebbe stata sua madre ad accompagnarla a fare compere, non certo quell’arpia.
Ma doveva fare buon viso a cattiva sorte, se non altro per compiacere Giulio.
– E va bene – rispose con un sospiro. –
Andiamo incontro al patibolo!
*
* * * * * * * * *
La
bottega della sarta si trovava nel centro della città, a poca distanza da un
enorme palazzo signorile che la contessa le indicò come la dimora dei Galeota.
A Sara sembrò di averlo già visto nella sua epoca, quando aveva girato per le
vie di Taranto con la sua classe. Se non sbagliava, la Baldini aveva affermato
che all’interno ospitava il museo etnografico “Alfredo Majorano”. Faceva uno
strano effetto rendersi conto che in quel momento era abitato, proprio come la
residenza dei conti Nardò.
Con aria rassegnata si lasciò condurre
attraverso le vie non asfaltate, fino a un elegante negozio che dava su una delle
strade principali. Appesi a dei manichini di legno, esposti nella grande
vetrina della sartoria, vi erano un paio di vestiti simili a quello che era
stata costretta a indossare. Si augurò che i modelli degli abiti da sposa
fossero di gran lunga migliori. Se proprio doveva indossarne uno, preferiva che
fosse un capo elegante e raffinato.
Un campanello collegato alla porta suonò
al loro ingresso, facendola sobbalzare. Era decisamente tesa. La contessa le
lanciò uno sguardo di disapprovazione, prima di salutare con un cenno del capo
la commessa che era accorsa per servirle e che si stava prodigando in un
inchino.
– Buongiorno signora contessa, in cosa
possiamo esservi utili?
Lei sorrise indulgente, la mano destra
serrata sul ventaglio che si portava sempre dietro come antidoto alla calura di
inizio estate. Sara avrebbe scommesso che si sarebbe volentieri mangiata la
lingua piuttosto che ammettere che erano lì per scegliere il suo abito da sposa. La osservò in
tralice, trattenendo un sorrisino.
– La fanciulla che mi accompagna ha
urgente bisogno di un corredo per le sue imminenti nozze con mio figlio. E
naturalmente dobbiamo scegliere un abito da sposa.
La commessa si voltò a esaminarla da capo
a piedi, sul volto un’espressione sorpresa. – Oh, congratulazioni, signorina! –
esclamò con un sorriso gioviale. – A quando le nozze?
Sara arrossì. Non le era mai piaciuto
sentirsi al centro dell’attenzione. – Ehm, la prossima settimana, se riusciremo
a ottenere una licenza speciale.
La ragazza sgranò gli occhi e impallidì. –
Oh, cielo! Non c’è tempo a sufficienza per confezionarvi un abito alla moda!
Lei scrollò le spalle. – Non importa. Sarà
una cerimonia semplice e non ho bisogno di qualcosa di elaborato – lanciò
un’occhiata distratta ai manichini esposti nel negozio, mentre sentiva gli
occhi della commessa indugiare su di lei, sempre più curiosi. Qualcosa le
diceva che affrettare le nozze in quel modo non era considerato assai
lusinghiero a quei tempi. Le parve di leggere un moto di disapprovazione negli
sguardi delle altre clienti che avevano ascoltato i loro discorsi. La contessa
invece aveva un sorrisino soddisfatto stampato su quella sua faccia da iena.
Sara raddrizzò la schiena e imitò
un’andatura regale, simile a quella delle gentildonne che aveva avuto modo di
osservare dal giorno del suo arrivo a Taranto. Si avvicinò a uno dei modelli
esposti, un abito color crema di fattura piuttosto semplice, ma a suo parere
elegante e di gran fascino. – Ecco, mi piacerebbe qualcosa di simile – lo
indicò, voltandosi appena in direzione della commessa.
Lei corrugò la fronte. – Non desiderate
qualcosa di più colorato che dia un po’ di luce al vostro incarnato? Abbiamo
diversi modelli sui toni del verde o dell’azzurro.
