CAPITOLO 8
L
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a
settimana che seguì fu piuttosto faticosa per Sara. Le angherie della contessa
nei suoi confronti si fecero più pressanti: la fece trasferire nell’ala della
servitù, in una stanzetta dotata unicamente di un letto, un armadio, un piccolo
scrittoio e una sedia. Inoltre le venne chiesto di indossare una divisa da
cameriera e fu costretta a lavorare duramente, come se davvero facesse parte
del personale di servizio.
Non era tanto il lavoro a infastidirla.
Quello l’aiutava a distrarsi e a non pensare al fatto di non avere la minima
idea di come tornare a casa. Ciò che la disturbava era l’atteggiamento di
quella donna austera e autoritaria. Era più che evidente che non la sopportava
e che avrebbe fatto di tutto per scacciarla di casa, una volta che Giulio fosse
tornato.
Era già un miracolo che non l’avesse già
fatto.
Sospirando, Sara terminò l’ultima
incombenza della giornata. La signora Matilde le aveva ordinato di fare il
bucato, impresa per niente facile in un tempo in cui le lavatrici non
esistevano. Quando ebbe finito era sudata marcia. Si asciugò una goccia di
sudore sulla fronte, pensando che tutto quel lavoro fosse peggio di un intero
pomeriggio passato in palestra. Se non altro, avrebbe potuto vantare un fisico
invidiabile!
Con un diavolo per capello, osservò il
sole ancora alto nel cielo. Le giornate si erano fatte più lunghe e calde.
L’ideale per una fuga in spiaggia. Ne aveva scoperta una poco frequentata, non
lontano dalla tenuta dei conti di Nardò, appena fuori dalle mura della città.
Si trattava di un’immensa distesa di sabbia soffice e dorata, dal fascino
selvaggio. Il mare, di un intenso color turchese, aveva un’acqua cristallina e
trasparente da togliere il fiato. Al solo pensiero, le veniva voglia di
tuffarsi e nuotare fino a scacciare le preoccupazioni che le ottenebravano la
mente.
Dopotutto, era libera di fare quel che
voleva nel poco tempo libero che le rimaneva.
Fischiettando una vecchia canzone dei
Beatles, si incamminò verso il mare. Non era la prima volta che ci andava, da
quando Giulio era partito. Dapprima aveva girato un po’ per le strade chiassose
di Taranto, speranzosa di scoprire che era stato tutto un incubo e che in
realtà esisteva ancora l’albergo dove aveva pernottato con la sua classe. Aveva
immaginato di chiedere in prestito un telefono per chiamare la propria
famiglia: avrebbe domandato loro di passare subito a prenderla.
Purtroppo niente di tutto ciò si era
verificato. La città le era risultata estranea come al suo arrivo e non vi era
proprio traccia del mondo che conosceva. Era una tipica cittadina ottocentesca.
Accelerò il passo, fino a mettersi a
correre. Il vento sul viso la fece sentire meglio e quando finalmente raggiunse
la spiaggia le era tornato il buonumore. Prima o poi avrebbe trovato una
soluzione. Così come era arrivata in quel posto doveva esistere un modo per
andarsene, giusto?
Si tolse gli stivali per camminare a piedi
nudi sulla sabbia. Era rilassante. Poi cominciò a spogliarsi. Per fortuna la
divisa da domestica non aveva tutti quei fastidiosi bottoncini, ma era molto
più pratica da togliere. Sotto indossava un paio di mutandoni e il bustino che
le avevano dato il giorno del suo arrivo a Taranto, solo con i lacci allentati,
in modo da permetterle di respirare senza problemi. Aveva messo da parte i
propri indumenti per non rovinarli. Le sarebbero serviti, quando sarebbe
tornata nel ventunesimo secolo.
Decise di tenere indosso la biancheria
intima e si pettinò i capelli in una lunga treccia, in modo che i riccioli
ribelli non le finissero in faccia mentre nuotava. Infine si avviò verso la
riva, lo sguardo rivolto alle onde azzurre che si infrangevano sulla sabbia. Un
vero spettacolo.
Quando si tuffò rabbrividì al contatto con
l’acqua, ma poi si rilassò. Fece qualche bracciata, col sole caldo a
riscaldarle la faccia. Dopo la nuotata avrebbe potuto stendersi e abbronzarsi
un po’. Detestava il pallore che andava tanto di moda fra le signore
nell’Ottocento.
Fu quando uscì dall’acqua che lo vide. Un
cavaliere solitario che si stava avvicinando alla spiaggia. Il cuore le fece un
balzo nel petto quando si rese conto che le era anche fin troppo familiare.
*
* * * * * * * * *
Giulio
condusse Nerone al trotto, nei pressi della spiaggia di Chiatona. Aveva deciso
di concedersi qualche minuto per riflettere in solitudine, prima di fare
ritorno a casa. Moriva dalla voglia di rivedere Sara e questo fatto lo
sconcertava. Era convinto che la distanza avrebbe attutito il desiderio che
aveva di lei, invece lo aveva alimentato al punto che non vedeva l’ora di farla
sua. Il giorno seguente si sarebbe messo subito alla ricerca di un appartamento
dove sistemarla. Restava solo da convincerla ad accettare la sua proposta, cosa
per niente facile visto il caratterino che aveva dimostrato finora.
Era
immerso nei suoi pensieri quando all’improvviso vide qualcuno nell’acqua.
