Viola entrò in casa in punta di
piedi. Si era tolta le scarpe per fare meno rumore, ciononostante la luce si accese all’improvviso e suo padre le
si avvicinò, lo sguardo torvo e poco rassicurante. Si appoggiò con la spalla a
una colonnina di marmo, le braccia incrociate sul petto. – Dove diavolo sei
stata? E perché cazzo non rispondi al cellulare? Ti avrò lasciato una decina di
messaggi!
Lei si morse
il labbro. – Sei già tornato? Pensavo che saresti stato fuori tutta la notte.
– Non hai
risposto alle mie domande, signorina.
Viola sbuffò e
roteò gli occhi. – Sono stata a una festa organizzata da alcuni compagni di
scuola. C’era musica ad alto volume e non ho sentito suonare il telefono –
Evitò di dire che l’aveva silenziato per poter fare l’amore con Jacopo senza
interruzioni.
– Per quale
motivo non ne sapevo nulla? – Suo padre inarcò un sopracciglio. Era un gesto
che faceva sempre quando era irritato, il che non prometteva nulla di buono. Si
stava mettendo male.
Calmati, Viola. Qualsiasi cosa lui dica non
guasterà la tua felicità.
Si schiarì la
voce, lasciando cadere la borsetta su una poltroncina. – Non ti ho detto nulla
perché tu mi avresti imposto di tornare a casa prima di mezzanotte, come
Cenerentola.
Lui inarcò
anche l’altro sopracciglio. Viola si corresse: si stava mettendo molto male. – Ottimo. Adesso mi nascondi
le cose? Non mi piace affatto come ti stai comportando, Viola. Adesso fila a
letto, ma ne riparleremo. Puoi giurarci.
Lei avrebbe
voluto chiedergli che fine avesse fatto il suo appuntamento di quella sera. Non
era mai successo che rientrasse così presto, quando si vedeva con una delle sue
amichette. La tipa in questione gli aveva dato buca? Ma tutti questi
interrogativi rimasero senza risposta. Viola si limitò a obbedire e si chiuse
in fretta in camera sua.
Quella notte
avrebbe sognato Jacopo, le sue mani che l’accarezzavano ovunque e i suoi baci,
carezze vellutate sulla pelle.
Era proprio
vero: niente avrebbe guastato la sua felicità. Neppure i rimproveri di suo
padre o le sue punizioni.
Si sfilò
l’abito da sera in silenzio e lo ripose ordinatamente nell’armadio. Poi si mise
davanti allo specchio, cercando di studiare i cambiamenti del proprio corpo.
Si notava che
era diventata donna?
I seni erano
un po’ più gonfi e doloranti, e fra le gambe si sentiva ancora indolenzita.
Viola si sfiorò appena, trattenendo il respiro. Quanto avrebbe voluto che fosse
Jacopo a toccarla lì.
Un rossore
improvviso le imporporò le guance.
Lui aveva
detto che lo avrebbero rifatto. Di nuovo.
Non vedeva
l’ora!
Indossò una
vecchia maglietta che usava come pigiama e s’infilò nel letto, sotto le
coperte. L’indomani avrebbe raccontato tutto a Daniela. L’emozione che provava
dentro non poteva tenerla per sé o sarebbe traboccata fino a farla scoppiare.
Sorrise
abbracciando il cuscino. Poi spense la luce e si lasciò sopraffare dalla
stanchezza.
Andrea non
riusciva a dormire. Era incazzato con Viola, con Diana e con se stesso. No, non
era esatto. Quello che provava per la professoressa Ricci andava al di là della
rabbia o del rancore. Era puro e semplice desiderio.
Con un
sospiro, afferrò lo smartphone e compose il numero che ormai conosceva a
memoria. Per un attimo pensò che lei non avrebbe risposto, ma dopo un paio di
squilli la voce morbida di Diana gli giunse all’orecchio, incendiandogli una
volta di più i sensi.
Se bastava la
sua voce a farlo eccitare era proprio fottuto.
– Pronto,
Andrea sei tu?
– Finalmente
ti sei decisa a memorizzare il mio numero.
