CAPITOLO 11
A
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ncora
con le guance in fiamme, Sara si rifugiò in un’ala del palazzo in cui non era
ancora stata. Attraversò un lungo corridoio sulle cui pareti facevano bella
mostra di sé i ritratti degli antenati dei conti di Nardò: immense tele a olio
che raffiguravano cavalieri in sella ai loro destrieri o scene di caccia. Si
soffermò a studiarle una per una, sforzandosi di trovare delle somiglianze fra
quegli aristocratici dalle espressioni arcigne e l’attuale conte. Non ne trovò.
Giulio era unico: l’uomo più affascinante che avesse mai visto.
Sospirò, appoggiandosi alla fredda pietra
della parete, gli occhi serrati per non permettersi di piangere. Era confusa e
irritata con se stessa per la piega che aveva preso la situazione con Giulio.
C’era un’unica cosa su cui doveva concentrarsi e non era certo amoreggiare col
padrone di casa; un uomo appartenente a un’altra epoca e con una mentalità così
diversa dalla sua che sarebbe stato impossibile trovare delle affinità fra
loro, attrazione fisica a parte.
Si lasciò cadere sul pavimento, piegando
le ginocchia che circondò con le braccia, nascondendovi il viso. Avrebbe voluto
scoprire che tutto quello era solo un sogno; svegliarsi e ritrovarsi nella sua
cameretta, a Firenze. Per un attimo le parve di sentire le voci dei suoi
genitori che discutevano scherzosamente in cucina e il suono della televisione
che lasciavano sempre accesa, anche quando nessuno la guardava. Sua madre
diceva che le teneva compagnia e, anche se era affaccendata dietro alla cena da
preparare o la tavola da apparecchiare, le piaceva ascoltare i suoi programmi
preferiti. Impazziva per Cuochi e fiamme
e Master Chef.
Sara si chiese se i suoi la stessero
ancora cercando o se si fossero semplicemente rassegnati al fatto di averla
persa per sempre. Si accorse di avere un groppo in gola che le impediva di
respirare e si lasciò sfuggire un singhiozzo disperato. Solo in quel momento
capì di non essere più sola. Una mano calò su di lei; poté sentirne la lieve
pressione sulla spalla.
Si voltò. – Cosa ci fai tu qui? – Gli
occhi di Giulio la fissarono emozionati. Forse era semplice compassione. Non
voleva che provasse pena per lei, desiderava solo essere lasciata in pace.
Lui si schiarì la voce. – Una delle
cameriere mi ha detto di averti vista salire quassù e che sembravi sconvolta. È
per colpa mia?
Sara si limitò a scuotere la testa e
distolse lo sguardo. Come spiegargli il peso che aveva sul cuore? Quanta nostalgia
provasse per i genitori, la sua casa, i suoi amici… non poteva confidarsi con
nessuno, perché nessuno avrebbe capito.
– Sara, cosa devo fare con te? – chiese
Giulio, sedendosi al suo fianco sulla nuda pietra.
Lei trasalì. – In che senso?
– Perché non vuoi permettermi di prendermi
cura di te?
– Io non ho bisogno che qualcuno si prenda
cura di me – lo disse quasi con rabbia, le labbra tese in una linea dura,
contratte.
Giulio le rivolse uno sguardo di
disapprovazione. – Una donna ha sempre bisogno del sostegno di un uomo. Che sia
uno di famiglia, un amante, un marito o un tutore. Cosa vuoi che faccia,
dunque? Che ti sposi?
Sara sbatté le ciglia, incredula. – Pensi
che io stia facendo la preziosa per farmi sposare?
– Io non so assolutamente cosa pensare.
Vorrei che me lo dicessi tu.
Giulio se ne stava seduto con le lunghe
gambe distese e l’aria stanca. Per un attimo le fece tenerezza. – Io non ho mai
preteso che tu mi chiedessi di sposarti – sussurrò, scostandosi una ciocca di
capelli che le era finita sul viso. – Però mi sono sentita ferita dalla tua
proposta. Sapere che andavo bene per scaldarti il letto, ma non per una storia
seria… beh, è umiliante.
Lui sollevò un ginocchio e vi appoggiò il
braccio, in una posa rilassata. – Oh, ma tu sei
una cosa seria per me. Molto seria. Sara, io sto perdendo completamente la
ragione a causa tua. Sai cosa significa?