Sembrava una donna, ma da quella distanza non ne era del tutto sicuro. Scese da
cavallo, avvicinandosi alla riva; lo sguardo rivolto verso le onde che si
infrangevano sulla sabbia e sulla figura indistinta che nuotava. A un tratto la
vide emergere dall’acqua, il corpo coperto unicamente dalla biancheria intima
che le aderiva come una seconda pelle. La riconobbe all’istante. La ragazza che
aveva popolato i suoi sogni durante l’intera settimana stava correndo verso di
lui, il viso accaldato e il corpo di una sirena.
Il suo uccello ebbe immediatamente una
reazione poco signorile e il fiato gli si fermò in gola.
– Sei tornato! – esclamò lei, gettandosi
fra le sue braccia. Sorrideva radiosa ed era una vera bellezza mentre sollevava
il viso per incontrare il suo sguardo.
Per Giulio fu troppo. La strinse con una
tale forza che per un istante temette di farle male. Poi affondò le dita nei
suoi capelli bagnati, attirandola a sé. Il bacio che seguì non fu affatto
dolce, ma un misto di lussuria e brama di possesso. Quella donna era sua. Sua.
La sospinse sul suolo sabbioso, coprendola
col suo corpo eccitato senza smettere di baciarla. Le dischiuse le labbra con
forza, affondando la lingua dentro quella bocca perfetta, saccheggiandola. Ebbe
un fremito quando si accorse che lei stava ricambiando il bacio. Lo aveva
afferrato per la camicia, strattonando come se desiderasse strappargliela di
dosso.
Dannazione, di questo passo sarebbe
impazzito. Il cuore gli tamburellava nel petto come se avesse corso e il pene
gonfio gli premeva contro i calzoni, procurandogli un fastidioso disagio.
Annaspò, staccandosi da lei solo il tempo per riprendere fiato, tornando a
baciarla subito dopo.
Cristo, il suo sapore era così dolce!
Dal tessuto bagnato della sua biancheria
poteva distinguere i suoi seni alti e sodi, coi capezzoli eretti che premevano
contro la stoffa. Senza riuscire a resistere, insinuò la mano all’interno del
suo corsetto per accarezzarli e il gemito di piacere con cui lei gli rispose lo
eccitò a tal punto da indurlo a pensare che sarebbe morto, se non l’avesse
avuta subito nuda sotto di sé.
Lasciò andare le sue labbra per guardarla
negli occhi con passione. Con sua grande sorpresa, si accorse che anche lei lo
fissava allo stesso modo: bramosa ed eccitata.
Sì,
sì si.
Il suo uccello gridava dalla voglia di
affondare dentro di lei. Subito.
Tirò la stoffa del corsetto, lacerandola,
tanta era la sua impazienza. La sola visione dei suoi seni nudi lo lasciò senza
fiato. – Dio, sei così bella!
Lei deglutì, poi avvicinò di nuovo le
labbra alle sue. Stavolta fu Sara a baciarlo con foga, come se da quel bacio
dipendesse tutta la sua vita. Un altro bacio del genere e sarebbe venuto nei
pantaloni senza nemmeno sfiorarla. Infine la mano di Sara si posò sulla patta
dei suoi calzoni, sbottonandola e insinuandosi all’interno.
Dio del cielo, questo era veramente troppo.
Avrebbe dovuto dimostrarsi pudica.
Arrossire o gridare d’indignazione perché lui si era spinto troppo oltre.
Invece gli stava accarezzando il pene come avrebbe fatto una cortigiana
esperta. Era dannatamente brava.
Si accorse di essere giunto al limite. –
Aspetta – esclamò, la voce ridotta a un sussurro roco. Era sul punto di venire
e non l’aveva ancora penetrata. – Sara, fermati!
Ma lei non lo ascoltò. Lo condusse fino a
un orgasmo così intenso da lasciarlo quasi attonito. Il suo seme si sparse in
modo imbarazzante sulla mano di Sara e sui suoi calzoni. Solo allora lei lo
guardò, il viso leggermente arrossato.
– Dove hai imparato a farlo? – chiese lui,
ansimando. Non era preparato a quello che era appena accaduto e non sapeva come
gestire la cosa. Non gli venne neppure in mente che lei non aveva avuto la sua
parte di piacere.
Sara si morse il labbro talmente forte da
farlo sanguinare. Sembrava che solo in quel momento si fosse resa conto di
trovarsi stesa sulla sabbia, con il corsetto strappato e la mano ancora stretta
sul suo uccello.
– Dio mio! – esclamò inorridita. – Non
avremmo dovuto… è sbagliato… terribilmente sbagliato.
Si sollevò su un gomito, cercando di
rialzarsi. Quando fu in piedi percorse la spiaggia con lo sguardo, come per
controllare che non ci fosse nessuno nei paraggi. Giulio la sentì imprecare,
gli occhi sbarrati e impauriti.
– Sara – la chiamò, in un tono volutamente
più dolce. Diamine, l’aveva aggredita. Era naturale che si sentisse confusa e
spaventata. Si era comportato da bastardo egoista. Si alzò a sua volta e cercò
di stringerla a sé, ma lei si allontanò da lui come se fosse il diavolo in
persona.
– No! – fece in un sussurro. – Non
toccarmi.
Poi fuggì come un animale braccato. Giulio
la guardò correre via con una strana sensazione alla bocca dello stomaco. Forse
rimorso. Chiuse gli occhi, cercando di tornare a respirare regolarmente. Lui e
Sara dovevano parlare. E ormai era chiaro che lei avrebbe dovuto accettare la
sua proposta. Non aveva alternative.
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