– Ho sempre sognato di sposarmi in bianco,
l’abito color crema andrà più che bene.
La contessa si schiarì la voce,
indubbiamente contrariata. C’era qualcosa in quel che faceva che andasse a genio
a quella donna? Le lanciò uno sguardo perplesso che lei ricambiò con sdegno. –
Il bianco o il crema non si adatta per niente alla tua carnagione, Sara.
Accetta i consigli di chi ha più esperienza di te.
Ah,
no. Questo è troppo!
I suoi occhi si ridussero a due fessure,
ricolme di indignazione. – Non ho chiesto se mi sta bene. Voglio l’abito crema.
Il volto della futura suocera si tinse di
rosso fino alla radice dei capelli. Sara ebbe l’impressione di vederle gli
occhi schizzare fuori dalle orbite mentre replicava, gelida: – Come osi,
piccola intrigante? Non ho intenzione di permettere che tu faccia sfigurare mio
figlio e la nostra famiglia, il giorno delle nozze. Indosserai un abito degno
dei Nardò.
Quella donna era pazza. Sara aggrottò la
fronte, grattandosi la punta del naso. – Sono io che mi sposo e vorrei
scegliere da sola l’abito dei miei sogni. Su questo punto non transigo e non
credo che Giulio sarebbe contento di sapere che voi vi siete intromessa in
quella che dovrebbe essere una mia
scelta.
La contessa strinse il ventaglio quasi
fino a spezzarlo, probabilmente desiderando che fosse il suo collo. – Ti credi
di essere già la padrona, non è vero? – sibilò, fissandola con odio. – Solo perché
sei riuscita a incantare mio figlio con le tue moine…
– Adesso basta! – Sara era davvero
infastidita. Puntò i piedi per terra, le mani strette sui fianchi in
atteggiamento di sfida. Non le importava delle persone intorno a loro che
stavano sgranando gli occhi allibite, bisbigliando fra loro. – Se non potrò
avere l’abito che desidero, mi sposerò coi vestiti che avevo quando sono
arrivata qui. Non indosserò qualcosa di pacchiano e ridicolo solo per farvi
piacere.
La vide tremare come se cercasse di
contenere la rabbia, ma alla fine cedette. – E sia – concesse con una tale
furia nello sguardo da incendiare un’intera foresta. – Vada per l’abito crema.
Sara sorrise soddisfatta. – Bene.
Il resto della mattinata passò in fretta,
fra prove di abiti, biancheria intima, scarpe e quant’altro. Alla fine risultò
quasi divertente, come quando nel ventunesimo secolo usciva con le amiche a
fare shopping. Si accorse solo in quel momento che non avrebbe potuto condividere
quel momento con nessuna di loro. Non avrebbero neppure saputo del suo
matrimonio o del fatto che si era innamorata e stava provando qualcosa di molto
simile alla felicità. Ricacciò indietro le lacrime e si costrinse a sorridere.
Non voleva pensarci ora e rovinare uno dei momenti più importanti della sua
vita.
*
* * * * * * * * *
Quando
uscirono dal negozio era ormai quasi l’ora di pranzo e lo stomaco di Sara
cominciò a brontolare poco dignitosamente. Attraversò la strada, guardandosi
attorno con attenzione per non finire travolta da una carrozza, e precedette la
futura suocera che stava arrancando dietro di lei, agitando il ventaglio sul
viso accaldato.
Fu in quel momento che lo vide. Un ragazzo
dal viso fin troppo familiare camminava con la schiena ricurva, vestito con una
maglietta nera e un paio di jeans sdruciti. Stava cercando di farsi notare il
meno possibile, ma gli sguardi incuriositi delle persone attorno a lui lo
seguivano come dei radar. Sarebbe stato impossibile non accorgersi di lui.