Lei deglutì. Gli occhi di Giulio erano
incatenati ai suoi e sembravano così penetranti da suscitarle una sensazione
strana alla bocca dello stomaco. Lo vide avvicinarsi di più, senza distogliere
lo sguardo. Quando le labbra di lui calarono sulle sue non ebbe la forza di
negargli quel bacio. In realtà, tutto il suo essere vibrava per il desiderio di
quel contatto. Dapprima le sfiorò le labbra con dolcezza, afferrandola dietro
alla nuca e attirandola contro il suo corpo solido e muscoloso. Il cuore le
rimbombò nel petto mentre si lasciava andare alla sensazione incredibile di
quella bocca che si muoveva lenta sulla sua. Lui la stuzzicò con la lingua,
succhiandole il labbro inferiore fino a strapparle un gemito. Infine approfondì
il bacio, invadendole la bocca come un affamato. Le loro lingue si cercarono
avide e si trovarono, per poi tornare a rincorrersi. Era come una danza
sensuale che le fece sentire le farfalle nello stomaco.
–
Sposami, Sara – disse Giulio all’improvviso, staccandosi da lei ansante. Il suo
petto si muoveva a intervalli irregolari, come se avesse corso. Sara credette
di non aver capito bene.
– Cosa hai detto? – chiese, sgranando gli
occhi. Si accorse che stava tremando solo nel momento in cui lui le prese le
mani, stringendole con forza.
– Ti ho chiesto di sposarmi – ribadì,
serio. – Ho un disperato bisogno di te e non mi importa cosa penserà la gente o
mia madre. Ti voglio al mio fianco, come amica, come amante e come moglie.
Voglio proteggerti e prendermi cura di te, per il resto dei miei giorni.
Per un istante che le parve lungo un’eternità
Sara rimase attonita. Poi scosse la testa. – Non posso – Le parole le uscirono
di bocca a fatica. Una parte di lei avrebbe voluto accettare quella proposta,
affidare a Giulio la propria vita e donargli il proprio cuore.
– Non puoi o non vuoi?
Sara fissò le mani di Giulio che
continuavano a stringere le sue. – Non posso – ribadì. – Ho appena diciotto
anni e il matrimonio è una cosa seria. Non posso prendere una decisione del
genere alla leggera.
I muscoli di lui si tesero e i suoi occhi
la trafissero come una lama. – La tua età non mi pare un impedimento. Sei
grande abbastanza per avere un marito e mettere al mondo dei figli.
– Figli? – Sara non riuscì a impedirsi di
sgranare gli occhi terrorizzata, ma lui le posò una mano sulla bocca per farla
tacere.
– Shh… lasciami finire! Dicevo che l’età
non è un impedimento, ma sono disposto a concederti tutto il tempo che riterrai
necessario per rifletterci. È vero, il matrimonio è un passo importante, ma
pensa a tutti i vantaggi che ne ricaverai: non sarai più una serva in questa
casa, diventerai la padrona, unica e indiscussa. Mia madre non avrà più alcuna
autorità per scacciarti. Inoltre sarai la contessa di Nardò e apparterrai a uno
dei casati più nobili di Taranto.
Sara ascoltò incredula. Le sembrava tutto
talmente assurdo: lei contessa di Nardò! Si impose di respirare regolarmente. –
Tu non capisci…
– Cosa non capisco? Spiegami.
Lei scosse il capo. Era frustrata e
affranta. – Ci sono cose di me che non sai… – si bloccò, incapace di
continuare. Cosa intendeva dirgli? Che veniva dal futuro? L’avrebbe fatta
rinchiudere immediatamente in un manicomio e aveva il sospetto che quei posti,
in quell’epoca, non fossero affatto accoglienti.
Giulio inarcò un sopracciglio. – Quali
cose? – Lo vide trattenere il fiato. – Hai avuto altri uomini?
Sara alzò gli occhi al cielo. – Non era
questo che intendevo dire! – Ma Giulio non la lasciò proseguire. L’attirò
nuovamente a sé, circondandola con un braccio mentre con l’altro le sollevava
il mento per costringerla a guardarlo.
– Non mi interessa conoscere i tuoi
segreti – bisbigliò, accarezzandole il labbro inferiore con il pollice. – Me ne
parlerai quando ti sentirai pronta. E non mi importa neppure se hai avuto altri
uomini. Diamine, ti desidero così tanto che sono disposto a tutto pur di
averti.
Le labbra di Giulio si posarono di nuovo
sulle sue, incendiandole i sensi. Ebbe la sensazione di avere fuoco liquido
nelle vene, al posto del sangue. Poi quelle stesse labbra scesero sul suo
collo, lasciando una scia di baci umidi e roventi al tempo stesso. La testa
cominciò a girarle come su una giostra. – Giulio, questo non è leale!
