*Attenzione!* Per gli argomenti trattati, questo racconto è riservato ad un pubblico adulto.
Cosa le fosse saltato in mente di accettare l’invito di Andrea proprio non se lo seppe spiegare. Era per caso impazzita? Se salire sulla sua auto aveva decretato la sua resa incondizionata, cosa avrebbe fatto una volta sola con lui, nel suo appartamento?
Cosa le fosse saltato in mente di accettare l’invito di Andrea proprio non se lo seppe spiegare. Era per caso impazzita? Se salire sulla sua auto aveva decretato la sua resa incondizionata, cosa avrebbe fatto una volta sola con lui, nel suo appartamento?
Diana si strofinò le mani sugli occhi, nel
tentativo di scacciare l’ansia e la stanchezza, e andò in bagno, dove cominciò
a spogliarsi lentamente. Si infilò sotto la doccia per lavare via dalla pelle
l’odore di sesso e del costoso dopobarba di Andrea, che le era rimasto
appiccicato addosso. Poi indossò un abito sobrio ma elegante e si infilò ai
piedi un paio di sandali dal tacco alto. Se doveva recarsi nei quartieri alti,
non voleva apparire come una sciattona. Allo stesso tempo, desiderava evitare
di mostrarsi troppo sexy. Andrea avrebbe pensato che lo faceva per lui, invece
l’unico motivo che l’aveva spinta ad accettare quell’invito era Viola.
A
chi vuoi darla a bere?
Scacciò quella voce insistente all’interno
della propria testa e si asciugò meticolosamente i capelli, per poi pettinarli
con cura. Un tocco leggero di cipria sulle guance, un filo di rossetto ed era
pronta. Per un attimo rimase a fissarsi nello specchio, combattuta tra il
desiderio di rivedere Andrea e quello di fuggire il più lontano possibile da
lui. L’orologio a pendolo nel salotto batté un colpo, scuotendola dalle proprie
riflessioni. Fece un gran respiro e si decise a uscire di casa.
Come al solito, le strade di Torino erano
immerse nel caos. Diana rifletté sulla possibilità di prendere un taxi e poi
farsi riaccompagnare a casa da Sartori, ma scacciò quell’idea troppo pericolosa
e prese la propria auto: una cinquecento rosso fiammante.
L’appartamento di Sartori si trovava a
cinque minuti di automobile dalla piazza della Gran Madre, in un complesso
residenziale immerso nel verde. Diana restò a bocca aperta mentre varcava
l’enorme cancello e si immetteva in un viale alberato che conduceva alla
palazzina. Lei non si sarebbe potuta permettere una simile abitazione neppure
lavorando una vita. Oltrepassò un campo da tennis e posteggiò l’auto in un
ampio parcheggio, giusto in tempo per veder arrivare Andrea, che per
l’occasione aveva abbandonato l’abbigliamento formale in giacca e cravatta e
indossava un semplice paio di jeans e una maglietta attillata. Era bello da
mozzare il fiato.
Diana scese dall’auto con le palpitazioni.
– Allora? Vuoi dirmi che è successo a Viola?
Lui si tolse gli occhiali da sole per
fissarla con un’occhiata penetrante. – Non qui. Andiamo a parlare in piscina,
lontano da orecchi indiscreti.
In piscina? Diana deglutì. – Hai anche una
piscina?
Lui rise piano. – Non è mia. Appartiene al
condominio, ma in questa stagione non c’è nessuno. È un posto piuttosto
tranquillo per parlare. Sempre che tu non preferisca salire di sopra.
Con la testa indicò l’ultimo piano della
palazzina, dove presumibilmente si trovava il suo appartamento. Diana ebbe una
visuale di una camera da letto in cui aleggiava il profumo di Sartori e dovette
farsi aria con la mano. – La piscina andrà benissimo – rispose, un po’ troppo
enfaticamente.
Andrea rise di nuovo. – Tranquilla, non ho
intenzione di sedurti. A meno che tu non lo voglia.
– No, non lo voglio – Sollevò il mento con
aria di sfida e si avviò dietro di lui, barcollando sui tacchi alti.
Andrea sospirò, le mani infilate nelle
tasche dei jeans e quell’aria squisita da cattivo ragazzo che tanto le piaceva.
– Peccato. Ammetto che non mi sarebbe dispiaciuto toglierti quel delizioso
vestitino e ammirarti nuda.
Seccata, lei si lasciò sfuggire uno
sbuffo. – Mi hai già vista nuda.
– Ma non ti ho ammirata a sufficienza.
Quell’uomo era decisamente snervante. Ma
tanto, tanto sexy. Diana si morse la lingua per non rispondere a tono e disse
solo: – Ricorda che sono qui per parlare di Viola.
– Non l’ho dimenticato. A proposito…
grazie.
– Per cosa?
– Per essere venuta.
Lo disse in un modo talmente dolce che
Diana sentì le farfalle alla bocca dello stomaco. Il che era un male. Ci
mancava che si innamorasse di quell’uomo e tutta la sua vita sarebbe andata in
frantumi come un vaso di coccio. – È mio dovere, no? Viola è una mia allieva.
Viola suonò il campanello e rimase
in attesa, mordendosi il labbro fino a farlo sanguinare.
Ti
prego, apri quella porta!
Il suo desiderio fu esaurito: la testa del
professor Torre spuntò dall’uscio, la fronte leggermente corrugata. – Viola,
cosa ci fai qui? È successo qualcosa?
Gli occhi le si riempirono di lacrime. –
Posso entrare?