– Non ce n’è
bisogno. Tu sei l’unico che mi chiama a quest’ora della notte.
Lui rise
piano, stringendo il cellulare tra le dita e appoggiandosi allo schienale del
letto. – Ti ho svegliata?
– No, non
dormivo.
Avrebbe voluto
chiederle se stava pensando a lui e se era eccitata, ma non voleva entrare in
un terreno pericoloso. Dannazione, ce l’aveva ancora duro. Avrebbe dovuto
gettarsi sotto l’acqua fredda. Meglio se ghiacciata.
– Cosa stavi
facendo?
A quella
domanda lei non rispose. La sentì schiarirsi la voce, come se fosse
imbarazzata. – Senti, Andrea… mi hai chiamata per qualche motivo in particolare
o solo per sapere se ero già a letto.
– Non
pronunciare quella parola.
– Quale
parola?
– Letto. Se
penso a te in un letto, impazzisco. E sono già piuttosto teso per conto mio.
Seguì un’altra
pausa silenziosa, infine lei disse: – Che è successo? Problemi con Viola?
Andrea
sospirò. – È tornata a casa poco fa. Dice di essere stata a una cazzo di festa
coi compagni di scuola.
– Ah, sì. Ne
ho sentito parlare a scuola. I ragazzi volevano invitare anche me. Che
assurdità! Mi ci vedi in un locale notturno assediata dai miei alunni?
Diana rise,
probabilmente per stemperare la tensione, ma lui era sempre incazzato. Molto
incazzato. – Il peggio della faccenda è che non mi ha detto nulla. È uscita di
casa approfittando della mia assenza e non ne avrei saputo nulla, se non fossi
rientrato prima di lei.
– Mi dispiace.
Hai voglia di parlarne?
– Avrei voglia
di rompere qualcosa. Cazzo, Viola non si è mai comportata così!
– Tua figlia
attraversa un’età difficile e credo che…
– Finisci la
frase.
Andrea percepì
un lieve fruscio, come se Diana si stesse muovendo. Forse aveva cambiato
posizione. La sua immaginazione cominciò a lavorare frenetica. Dove si trovava?
Sul letto? Era nuda o con quel grazioso babydoll che le aveva visto addosso?
La voce di lei
interruppe i suoi pensieri indecenti. – Credo che Viola si sia innamorata di un
compagno di classe.
– Credi o te
l’ha detto lei?
– A questa
domanda non posso rispondere.
Andrea sbuffò.
Era preoccupato per sua figlia. Dannatamente preoccupato.
– Pensi che ci
abbia fatto sesso?
Il silenzio
che seguì lo fece sorridere, malgrado tutto. Immaginò Diana diventare rossa
come un peperone. Riusciva quasi a vederla.
– No, non
credo. Tua figlia ha la testa sulle spalle. Dovresti avere un po’ più di fiducia
in lei. Quando le ho parlato mi è sembrata molto matura, più delle ragazze
della sua età.
Lui imprecò
sottovoce. – E questo è un bene o un male?
– Andrea, non
puoi impedirle di crescere. Lascia che faccia le sue scelte. Le sue esperienze.
E sì, anche i suoi sbagli.
– Saresti
stata un’ottima madre, sai? Lo disse all’improvviso, quasi senza riflettere, e
si accorse di averla spiazzata in qualche modo. – Ehi, ci sei ancora?
– Sì, certo.
– Vorrei che
fossi qui. Mi manchi.
– Andrea…
– Lo so, lo
so. Dobbiamo smetterla. È questo che stai per dirmi, non è vero?
– È quello che
dovrei dirti – fece una pausa. – Ma non è quello che voglio.
Per un attimo
fu tentato di chiederle di raggiungerlo, ma non sarebbe stato il caso, con
Viola che dormiva nell’altra stanza. – Buonanotte, Diana – disse, infine.
– Buonanotte,
Andrea.
– Non posso crederci! – Daniela
le lanciò uno sguardo obliquo, smettendo di digitare sullo smartphone. –
L’avete fatto sul serio? Tu e il professor Torre?