Ovviamente lui non si fermò. – Ti ho già
detto che sono disposto a tutto, no?
La sua mano si fece strada attraverso la
scollatura dell’abito, arrivando a sfiorarle un seno. Sara trattenne il fiato
mentre col pollice disegnava dei piccoli cerchi attorno al capezzolo. Chiuse
gli occhi, mentre dalla gola le usciva un suono strozzato.
– Sposami, Sara – le sussurrò lui dolcemente,
continuando ad accarezzarla. – Farò di te una donna felice e appagata. Ti darò
tutto me stesso, basta che tu mi dica di sì.
– Sì – le parole le sfuggirono senza
riflettere. In quel momento non era propriamente in sé, non avrebbe saputo dire
neppure il proprio nome. Ma una cosa la sapeva: voleva essere sua. Completamente.
E non le importavano le differenze fra loro e quanto distanti apparissero i
loro mondi. Desiderava Giulio Guadalupi, conte di Nardò, con tutta se stessa. E
lo avrebbe avuto.
*
* * * * * * * * *
–
Vieni – fece Giulio, afferrando Sara per un braccio e trascinandosela dietro. –
Voglio dare immediatamente la notizia a mia madre.
Si sentiva euforico, come mai lo era stato
nella vita. Il solo pensiero che presto Sara sarebbe stata sua moglie lo
rendeva felice. E pensare che fino a pochi istanti prima la sola parola
“matrimonio” gli dava la stessa sensazione di un cappio al collo.
Sara lo strattonò, facendolo voltare verso
di lei. – Mi vuoi morta? – gli rispose, pallida in volto. – Tua madre mi
ucciderà.
Giulio trattenne un sorrisino. – Non oserà
toccarti con un dito – la rassicurò. – È una mia decisione e lei non ha il
diritto di contestarla.
– Ne sei proprio sicuro? – Sara sembrava
scettica, ma lui non aveva alcun dubbio. Diamine, era l’ottavo conte di Nardò e
di certo non prendeva ordini da sua madre.
Giunti al piano degli alloggi padronali,
svoltò in direzione del salottino privato della contessa. – Dobbiamo decidere
una data – continuò, senza riuscire a smettere di sorridere. – Chiederò una
licenza speciale, non voglio un fidanzamento lungo.
Sara fece un sospiro tremulo, ma lui non
se ne curò. Era naturale che fosse timorosa, ma l’avrebbe convinta dell’importanza
di accelerare le pratiche. Per tutti i diavoli dell’inferno, la voleva nel suo
letto al più presto! Non avrebbe atteso più di una settimana, su questo sarebbe
stato irremovibile.
Tornò a fissarla, stringendole la mano con
l’intenzione di rassicurarla. Sara aveva le dita gelide, come se si fosse
tramutata all’istante in un pezzo di ghiaccio. Beh, ci avrebbe pensato lui a scaldarla!
Sorrise all’idea. – Coraggio – scherzò. – Non stiamo andando incontro al
patibolo.
– A proposito di patibolo – rispose lei,
fermandosi di colpo. – Che ne sarà della tua attività di ladro? Non ho
intenzione di sposare un brigante, che sia chiaro!
Giulio aggrottò la fronte. Non ci aveva
pensato, ma Sara non aveva tutti i torti. Non aveva intenzione di esporre sua
moglie a dei rischi. D’ora in poi gli conveniva rigare dritto. – Parlerò con
Ciro e lascerò la banda – disse, senza esitazione.
Un rumore di passi destò la sua curiosità.
Si voltò, augurandosi che nessuno avesse ascoltato i loro discorsi e si ritrovò
a fissare gli occhi sgranati della governante. Solo in quell’istante si rese
conto che alla servitù dovesse sembrare piuttosto strano vederlo camminare,
mano nella mano con Sara. Tuttavia, continuò a stringere quella mano nella sua,
inarcando un sopracciglio con aria di sfida. – Stai cercando qualcosa, Matilde?
– chiese alla donna, nel tono più autoritario possibile.
Lei
si schiarì la voce. – Sì, signor conte. In realtà stavo cercando Sara – puntò
uno sguardo glaciale sulla sua fidanzata, prima di tornare a guardare lui. – Vi
ha infastidito in qualche modo? Avrebbe dovuto dare una mano a Gina che sta
riordinando le stanze degli ospiti, ma è scomparsa. Tutto il personale di
servizio la sta cercando.