– Certo. Accomodati.
Jacopo si fece da parte, continuando a
fissarla preoccupato. Viola era consapevole dei suoi occhi fissi su di lei e si
sentì vagamente a disagio. A un tratto rammentò la predica di suo padre,
riguardo al suo abbigliamento, e si chiese se sul serio fosse così indecente.
Arrossì fino alla punta dei capelli. – Ho avuto una brutta discussione con mio
padre – esordì colpevole. – Non avevo voglia di tornare a casa, ma non sapevo
dove andare. Così ho pensato…
Lui le rivolse un sorriso abbagliante e
l’accompagnò in soggiorno. – Hai fatto bene a venire. Se posso esserti d’aiuto
in qualche modo… vuoi che parli con tuo padre?
– Oh, no. Ho solo bisogno di… riprendermi.
Ecco tutto.
Lanciò un’occhiata distratta alla stanza.
Era piuttosto grande e luminosa, con una libreria ricolma di libri di tutte le
dimensioni, alcuni dei quali dovevano essere testi scolastici o universitari.
Anche sul divano era posato un libro aperto. Viola sollevò uno sguardo
allarmato sul professore, le guance in fiamme. – Stavi leggendo? Forse ti ho
disturbato. Io…
Gli occhi di lui brillarono di
divertimento. – Tranquilla, stavo solo rileggendo Romeo e Giulietta. Sai, per la recita scolastica. Ho sottolineato
alcune parti che vorrei rivedere con te. E con la classe, naturalmente.
Viola sorrise. – Che coincidenza! Volevo
giusto chiederti se potevamo provare insieme una scena su cui sono insicura.
Jacopo inarcò un sopracciglio. – Che
scena?
– Quella in cui Romeo e Giulietta si
dicono addio, all’alba, dopo la loro notte di nozze.
Viola si portò al centro della stanza e
cominciò a declamare: – Vuoi già partire? Il giorno è ancor lontano: era l’usignuolo
e non l’allodola, a ferir del suo canto il cavo dell’orecchio tuo trepidante
nell’attesa. Esso canta a notte su quel melograno laggiù. Credilo, amore: era l’usignuolo.
Jacopo la raggiunse, accorciando la
distanza fra loro. – Era l’allodola, l’araldo del mattino; e non già l’usignuolo.
Guarda, amore, quali maligne striscie di luce non aggiungono una frangia a
quelle nubi che laggiù si sciolgono a oriente. Le candele del cielo son tutte
consumate e la gioconda luce del dì procede in punta de’ piedi sulle nebbiose
cime dei monti. Debbo partire e vivere, o restare e morire.
Viola ebbe un brivido nel sentirlo
recitare in modo così appassionato. Avrebbe voluto che quella fosse la realtà e
che Jacopo la chiamasse ancora amore.
Trattenne il fiato e ricambiando lo sguardo col medesimo ardore, recitò: – La
luce che vedi laggiù non è quella del giorno. Io lo so bene! È una qualche
meteora esalata dal sole, perché stanotte t’accompagni, come un portatore di
fiaccola, e illumini il tuo cammino a Mantova: e quindi rimani ancora. Non c’è
alcun bisogno che tu parta così presto.
Jacopo fece un altro passo verso di lei,
lo sguardo ardente. La prese fra le braccia e Viola sentì un brivido
percorrerle la schiena. Il cuore le batteva all’impazzata nel petto. Era quasi
sul punto di scoppiare. La voce di lui era ridotta a un sussurro roco, quando
parlò. – Ch’io sia preso, ch’io sia messo a morte: di nulla mi importa, s’è per
incontrare il tuo piacere. Dirò anch’io che quel grigio lume non è l’occhio del
mattino, ma solo un pallido riflesso della fronte di Cinzia, e aggiungerò che
non è l’allodola a picchiar le sue note sulla volta del cielo, ch’è così alto
sul nostro capo. Ho più desiderio di restare che volontà di partire. Vieni, o
morte, e sii la benvenuta. Così vuole Giulietta. Che accade, anima mia?
Parliamo tra noi, non è ancora giorno.
Viola si sottrasse all’abbraccio, simulando
uno sguardo allarmato. Calarsi nella parte era inaspettatamente facile quando a
interpretare il ruolo di Romeo era Jacopo. Socchiuse gli occhi, incatenandoli
ai suoi. – È giorno, è giorno! Fuggi di qui, parti in fretta! È proprio l’allodola
che canta così stonata, sforzando aspre dissonanze e sgradevoli acuti – La voce
le si incrinò all’improvviso. Sentiva un groppo in gola, quasi quello fosse
realmente un addio. Poi Viola compì un gesto sconsiderato: gettò le braccia al
collo di Jacopo e lo baciò. Fu un impulso, di cui a malappena si rese conto, ma
quello che provò nello sfiorare le sue labbra con le proprie fu così intenso,
così appagante, che dalla bocca le sfuggì un gemito. Quando si staccò da lui,
Jacopo la fissò in silenzio per un istante che le parve un’eternità. I suoi
occhi sembravano pozze scure. Penetranti come lame. Guizzarono dagli occhi alle
labbra con un’intensità che le fece vibrare il cuore nel petto.
Viola era come paralizzata, il torace che
si alzava e abbassava al ritmo del respiro accelerato. Si leccò le labbra senza
riuscire a distogliere lo sguardo da lui, quasi esistessero solo loro due al
mondo. Infine, Jacopo le afferrò la nuca attirando nuovamente la sua bocca e
avvinghiandola alla propria.