– Mario! – esclamò Sara a voce alta, il
cuore che le batteva contro le costole. Non riusciva a crederci. Era anche lui
lì? Forse c’era qualcun altro della loro classe perso nel tunnel del tempo? Lui
si voltò all’istante, sul viso un’espressione intimorita e allo stesso tempo
sorpresa. Sbatté le palpebre un secondo, prima di riconoscerla e cambiare
direzione per raggiungerla. Ma in quello stesso istante una mano le arpionò il
braccio come una morsa.
– Sei per caso impazzita? – le alitò in
faccia la contessa. – Vuoi dare spettacolo in mezzo alla strada?
Stava per ribattere che conosceva quella
persona, ma lei non le diede il tempo. La trascinò, incurante delle sue urla di
protesta, fino alla carrozza che li attendeva dall’altro lato della strada. La
sospinse all’interno e Sara si ritrovò a cadere sul sedile imbottito, senza
alcuna possibilità di fuga. Lo sportello della vettura si chiuse dietro di lei
mentre il cocchiere faceva partire i cavalli. Sara mise la testa fuori dal
finestrino, cercando Mario con lo sguardo. Provava qualcosa di molto simile al
panico. Lo vide fissarla allibito e rincorrere la carrozza per un po’, ma i
cavalli erano troppo veloci e dovette desistere.
Lacrime pungenti le offuscarono la vista e
le scacciò con un gesto rabbioso della mano. Maledizione, l’aveva perso! Quello
era l’unico contatto con la sua vecchia vita e non aveva la più pallida idea di
come rintracciarlo. Ricadde sul sedile con una sensazione di gelo nelle ossa,
nonostante la temperatura esterna sfiorasse, a occhio e croce, i trenta gradi.
Doveva fare qualcosa per mettersi in
contatto con lui. Ma cosa?
*
* * * * * * * * *
Giulio
entrò nel suo studio con alcuni libri mastri da esaminare. Aveva trascurato le
sue proprietà e le terre dei Nardò troppo a lungo, ma aveva intenzione di
rimediare. Solo che per farlo, avrebbe dovuto capirci qualcosa del lavoro
svolto dal proprio amministratore.
Sospirò, sollevando lo sguardo, e quasi
rimase impietrito nel vedere Sara raggomitolata sulla sua poltrona, gli occhi
rigati di lacrime. – Cosa è successo? – chiese, posando all’istante i libri che
aveva sottobraccio. Si inginocchiò ai suoi piedi, cauto. Con Sara non sapeva
mai come comportarsi. Poteva irradiare dolcezza, fare le fusa come una gatta
oppure esplodere come un fuoco d’artificio.
Lei tirò su col naso, pulendosi con la
manica del vestito. – Niente. Solo un po’ di malinconia.
Gli occhi di Giulio si addolcirono. – Mia
madre è stata troppo dura con te? Ho sentito dire che avete avuto un diverbio
per la scelta del tuo abito da sposa.
Sara annuì, l’aria un po’ depressa. –
Voleva scegliere al posto mio, ma io non gliel’ho permesso. Immagino che sia
piuttosto in collera.
Lui allungò una mano per sfiorarle i
capelli. Alcuni riccioli ribelli le erano sfuggiti dall’acconciatura, donandole
un’aria disordinata e incredibilmente sensuale. Deglutì, incapace di
distogliere lo sguardo. – Non badare a mia madre. È sempre stata abituata a
dirigere tutti noi con la bacchetta, ma dopo le nozze sarai tu la contessa,
l’unica padrona di questa casa e del mio cuore.
– Questo dovrebbe tranquillizzarmi? – Sara
fece un sorriso timido che gli fece provare una strana sensazione, molto simile
all’affetto.
– Non saprei. Tu cosa ne dici?
Lei scrollò le spalle. – Non ne so nulla
di come si conduca una casa come questa né di come si organizzino ricevimenti o
di come si mandino gli inviti per il tè alle famiglie aristocratiche della
città. Tutto sommato, non credo che tu faccia un buon affare sposandomi.