Giulio annuì. – Beh, l’hai trovata ora. Sara è con me e temo che dovrai
trovare un’altra persona per le pulizie. Anzi, esigo che tutti i suoi effetti
personali siano riportati all’istante nella stanza che le avevo assegnato al
suo arrivo in questa casa. Sono stato chiaro?
Matilde trasalì, come se fosse stata
colpita. – Ma la signora contessa ha detto…
– Non mi interessa cosa ha detto mia
madre. Fino a prova contraria sono io
il padrone di casa.
La governante arrossì e fece un rigido
inchino, lanciando un’occhiata di sbieco a Sara che aveva assistito al loro
scambio di battute in silenzio. – Come desiderate, signor conte.
Giulio attese che Matilde si congedasse e
tornò a trascinare Sara per il corridoio, fino a fermarsi davanti a una porta.
Bussò e attese la risposta di sua madre che non tardò ad arrivare. Era certo di
trovarla lì. La contessa era solita trascorrere le sue mattinate in quel
salottino, a ricamare. Lanciando un ultimo sguardo di incoraggiamento a Sara,
entrò, sempre tenendola per mano.
Come aveva immaginato sua madre sedeva su
una poltroncina, china su un ricamo. Sollevò la testa appena sentì la porta aprirsi
e richiudersi alle loro spalle. Giulio la vide aggrottare la fronte e
irrigidirsi, non appena posò lo sguardo su Sara.
– A cosa devo questa visita, figliolo? È
successo qualcosa?
Lui cercò lo sguardo di Sara, lo incatenò
e lo trattenne. – Io e Sara abbiamo un importante annuncio da fare – disse,
senza interrompere il contatto visivo fra loro. Sperava in quel modo di
riuscire a trasmetterle un po’ di coraggio.
La contessa serrò la presa sul ricamo che
ancora teneva fra le mani. – Che tipo di annuncio? – chiese, parlando con la
stessa calma che avrebbe usato per disquisire del tempo. Tuttavia, Giulio non
si lasciò ingannare. Intuiva la sua tensione dagli occhi, leggermente dilatati,
e dalla linea della mascella, tesa come una corda di violino.
Si schiarì la voce. – Abbiamo deciso di
sposarci, madre. Vi sarei grato se voleste occuparvi voi del ricevimento di
nozze e tutti i preparativi. Conto di ottenere una licenza speciale per
affrettare le pratiche e, se tutto va bene, le nozze verranno celebrate la
settimana prossima.
La contessa si alzò di scatto, lasciando
cadere il proprio ricamo sul pavimento. Gli occhi erano due gelidi pezzi di
ghiaccio. – Sei per caso impazzito?
Giulio contò fino a tre, prima di lanciarle
un’occhiata incendiaria. – Niente affatto, madre. Anzi, mi sento l’uomo più
felice del mondo – pronunciò quelle parole in tono mellifluo, cercando allo
stesso tempo di renderle dure e concise. Non aveva intenzione di lasciare
spazio a recriminazioni; sua madre doveva rendersi conto chi comandava in
quella casa.
La mano di Sara si agitò sotto la sua. Era
sudata e dalle dita serrate poteva intuirne la tensione. – Mi rendo conto che
non abbiamo molto tempo a disposizione – riprese a parlare lui, rafforzando la
presa. – Ma sia io che Sara siamo concordi nel ritenere che una cerimonia semplice
possa fare al caso nostro più di un matrimonio in pompa magna.
La cercò con lo sguardo e lei annuì. –
Certo – aggiunse, con un sorriso timido. – Non desidero un grande ricevimento
di nozze. Preferisco qualcosa di intimo.
Sua madre si voltò verso di lei, le unghie
conficcate nei palmi. – Non ho dubbi a riguardo. Non vedete l’ora di assumere
il titolo di contessa, non è così, Sara?
Un muscolo della mascella gli si contrasse
all’improvviso. – Madre…
Lei dovette intuire la velata minaccia
racchiusa in quella semplice parola e abbassò lo sguardo. – Come desideri,
figliolo. Mi metterò subito al lavoro e domani accompagnerò Sara dalla sarta.
Immagino che avrà bisogno di un corredo e dell’abito di nozze. Con questi tempi
ristretti dubito che riuscirà a farsi
confezionare un vestito su misura.
Giulio guardò Sara, felice di notare che
quel particolare non la preoccupava minimamente. – Qualsiasi abito andrà bene –
rispose lei, con un’alzata di spalle.
Si accorse di aver trattenuto il fiato fino
a quel momento e lo rilasciò lentamente, molto più sollevato. – Bene. Voglio
che non badiate a spese.
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