Viola aprì la
bocca e la richiuse di scatto guardandosi attorno; i sensi in allerta e le
guance che scottavano per l’imbarazzo. Si trovavano nel piazzale della scuola,
proprio davanti al cancello d’entrata. Inutile dire che erano circondati da una
marea di studenti chiassosi.
– Sei pazza?
Abbassa la voce!
L’amica fece
spallucce e ficcò il cellulare nello zaino, dimenticando all’istante la chat su
WhatsApp. – Uffa! Chi vuoi che ci
senta? Nessuno ci sta prestando attenzione, te lo garantisco. Avanti, racconta!
Lei finse di
esaminare un sassolino per terra, sicura che non sarebbe riuscita a parlare
guardandola negli occhi. – Oh, Dani… è stato bellissimo! Lui è così dolce e
bacia da Dio.
– Non ti ha
fatto male? Io la prima volta mi sarei messa a urlare per il dolore.
– Solo un po’.
Insomma, pensavo peggio. E comunque, prima di penetrarmi mi ha fatta venire.
Sai, con le dita.
Arrossì ancora
e si mise a frugare nello zaino, fingendo di cercare qualcosa di fondamentale
importanza.
– Cavolo, come
ti invidio! Deve saperci fare davvero. Be’, ma d’altra parte lui è un uomo, non
un ragazzino sfigato come quelli che frequentano questo liceo.
Viola stava
per replicare, quando la voce di Scarpati le fece sollevare la testa di scatto.
– Eccoti qui! Dove cazzo sei finita ieri sera?
Merda.
Si era proprio
dimenticata di Stefano. Lo aveva mandato a prenderle da bere al bancone del bar
e poi era sparita con Jacopo, senza pensare minimamente a lui. Si morse la
lingua, assumendo un’espressione dispiaciuta.
– Scusami,
Stefano. Non sono stata bene e il professor Torre mi ha riaccompagnata a casa.
Deve avermi fatto male qualcosa che ho mangiato a cena, perché ho vomitato
tutta la notte.
Lui fece una
smorfia di disgusto. – Potevi mandarmi un messaggio, almeno. Ti hanno vista ballare
insieme al prof e poi sei sparita. Nessuno sapeva dove fossi finita.
– E quando te
lo mandavo il messaggio? Tra una vomitata e l’altra? Sono stata sul punto di
svenire!
Daniela
trattenne una risatina e lei le diede una gomitata in un fianco. Ci mancava che
si mettesse a ridere, rovinandole la recitazione migliore di tutta la sua vita.
Doveva ammetterlo: era un’attrice nata.
Scarpati
spostò il peso da un piede all’altro e tossicchiò. – Ero preoccupato.
– Mi spiace,
Stefano.
In un certo
senso non era una bugia. A Viola dispiaceva davvero per lui e non era fiera di
averlo usato per ingelosire Jacopo. Tutte quelle storie sul fatto che il fine
giustifica i mezzi non le aveva mai credute. Ciononostante, non era pentita.
Quello che aveva provato tra le braccia di Jacopo era in grado di scacciare
ogni altro pensiero, ogni timore, ogni rimorso.
Esisteva solo
lui, il suo corpo nudo e muscoloso che si muoveva sul proprio.
Avvampò di
nuovo, il che giocò a suo favore. Stefano le credette e abbozzò un sorriso. –
Okay, tutto sistemato. Quando possiamo vederci? Io e te da soli, intendo.
A una simile
domanda Viola non era preparata. Quasi si strozzò con la sua stessa saliva.
Guardò l’orologio al polso, alla ricerca disperata di un’idea. – Accidenti,
sono le otto passate! Dobbiamo salire in classe. Ti chiamo io, d’accordo?
Lui esitò, ma
Viola non gli diede il tempo di aggiungere altro che era già schizzata via,
seguita da Daniela con le lacrime agli occhi per le risa trattenute.
– Lasciatelo
dire, Viola – esclamò l’amica mentre si lanciavano su per le scale. – Tu sì che
sai raccontare palle. Sei eccezionale.
A quel punto
anche a lei scappò da ridere, ma soffocò le risate con la mano. In fretta,
varcarono la porta dell’aula, prima che arrivasse l’insegnante della prima ora.
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