Giulio si lasciò sfuggire una risatina. –
Ti confesso una cosa: io odio i ricevimenti e i raduni delle signore dell’alta
società. Per tutto il resto c’è Matilde, la nostra governante. Saprà
consigliarti al meglio, vedrai.
– Quindi non sei pentito della tua scelta?
– Sara inarcò un sopracciglio in un modo che gli parve buffo e dolcissimo allo
stesso tempo. Si avvolse un suo boccolo attorno al dito, fingendo di
riflettere.
–
Uhm, vediamo…hai detto che non sai organizzare ricevimenti o scrivere inviti…
immagino che tu non sappia neppure come ci si comporta in società, giusto?
Lei scosse il capo, facendo danzare i suoi
riccioli attorno al viso a forma di cuore. – Assolutamente no.
Giulio si finse sempre più perplesso. – E
che non sai cavalcare già lo so.
– Detesto i cavalli – ammise lei, sincera.
Era bellissima mentre lo fissava con quell’ingenuità disarmante che lui sapeva
trasformarsi in pura passione solo per un suo tocco.
Le afferrò la nuca con la mano,
attirandola più vicino. – Dimmi allora, cosa sai fare per essere una sposa
degna di questo nome?
Le loro labbra erano così vicine che
Giulio provò un tale desiderio da rendergli difficile anche solo respirare.
Infine Sara lo baciò. Un bacio lieve, appena uno sfioramento di labbra che
tuttavia si intensificò, incendiandogli i sensi in modo devastante.
Dio mio, se sapeva baciare!
La sua lingua si insinuò all’interno della
bocca di lui e il suo sapore dolce gli diede alla testa.
– So fare questo – mormorò, le guance
leggermente arrossate. – So che non è molto, ma…
Lui si schiarì la voce. Non era sicuro di
riuscire a proferire parola, prima doveva ricordarsi di respirare. – Cielo,
Sara… mi stai uccidendo, lo sai?
– Era solo un bacio – ridacchiò,
scostandosi un ciuffo dalla fronte.
– Solo un bacio? – le fece eco lui,
afferrandole la mano candida e posandosela sull’inguine. – Guarda cosa mi ha
fatto il tuo bacio.
La vide diventare di un rosso scarlatto
davvero delizioso. – Wow! Il tuo amico qui è già sull’attenti.
Giulio la fissò traboccante di passione. –
Non credo di riuscire a resistere per un’intera settimana.
Lei assunse un’aria pensosa e allo stesso
tempo birichina. – Sei sicuro che dobbiamo restare in astinenza completa fino
alle nozze? Non possiamo concederci neanche un po’ di petting? – Si morse il labbro in maniera provocante, suscitandogli
un brivido lungo la schiena.
Giulio ansimò. – Cos’è che non possiamo
concederci? Temo di non capire…
– Ehm, petting…
come dite voi? Preliminari? Le coccole che precedono l’atto sessuale?
Ebbe la sensazione che l’aria gli
fuoriuscisse dai polmoni. Dio mio, aveva capito male o gli stava proponendo di…
– Sei una strega tentatrice, lo sai? No, niente preliminari. Ai fidanzati non è
concesso nulla di più di qualche bacio rubato.
Sara sbuffò con aria un po’ comica. – Che
palle! – disse, facendogli corrugare la fronte. Ecco che se ne usciva di nuovo
con quelle sue frasi bizzarre. Tuttavia, era decisamente adorabile.
– Dunque ti è passata la malinconia? – le
chiese, sforzandosi di cambiare argomento. Si stavano addentrando in un terreno
pericoloso e il suo uccello era già fin troppo teso e dolorante.
Lei sorrise e si alzò. – Sì, va molto
meglio ora. Ti lascio lavorare.
E chi sarebbe riuscito a lavorare ora? Ma
non disse nulla. Si limitò a fissarla mentre si allontanava, dondolando quel
suo irresistibile fondoschiena. A quel punto quel che gli serviva era un bel
bagno nell’acqua gelata. Forse due.
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